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Una pillola per prevenire

Annalisa Cretella, N. 3 marzo 2000

Fenretinide è una sostanza naturale molto conosciuta che dal punto di vista tecnico è analoga alla vitamina A, come il betacarotene e altre sostanze presenti in natura. Essa fa parte di una nuova generazione di farmaci che derivano da sostanze naturali e non ha effetti collaterali nocivi. I risultati ottenuti dalla sperimentazione hanno dimostrato che la nuova sostanza anticancro porta un forte beneficio preventivo, un risultato che dà fiducia e speranza a milioni di donne. A queste conclusioni si è giunti al termine dello studio clinico randomizzato a doppio cieco, basato appunto sull'assunzione di questo nuovo farmaco, la Fenretinide. Lo studio nazionale, condotto da 20 centri in tutta Italia è stato coordinato per il centro-sud, dal professor Giuseppe D'Aiuto, primario del servizio di senologia dell'Istituto Pascale di Napoli e direttore scientifico dell'Associazione lotta ai tumori del seno (Alts), da anni impegnata nel settore della prevenzione. La Fenretinide è stata sintetizzata per la prima volta dal professor Michael Sporn dell'Artmounth Medical Center. I risultati ottenuti da ricercatori americani ed europei hanno dimostrato un forte beneficio preventivo soprattutto nelle donne più giovani (pre-menopausa). Al di là delle aspettative, la riduzione osservata ha riguardato anche i tumori dell'ovaio. In Italia lo studio è partito nel 1987. Vi hanno aderito 5187 donne, tra i 30 ed i 70 anni, che erano state in precedenza operate per piccoli tumori mammari, il cui rischio di ricaduta non era tuttavia molto alto. A queste donne, tredici anni fa non si sarebbe mai data una terapia aggiuntiva preventiva. "Noi abbiamo pensato - spiega il professor Giuseppe D'Aiuto - in accordo con il National Cancer Institute e il National Institute of Health (che ha contribuito a cofinanziare lo studio, insieme all'Associazione italiana per la ricerca sul cancro, Airc), che utilizzando una sostanza naturale potevamo attenderci dei risultati positivi sul rischio di ricaduta. E i risultati ci sono stati. Abbiamo avuto una riduzione del 35% di tumori mammari, soprattutto nelle donne più giovani".
In base allo studio statistico l'azione della Fenretinide si va a collocare sulla componente ormonale dell'insorgenza di un tumore. Gli estrogeni o gli ormoni femminili agiscono sulla promozione di un cancro alla mammella. La Fenretinide probabilmente controlla proprio questo meccanismo. Ecco perché in pre-menopausa, quando i ritmi del ciclo mestruale fanno variare continuamente gli ormoni e soprattutto gli estrogeni, il controllo locale del tumore è controbilanciato dall'efficacia della sostanza.
Il secondo impatto positivo registrato con l'assunzione della Fenretinide, nello stesso gruppo di giovani donne che hanno partecipato allo studio, è che si è ridotta in maniera molto efficace l'incidenza di tumori ovarici. "L'attività agisce proprio sui meccanismi biologici determinati dagli eventi del gene del Drca 1 - spiega il professore Giuseppe D'Aiuto - molto probabile che la Fenretinide abbia modulato l'azione di mutazione della frazione del Drca1 (il gene che può determinare il rischio di ammalare di tumore al seno e alle ovaie)".
La terapia nello specifico
"Una compressa al giorno, tutti i giorni. Nello studio, la somministrazione è durata cinque anni; si è poi passati all'osservazione per controllare i risultati del gruppo di persone che prendeva la compressa e di quello che non la prendeva. Non si tratta di un farmaco costoso, essendo un derivato della vitamina A. E non ha effetti collaterali. I disturbi che si sono verificati sono stati reversibili ed hanno interessato le mucose e gli occhi (frequente la sensazione di vedere tutto velato di giallo). Proseguendo il trattamento questi effetti sono spariti. Nessuna paziente ha dovuto sospendere la terapia".
Quali sono le donne considerate a rischio che dovrebbero assumere il nuovo farmaco?
"L'esposizione è sempre valida per donne che hanno familiari stretti con tumore al seno. Donne sottoposte precedentemente a biopsia per lesioni benigne, donne che hanno superato i 50 anni, e che siano di razza bianca. La possibilità di essere in questa collettività femminile a rischio è molto elevata".
Lo studio sperimentale della Fenretinide è stato effettuato su donne operate. Adesso, nel prossimo studio che sta per partire, sarà somministrata a donne sane. Tutte le donne potranno arricchire la propria dieta quotidiana con una compressa di Fenretinide.
Lo stesso vale per il tamoxifene, l'altro farmaco maggiormente conosciuto per la prevenzione dei tumori al seno. Negli ultimi 20 anni, è stato usato su donne che avevano già avuto un tumore, oggi viene somministrato anche a donne sane.
"Si prevede che nei primi anni del Duemila, ogni anno 1 milione di donne nel mondo si ammaleranno di cancro al seno - continua il professor D'Aiuto - sarà necessario cercare di migliorare i trattamenti e promuovere e rafforzare lo sforzo nel senso della prevenzione, mediata da farmaci che possono inibire l'insorgenza del cancro. Il Duemila comincia con il forte convincimento che bisogna aprire una nuova direzione verso la prevenzione. Ciò che è di pubblico dominio è che le donne possono seguire la prevenzione e sottoporsi a diagnosi precoce (lo screening, il controllo clinico, la visita senologica, la mammografia) unitamente all'intervento di chirurgia, alla chemio e alla radioterapia. Questo è uno standard conosciuto e condiviso. La novità è che da oggi, un numero considerevole di donne avrà la possibilità di ridurre ulteriormente l'incidenza del tumore al seno con l'assunzione del nuovo farmaco anticancro. La farmacoprevenzione rappresenta una nuova branchia di ricerca che si è sviluppata per molti tipi di tumore e che ha fatto registrare i più grossi successi in senologia oncologica. Questo nuovo settore di ricerca incrementa le possibilità realmente preventive, attraverso l'uso di farmaci che inibiscono il processo tumorale, la carcenogenesi. Sappiamo che un tumore per raggiungere le sue dimensioni di scoperta, di un centimetro, impiega anni. Se in tale periodo di tempo, utilizziamo sulle donne, soprattutto quelle a rischio, dei farmaci che hanno una dimostrata efficacia di interferire sul processo carcenogenetico, contrastiamo fortemente la diffusione del tumore del seno".
Il farmaco Fenretinide si è inoltre dimostrato efficace sull'apoptosi, il programma di morte cellulare. È risultato molto selettivo sui meccanismi di apoptosi, inducendo un meccanismo positivo di programma di morte cellulare. Nel cancro l'apoptosi viene bloccata da alcuni geni, per cui la morte della cellula che è irreversibile, si moltiplica sempre di più. La Fenretinide ha riattivato i meccanismi genetici dell'apoptosi per cui si è riprogrammata la morte.
Ma veniamo agli sviluppi futuri di queste scoperte sulla farmacoprevenzione. A conclusione dello studio sulla Fenretinide, saranno avviati altri studi nazionali, e stavolta anche su donne sane, per verificare la possibilità che vi possano essere effetti sinergici tra questo derivato della vitamina A e la pillola anticoncezionale, con il tamoxifene o con l'uso del cerotto (terapia ormonale sostitutiva nelle donne in post-menopausa, dove l'apporto di estrogeni aumenta il rischio del cancro al seno del 30%).

