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Svelato il meccanismo con cui le staminali generano i tumori
Paola Sarno, N. 3 marzo 2011
Uno studio realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’Università Cattolica di Roma, in collaborazione con l’Istituto Neurologico “C. Besta” di Milano e l’Università di Palermo e che è stato pubblicato sulla rivista Nature, ha rivelato il meccanismo con cui le cellule staminali generano i tessuti tumorali.
Lo studio su pazienti affetti da glioblastoma multiforme
I ricercatori italiani, coordinati da Ruggero De Maria, direttore del Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare dell’Istituto Superiore di Sanità, hanno scoperto le dinamiche di proliferazione dei tessuti tumorali grazie all’analisi di oltre 40 pazienti affetti da glioblastoma multiforme, il più maligno dei tumori cerebrali. I pazienti presi in esame sono stati sottoposti a intervento chirurgico presso l’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma e, grazie a una tecnologia messa a punto presso la Fondazione Besta, è stato possibile ricreare in laboratorio i vasi sanguigni tumorali, che sono stati analizzati e confrontati con quelli nella norma per comprenderne le caratteristiche ed ipotizzarne i possibili bersagli terapeutici.
L’angiogenesi, cioè la capacità di stimolare la formazione di nuovi vasi sanguigni è una caratteristica tipica dei tumori maligni oltre ad essere elemento essenziale per la crescita del glioblastoma multiforme, il più aggressivo e purtroppo il più frequente tra i tumori cerebrali. Ricerche recenti avevano già ipotizzato che una popolazione di cellule staminali neurali aberranti fosse responsabile dello sviluppo di questo tumore. Fulcro della ricerca pubblicata su Nature, quindi, la dimostrazione che le cellule staminali del glioblastoma sono in grado di costruire la rete di vasi sanguigni necessari per alimentare e far crescere il tumore, fornendo informazioni rilevanti sul meccanismo con cui i tumori progrediscono.
Una scoperta che apre la strada alla cura di molti tumori
Grazie a questa scoperta si aprono quindi nuovi scenari terapeutici per la cura di molti tipi di cancro. «L’abilità di queste cellule, infatti, nel contribuire direttamente alla vascolarizzazione del tumore rappresenta un nuovo meccanismo di angiogenesi non necessariamente limitato al glioblastoma e può rappresentare un importante approccio terapeutico per diversi tipi di cancro», ha spiegato Enrico Garaci, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. «Allo studio delle alterazioni delle cellule staminali lavoriamo da anni e questa pubblicazione ci conferma l’esistenza delle cellule staminali tumorali su cui da tempo la comunità scientifica discute. Questa ricerca», ha aggiunto Garaci, «mette un punto su quello che potrà essere un cardine importante da cui ripartire per ripensare le strategie terapeutiche future della lotta contro il cancro». Grazie anche al sostegno finanziario dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, lo studio ha potuto individuare anche un altro meccanismo importante: quello in base al quale la maggioranza dei vasi sanguigni del cancro è costituita da cellule staminali tumorali trasformate in cellule endoteliali, cioè nelle cellule che normalmente sono deputate alla formazione dei vasi del sangue necessari a portare ossigeno e sostanze nutritive al nostro organismo.
Una speranza sul piano clinico: i futuri bersagli terapeutici
Uno scenario, quindi, che conforta i clinici: Roberto Pallini, studioso dell’Istituto di Neurochirurgia dell’Università Cattolica di Roma, e coordinatore dello studio assieme a Ruggero De Maria, direttore del Dipartimento di Ematologia e Oncologia Molecolare dell’Iss, ha affermato che questa scoperta può avere notevoli implicazioni terapeutiche in quanto l’individuazione di farmaci in grado di bloccare il processo di angiogenesi potrebbe costituire una terapia efficace per la cura di questi terribili tumori. Risultati positivi in tal senso sono già stati osservati in modelli sperimentali di glioblastomi. Roberto Pallini e Luigi Maria Larocca, anatomo-patologo dell’Università Cattolica, già da alcuni anni studiavano, infatti, le cellule dei vasi sanguigni del glioblastoma e avevano dimostrato che queste presentavano caratteristiche atipiche che le distinguevano nettamente dalle cellule dei vasi cerebrali normali. A partire da queste osservazioni, con uno studio durato più di 3 anni e grazie alla collaborazione con l’Iss, si è giunti alla pubblicazione su Nature.
