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Il cancro sotto i riflettori

Dario Vascellaro, N. 3 marzo 2003

Da sempre eventi reali della vita sono protagonisti delle più appassionanti sceneggiature del cinema internazionale.
Dopo un periodo in cui l’Aids ha rappresentato la malattia più temibile per il mondo intero ed è stato reso protagonista di molti film, oggi è il cancro il “male del secolo” che pare terrorizzare gli sceneggiatori.
La sua pervasività e diffusione, insieme alla difficoltà dell’uomo di affrontarlo, ha creato lo spunto per alcune delle migliori sceneggiature cinematografiche degli ultimi dieci anni.
Il male del secolo e le speranze di cura sono alla base della moderna rilettura del mito di Faust, Fausto 5.0, realizzato dalla Fura dels Baus, il famoso gruppo teatrale catalano che da vent’anni ha fatto del Faust il suo principale soggetto d’indagine. Nella pellicola il dottor Fausto è un chirurgo specializzato in medicina terminale che cerca da anni la ghiandola del male, quella da cui hanno origine, secondo lui, tutte le malattie e che spesso sono gli stessi pazienti a impedire al medico di trovare. Per il dottor Fausto la morte è scritta nel nostro codice genetico e questo significa che sono gli ammalati stessi a veicolare le loro malattie all’interno del corpo. Fausto è un uomo rigido, represso e depresso, eternamente insoddisfatto eppure superbo. Tutto questo è destinato a cambiare repentinamente. In trasferta in un’altra città Fausto incontra accidentalmente un uomo che dice di essere stato un suo paziente otto anni prima: gli aveva diagnosticato un tumore complesso al pancreas, inoperabile, e gli aveva asportato lo stomaco… eppure Santos Vella è ancora vivo e ha dei piani per il suo dottore.
L’insorgere di un tumore induce a volte gli sceneggiatori a scadere nel patetico come nel celeberrimo Love story o nel più recente Nemiche amiche, dove il cancro colpisce la madre amorevole Susan Sarandon che sarà così costretta ad affidare il marito e i figli alla “rivale” Julia Roberts.
Scivola nel melenso anche L’ultimo sogno (2001), la storia di un uomo che ha perso il lavoro e la moglie, un uomo a cui i medici hanno diagnosticato un cancro non più operabile e solo altri tre mesi di vita. George Monroe, questo è il suo nome, resosi conto della morte imminente e ossessionato dal desiderio di lasciare qualcosa al figlio, decide di abbattere la sua vecchia dimora e di costruirne una nuova, che diventerà il simbolo della rinascita di una grande famiglia.
Nel 1999 Haut les Cœurs (1999), della francese Solveig Anspach, ha trattato con delicatezza e sensibilità la forma di tumore più diffusa tra le donne. Quando la protagonista, Emma, scopre di essere incinta, apprende purtroppo anche di avere un tumore al seno. Il suo ginecologo le consiglia di abortire; non convinta di questa soluzione, insieme al compagno decide di consultare un medico specialista, il quale non esclude la possibilità di eseguire la chemioterapia pur portando avanti la gravidanza. Emma riprende fiducia: il suo corpo che l’ha tradita, ridiventa un luogo di vita…
Se dal cancro si può guarire, anche nella fiction non mancano le sconfitte che, a volte, si portano via anche i personaggi più amati. È il caso di Mark Green, eroe del serial americano E.R., la famosa fiction americana ambientata in un pronto soccorso. Già una volta in pericolo di vita per un cancro al cervello e salvato in extremis da un’operazione di avanguardia a New York, non ce la fa a contrastare la ripresa del male. Lentamente all’inizio, con piccole ma terribili avvisaglie e poi precipitosamente alla fine, con assoluto realismo, il dottor Green se ne va, dopo aver rifiutato le spossanti chemioterapie, dopo aver salutato come se fosse la fine di una giornata qualsiasi, è partito. Ha deciso di passare gli ultimi giorni in pace, con la figlia Rachel, con la moglie Elizabeth e l’altra figlia neonata. La morte, contrastata ogni giorno in ospedale tramite il proprio lavoro, è divenuta la protagonista, questa volta vissuta con tristezza ma serenità, con dolore ma consapevolezza, e coraggiosamente “scelta” da uno dei protagonisti, che l’ha vinta tante volte senza poter sconfiggerla per sé.