Diagnosi e prevenzione


E' possibile identificare diverse aree di ricerca e intervento: la prevenzione primaria, volta ad eliminare o ridurre l'esposizione ambientale ad agenti cancerogeni noti, la prevenzione secondaria, comprendente la diagnosi precoce e le terapie preneoplastiche o preinvasive, e la chemio-prevenzione, finalizzata all'interruzione del processo canceroso mediante la somministrazione di farmaci o altre sostanze. Nel caso specifico della prevenzione secondaria, si identificano in ambito oncologico con una serie di attività di diagnosi precoce delle neoplasie più diffuse, al fine di migliorare le possibilità di trattamento e ridurre la mortalità nella popolazione che è oggetto dell'intervento. Ad esempio il carcinoma mammario, dove i programmi di screening hanno consentito una riduzione significativa della mortalità (30/50%) nelle donne di età compresa tra 50 e 70 anni.
Il ruolo primario rivestito in questo ambito dalla diagnostica istocitopatologica merita di essere ulteriormente ricordato solo per rilevare con preoccupazione la tendenza a considerare l'atto diagnostico qualcosa di semplice routine, cui ogni patologo dovrebbe essere in grado di assolvere senza particolari difficoltà, con modesti rischi di errore. Purtroppo la realtà è ben diversa. Sarebbe veramente auspicabile, non solo per i malati ma anche per il patologo, che un'attività diagnostica tanto delicata non fosse strettamente dipendente dalla soggettività di giudizio di un solo esaminatore, le cui doti possono non sempre essere sufficienti per assolvere adeguatamente ad un compito di così grande responsabilità. Oggi più che mai, appare necessario che il patologo sappia arricchire continuamente la propria esperienza e la propria capacità diagnostica ma, nel contempo, sappia anche perfezionarsi nella conoscenza e nella utilizzazione di tutte le moderne tecniche di studio, alternative o integrative delle indagini istopatologiche tradizionali. Niente è comunque più errato della tendenza, come già menzionato, oggi diffusa in oncologia a considerare riduttivamente la diagnostica istocitopatologica come una semplice formalità preliminare alla raccolta dei dati inerenti alla stadiazione della neoplasia e alla sua caratterizzazione morfobiologica con riferimento alla prognosi. Verso una scelta di questo tipo il patologo può essere malauguratamente indirizzato, oltre che dalle proprie personali inclinazioni a privilegiare il "nuovo" rispetto al "tradizionale", anche dalle sollecitazioni del clinico, sovente restio a comprendere le difficoltà del patologo nella diagnostica ma frequentemente portato a sopravvalutare l'importanza di taluni dati morfobiologici da lui ritenuti essenziali per la prognosi e per la programmazione della terapia. I rapporti tra morfologia patologica, biologia e clinica merita qualche breve considerazione del ruolo della patologia come strumento di conoscenza e come presenza operativa in oncologia. Quindi, mentre è auspicabile che la patologia sappia integrarsi di più e meglio con le discipline ora ricordate per arricchire di contenuti biologici i rilievi di ordine morfopatologico, occorre sottolineare che al momento, pur con i suoi limiti, la morfologia patologica rimane un termine di riferimento essenziale e insostituibile per quanto attiene la diagnosi e la cura delle neoplasie. Per corrispondere nella maniera migliore ai compiti cui è chiamato in oncologia, il patologo ha l'assoluta necessità di ricercare e di ottenere la più ampia collaborazione da parte di quanti accanto a lui operano nel campo oncologico, in particolare quella del clinico; in effetti, solo attraverso lo stretto sinergismo di azione tra le diverse discipline potranno realizzarsi decisivi progressi nella conoscenza e nella cura delle malattie neoplastiche.

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