Tra l’Istituto Superiore di Sanità e l’Istituto di Neurochirurgia dell’Università Cattolica è in atto, infatti, una stretta e proficua collaborazione scientifica per lo studio dei tumori cerebrali, che ha portato, fra l’altro, alla creazione di una banca delle cellule staminali del glioblastoma, indispensabile per analisi biomolecolari su larga scala. Il passo successivo, è rappresentato dai futuri target terapeutici per i quali sono già al lavoro anche i ricercatori del Besta, che stanno cercando di definire con più precisione i meccanismi molecolari coinvolti nella produzione di vasi da parte delle cellule staminali tumorali.
Un premio a chi lavora contro il dolore inutile in Toscana
È giunto alla quarta edizione il Premio Nazionale Nottola-Mario Luzi, istituito da Cittadinanzattiva Toscana onlus - Tribunale dei Diritti del Malato, Assessorato al diritto alla salute della Regione Toscana, Società della Salute Valdichiana Senese, sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica. Il premio, rivolto a chi - operatori sanitari, ricercatori, laureati - si è impegnato a vario titolo nella lotta contro il dolore inutile, è dedicato a Mario Luzi, poeta e senatore della Repubblica, scomparso nel 2005, che in una dedica a Rita Levi Montalcini parlò di “devoto omaggio di un compagno di lotta contro la sofferenza inutile, essendo quella utile più che sufficiente alla prova umana".
«Non provare dolore inutile è un diritto di ogni cittadino», ha sottolineato anche l'assessore al diritto alla salute della Toscana, Daniela Scaramuccia. Se, infatti, il dolore può essere una spia utile per la comprensione della malattia, quando diventa esso stesso "malattia", causa di ulteriori sofferenze, allora dev'essere combattuto con tutti i mezzi a disposizione. Il bando di concorso del Premio, rivolto ad operatori sanitari, neolaureati, ricercatori, è pubblicato sui siti della Regione Toscana e di Cittadinanzattiva scade il 30 aprile 2011. La cerimonia di consegna del premio avrà luogo il 10 settembre 2011 nel Teatro Poliziano di Montepulciano.
Nuovo chip per scovare le cellule cancerose più pericolose
Ricercatori del Massachusett General Hospital hanno sviluppato un dispositivo (chip) a microfluidi in grado di catturare con efficacia rare cellule tumorali che si trovano nel sangue (in rapporto di 1 per ogni miliardo di cellule sanguigne). Grazie alla nuova tecnologia è possibile catturare un numero sufficiente di cellule “rare”, per poi poterle analizzare per la creazione di marker molecolari specifici e per lo sviluppo delle cosiddette target therapies. Il nuovo dispositivo è costituito da una superficie interna con un design a spina di pesce, che genera un vortice nel flusso sanguigno allo scorrere del sangue. Questo vortice permette di portare le cellule tumorali a stretto contatto con gli anticorpi posti sulla superficie del chip, i quali, mediante specifiche molecole, agganciano le cellule tumorali. Per la prima volta e a livello sperimentale, il chip ha permesso di isolare cluster specifici di cellule tumorali, che potrebbero permettere di far luce sui meccanismi di diffusione dei tumori nei tessuti e sulle modalità di mutazione delle cellule metastatiche. Lo studio, pubblicato su Technology Review, si basa sull’assunto che i tumori, prima di mutare in metastasi, rilasciano un piccolo numero di cellule tumorali nel sangue e che intercettare tali cellule attraverso un campione sanguigno rappresenti il modo più facile per per selezionare i farmaci più appropriati, evitando tecniche chirurgiche invasive (come le biopsie) necessarie per l’effettuazione di test molecolari.
Le donne straniere rischiano di più il tumore al collo dell’utero
Secondo una ricerca presentata a Verona, dell’Osservatorio nazionale screening in collaborazione con l’Istituto Oncologico Veneto, tra le donne immigrate dal Sudamerica e, in misura minore tra quelle provenienti dall'Est europeo, si riscontrerebbero tumori invasivi dell'utero molto più frequentemente rispetto alle italiane. Se, infatti, tra le donne italiane il tasso di tumori invasivi si attesta intorno a 9,5 per 100mila, in quelle dell'Est Europeo giunge a 38,3 per 100mila, mentre nelle donne centro-americane addirittura a 60,5. Non sono state invece rilevate differenze nelle donne provenienti dalle altre aree del mondo rispetto alle italiane. Il problema sembrerebbe essere dovuto alla inferiore adesione ai programmi di screening delle donne straniere rispetto a quello delle italiane, senza contare che l’offerta in questo campo è comunque molto variabile da Regione a Regione. Il direttore dell'Osservatorio, Marco Zappa, ha evidenziato la necessità di nuove iniziative per raggiungere quelle donne che per condizione sociale o culturale hanno più difficoltà a aderire ai programmi di screening. Serve insomma più informazione “a bassa soglia”, più capacità da parte delle strutture mediche di entrare in contatto con donne di culture diverse che vivono la loro diversità in un Paese straniero.