Al fine di sfuggire alla malattia, nei film compare spesso l’escamotage narrativo del viaggio, come in Le ragazze della notte (1998), interpretato da Brenda Blethyn e Julie Walters. Due amiche per la pelle, Jackie e Dawn, sono entrambe sposate con figli e lavorano in una fabbrica elettronica. L’unico momento di eccitazione nella loro vita banale è rappresentato dalle serate incollate davanti alla lotteria. Le due sono talmente legate che quando Dawn vince finalmente una bella somma la vuole dividere con l’amica. Nel frattempo Jackie intuisce che Dawn sta male e scopre che il cancro al seno, che l’aveva colpita in precedenza, é ricomparso in una forma più grave. Questa volta Dawn non vuole cure e ha solo un sogno: vedere Las Vegas.
In Beautiful Joe (2002) il protagonista, un fioraio di origine irlandese, ha un tumore al cervello e una moglie in fuga da lui. Rinviata per due mesi l’operazione, decide di lasciare il Bronx dove vive per iniziare un viaggio. In una sala corse incontra Hush, una donna (interpretata da Sharon Stone) alle prese con i debiti e minacciata da una banda di strozzini. Assieme alla donna e ai suoi due figli, Joe proseguirà il suo viaggio.
A volte la scoperta di un tumore può accelerare un cambiamento esistenziale a lungo desiderato o può anche indurre i personaggi a cercare di ricucire rapporti familiari difficili, come capita in Under the skin di Carine Adler. Da sempre Iris vive nella convinzione che la madre abbia una particolare predilezione per sua sorella Rose, pertanto si adopera in ogni modo per attirare l’attenzione della donna su di sé. Quando poi questa si ammala di cancro, cercare di conquistarne l’affetto diventa un impegno a tempo pieno per la giovane, ma la donna muore prima di accorgersi che lei esista, o almeno così pensa Iris. Sconvolta e incapace di reagire, Iris abbandona la casa materna per trasferirsi in un piccolo appartamento e dare inizio ad una nuova vita, una vita che la vede rompere con tutto ciò che la lega al passato: il suo ragazzo, il suo lavoro, i suoi amici, sua sorella... La giovane non riesce però a liberarsi dal dolore per la perdita della madre che, inespresso, ben presto sfocia in comportamenti patologici che la spingono sempre più verso l’autodistruzione. Solo quando Iris riuscirà ad accettare di condividere il proprio dolore con la sorella, ritroverà il suo equilibrio e avrà la forza di affrontare la vita.
Per sconfiggere il male del secolo gli sceneggiatori di Hollywood non esitano a ricorrere al soprannaturale, come ne Il miglio verde (1999), film tratto da un romanzo di Stephen King.
1932. Penitenziario di Cold Mountain. Nel braccio "E" del carcere vengono rinchiusi i prigionieri in attesa della sedia elettrica: tre celle per parete separate da un corridoio in linoleum verde, detto "Il Miglio Verde", che dista 60 passi dalla stanza dell’esecuzione. Quando un giorno vi viene rinchiuso un enorme uomo di colore, l’apparente mite John Coffey, condannato per aver massacrato due bambine, il monotono corso della vita del braccio viene sconvolto da strane e inspiegabili guarigioni operate dal nuovo arrivato. Dopo l’iniziale sconcerto, il capo-reparto Paul Edgecombe lo porta dalla moglie del direttore del carcere, malata di tumore al cervello e la guarisce.
Anche nel cinema fantascientifico possiamo trovare riferimenti al male del secolo. In Alien 3, David Fincher allude all’irrefrenabile avanzamento di una malattia intimamente legata al nostro tempo, il cancro appunto: l’eroina Sigourney Weawer porta dentro di sé l’alieno che nascendo la ucciderà.
In Bombshell (1996), ambientato nella Los Angeles del 2007, è l’agognata cura del cancro a scatenare i loschi disegni dei cattivi. A pochi giorni dal lancio mondiale delle innovative nanotecnologie e della loro prima applicazione commerciale, Buck Corgan, project manager dell’avanzato programma tecnologico per la cura del cancro, scopre che queste tecnologie soffrono di un problema fondamentale che ne mette in forse le possibilità di utilizzo. Buck ha solo quattro giorni per risolvere il problema e isolare il virus, ma viene rapito e sottoposto a un’operazione. Quando riesce a fuggire, analizza al microscopio un campione di qualcosa che sta crescendo dentro di sé e scopre di essere stato trasformato in una vera e propria bomba cellulare...