Si riduce in 10 anni il rischio di mortalità per trapianto allogenico
Il rischio di morte per trapianto allogenico di cellule ematopoietiche negli ultimi dieci anni si è progressivamente ridotto ed è aumentata anche la sopravvivenza dei pazienti nel lungo termine. Questi, in sintesi, i risultati di uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine e condotto da ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle (Usa), grazie al sostegno del National Institutes of Health. I risultati della ricerca infatti parlano di riduzione del danno d'organo, delle infezioni e della reazione acuta grave da rigetto (GVHD, graft-versus host disease). Gli studiosi hanno analizzato la mortalità globale, la mortalità non preceduta da recidiva, le condizioni maligne ricorrenti e la frequenza e severità delle complicanze maggiori del trapianto e le complicanze epatiche, renali, polmonari e infettive, in 1418 pazienti con trapianto eseguito fra il 1993 e il 1997 e in altri 1148 pazienti con trapianto eseguito nel periodo 2003-07. In questo periodo, rispetto al precedente, è stata osservata una diminuzione significativa della mortalità non preceduta da recidiva, sia a 200 giorni (del 60%) che globale (del 52%), del tasso di recidiva o della progressione della neoplasia maligna (del 21%) e della mortalità globale (del 41%). Gli autori hanno anche osservato una riduzione significativa del rischio di GVHD grave, di infezioni e di danni a fegato, reni e polmoni.
Un nuovo vaccino contro i tumori cerebrali?
È partito negli Stati Uniti uno studio di fase I per verificare l’efficacia di un nuovo vaccino, messo a punto dal ricercatore Hideho Okada della University of Pittsburgh, per fermare la crescita di alcuni tumori cerebrali, i gliomi di basso grado. Certo, ci vorranno anni di ricerca per testare il nuovo prodotto. La sperimentazione, comunque, dovrebbe dare i primi risultati già nei prossimi mesi e gli studi sono già partiti presso il Wake Forest University Baptist Medical Center di Winston-Salem nella North Carolina e l’Università di Pittsburgh. Il trial, finanziato dal National Cancer Institute, prevede un primo arruolamento di 18 pazienti con gliomi di basso grado, i più comuni tumori primari del sistema nervoso che in genere colpiscono bambini e giovani adulti tra i 20 e i 40 anni e spesso recidivano dopo la chirurgia e la radioterapia trasformandosi in tumori più aggressivi. «L’idea di fondo è trattare questi tumori per impedirgli di crescere», ha spiegato Edward Shaw, che segue lo sviluppo del vaccino da anni insieme al collega Waldemar Debinski. «In questa fase precoce dello studio vogliamo vedere se il paziente sviluppa una risposta immunitaria contro il cancro, un passo necessario perché il vaccino funzioni».
Fumo passivo: uno studio del Karolinska Institute su 192 paesi
Alcuni studiosi del Karolinska Institute di Stoccolma hanno eseguito una stima dell'impatto a livello mondiale delle malattie dovute agli effetti del fumo passivo, suggerendo interventi clinici atti a ridurne l’impatto anche soprattutto nel campo della sanità pubblica. L'esposizione al fumo passivo è diffusa e riconosciuta in molti Paesi ma l'estensione del problema a livello mondiale è solo parzialmente descritta. Lo studio svedese pubblicato su The Lancet ha invece stimato l’esposizione mondiale al fumo passivo e il relativo impatto sulla salute nei bambini e negli adulti nel 2004 in 192 Paesi. Nel mondo, il 40% dei bambini, il 33% degli uomini e il 35% delle donne (non fumatori) sono stati esposti a fumo passivo nel 2004. Tale esposizione è stata stimata essere causa di morte di 379.000 persone per malattia ischemica cardiaca, 165.000 per infezioni del basso tratto respiratorio, 36.900 per asma e 21.400 per cancro al polmone. In totale 603.000 decessi attribuibili alle conseguenze del fumo passivo nel 2004, cioè circa l'1% della mortalità mondiale. Inoltre, il 47% dei decessi per il fumo passivo ha interessato le donne, il 28% i bambini e il 26% gli uomini. La ricerca è stata finanziata dal Swedish National Board of Health e dal Welfare and Bloomberg Philanthropies.
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