L’illustrazione più realistica e potente di cosa sia il cancro, però, l’ha data Wim Wenders. In Nick’s movie – Lampi sull’acqua (un film-documentario che quando uscì nelle sale fu oggetto di critiche feroci) il regista tedesco intervista Nicolas Ray, grande filmaker americano già minato da un tumore, filmando gli ultimi momenti della vita del suo amico regista.

Cinema: sogni e sigarette
La stanza di Marvin del regista Jerry Zacks è stato il singolare argomento di studio per i partecipanti al workshop internazionale "La malattia oncologica nell’immaginario: cinema e sogni". La proiezione del film (che narra la storia di due sorelle che si ritrovano perché una di loro – colpita dalla leucemia – ha bisogno di un trapianto di midollo) introdotta da Enzo Sallustro, Editor del Canale Cinema di RAI SAT, il 24 maggio dell’anno scorso, al Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma, ha costituito il punto di partenza del seminario. Il workshop è stato promosso dall’International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Health Professionals, in collaborazione con il Centro di Ricerche Oncologiche Giovanni XXIII dell’Università Cattolica di Roma.
Il cinema, quindi, diventa strumento terapeutico per i pazienti oncologici. Questo l’obiettivo del workshop rivolto a medici, psicologi, infermieri e operatori sanitari, e inserito nel programma dei Corsi di formazione e perfezionamento in Psico-Oncologia promossi dall’Università Cattolica di Roma.
I lavori sono stati sviluppati attraverso due sedute di social dreaming. Relatore e coordinatore il professor Dominique Scarfone, psicoanalista dell’Università di Montreal, training analyst dell’International Psychoanalytic Association (I.P.A.) e docente dalla SIPSI, che ha raccolto il racconto dei sogni degli operatori sanitari, stimolati dalla visione di La Stanza di Marvin.
"I sogni – dice il dottor Domenico A. Nesci, ricercatore dell’Istituto di Psichiatria e Psicologia della Cattolica e coordinatore dei Corsi in Psico-Oncologia – trovano così un “uso sociale” e diventano strumento privilegiato per capire le difficoltà professionali degli operatori sanitari con i malati oncologici". Nelle sedute di social dreaming (una tecnica introdotta da pochi anni da ricercatori americani), i sogni sono utilizzati per comprendere meglio le motivazioni e le dinamiche inconsce che animano l’identità professionale dei partecipanti. "L’obiettivo del workshop – continua il dottor Nesci – era quello di esplorare le tematiche più profonde suscitate dalla malattia oncologica nella nostra cultura. A questo scopo abbiamo deciso di utilizzare il cinema, luogo privilegiato dove si manifesta l’immaginario, per accedere al mondo interno dei membri dell’équipe oncologica. È noto, infatti, che fantasie e dinamiche inconsce possono sia influenzare la qualità del rapporto tra curanti e pazienti, sia giocare un ruolo importante nella sindrome del burnout".
Nonostante l’impegno di quasi tutte le grandi case di produzione, Hollywood è finita ancora una volta sotto accusa per il fumo. Un monitoraggio della Dartmouth medical school ha messo la mecca del cinema sul banco degli imputati: nonostante l’esplicito bando si è incrementata la pratica di mostrare sigarette all’interno delle pellicole.Malgrado le diverse campagne antitabacco, che ha avuto tra i più accesi promotori Hillary Clinton, nonostante l’esplicito bando fatto ai produttori, in dieci anni si è incrementata la pratica di mostrare sigarette all’interno dei film come ha rivelato una ricerca condotta nel 2001 dalla Dartmouth medical school del New Hampshire sui primi 25 titoli del box office americano negli anni dall’88 al ‘97. In particolare, ben l’85 per cento dei film monitorati contiene sequenze in cui viene in qualche modo utilizzato tabacco, il 28 per cento mostra chiaramente marche di sigarette. Del totale, il 32 per cento dei film “incriminati” è destinato ai teenagers, il 20 per cento addirittura ai bambini. Tra i titoli “incriminati”, Il matrimonio del mio migliore amico, Men in black, Vulcano e, tra quelli per bambini, Mamma, ho perso l’aereo.

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