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Superare il gap tra uomini e donne nelle terapie

Monica Melotti, N. 3 marzo 2011

Il farmaco è maschio, testato e sperimentato su cavie di sesso maschile. È ancora lontana la prospettiva di una cultura farmaceutica a misura di entrambi i sessi e le conseguenze sono rischi più elevati per le donne, che si ritrovano ad assumere farmaci non studiati appositamente per loro. Eppure le donne sono le maggiori utilizzatrici di medicine, ma i trial clinici sono effettuati quasi esclusivamente sui maschi giovani. Così le donne hanno quasi il doppio di eventi avversi da farmaci rispetto ai maschi e spesso si tratta di eventi più gravi. Su questo tema, oggetto di numerose battaglie delle reti femministe internazionali, Flavia Franconi, docente del Dipartimento di Scienze del Farmaco all’Università di Sassari, ha scritto due libri. Il primo, più tecnico e scientifico, “Farmacologia di genere” (ed. Scientifiche) propone di diffondere gli elementi base della farmacologia di genere, per sottolineare che le donne non vanno intese, nemmeno dal punto di vista farmacologico e clinico, come “piccoli uomini”. Il secondo volume “La salute della donna - un approccio di genere” (Ed. Franco Angeli), in collaborazione tra l’Osservatorio Nazionale sulla salute della donna (Onda) e Farmindustria, in un linguaggio più semplice, sottolinea ancora come uomini e donne presentano significative differenze riguardo l’insorgenza e l’andamento di molte malattie. Da qui il bisogno di sviluppare ulteriormente la ricerca e la medicina di genere.

Ancora troppe discriminazioni
«Il problema dei test sui farmaci è di lunga data; il fatto è che le cavie femmine sono più "scomode" da usare perché avendo il ciclo estrale obbligano ad inserire più variabili nell'esperimento», spiega Franconi. «Inoltre, anche quando sono incluse nello studio, le donne arruolate sono troppo giovani, non hanno mai avuto una gravidanza. Ma questo cambia tutto perché i farmaci, mediamente, sono prescritti soprattutto a donne adulte che hanno già avuto figli e la tempesta ormonale che si verifica in seguito a una gravidanza modifica molto l'organismo femminile e la sua risposta ai farmaci».
La stessa discriminazione si riscontra nelle sperimentazioni cliniche, anche se c’è stato un parziale miglioramento: tra i volontari arruolati in fase I e II solo il 30% è donna; per l'ultima fase sperimentale, fase III, siamo giunti oggi quasi a un pareggio uomo/donna tra i volontari, tranne che per alcuni farmaci come i cardiovascolari.
«La più dimenticata resta la donna anziana, soprattutto se assume terapie ormonali che possono interferire con altri farmaci», continua la specialista. «E poi anche la donna fertile che prende anticoncezionali (il 30% delle donne usa la pillola): i farmaci in commercio per varie indicazioni non sono testati studiando eventuali interazioni con l'anticoncezionale che, invece, influisce sul metabolismo di altre medicine. Non a caso la donna va incontro a quasi il doppio degli effetti avversi da farmaci rispetto all'uomo e si tratta di eventi in media più gravi. E poi c'é il problema delle dosi di farmaco, studiate su un uomo di 70 chili, ma la donna pesa anche molto meno. E addirittura già in età pediatrica gli effetti di un farmaco differiscono per sesso. Il problema è che il corpo maschile metabolizza i farmaci in modo diverso da quello femminile e si suppone che in alcuni casi il farmaco abbia addirittura un meccanismo d'azione diverso nei due sessi».

La donna è sempre la più penalizzata
Per cercare di superare questo gap di conoscenze è nata la farmacologia di genere, che evidenzia se le risposte ai farmaci sono diverse fra uomini e donne, considerando anche le variazioni fisiologiche della donna. Non bisogna tenere conto solo della differenza dei sessi, ma considerare anche l’età o il particolare momento di vita delle donne. Lo scarso studio e la poca considerazione delle differenze biologiche e sociali hanno prodotto il “paradosso donna”: le donne vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più, usano maggiormente i servizi sanitari, hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute.  La conferma viene anche dai dati Istat del 2007 che evidenziano come la disabilità femminile sia circa il doppio in confronto a quella maschile, con valori rispettivi di allettamento prolungato e disabilità nelle funzioni quotidiane parti al 17% nelle donne rispetto a quasi il 9% degli uomini. È quindi opportuna la partecipazione delle donne agli studi randomizzati in doppio cieco. Tali studi rappresentano infatti il gold standard della ricerca clinica, perché riducono gli errori di selezione. «Fino al 1993, l’arruolamento delle donne negli studi clinici di intervento era sconsigliato dalla Fda, perché si reputava che, al di fuori della sfera sessuale, l’uomo e la donna fossero molto simili (gender blindness)», spiega Franconi. «Questa cecità (gender blindness) in farmacologia è silenziosamente giustificata, anche dal fatto che la maggior variabilità di risposta farmacologica delle donne implicherebbe la necessità di un numero più elevato di gruppi sperimentali e di ampliamento del campione dei soggetti in sperimentazione, allungando tanto i tempi ed aumentando soprattutto i costi della ricerca. Al pregiudizio di genere si aggiunzione poi la reticenza delle donne a partecipare alle sperimentazioni cliniche, dovuta al timore di ledere la propria capacità riproduttiva o alla carenza di tempo dovuta agli impegni familiari e di caregiver».

I farmaci a misura di donna
Qualcosa sta cambiando, lentamente, ma in modo costante. Sono, infatti, circa mille i medicinali in sviluppo nel mondo per le malattie ginecologiche e per quelle che colpiscono una parte consistente dell’universo femminile quali, ad esempio, il diabete, le patologie tumorali, muscolo-scheletriche e autoimmuni. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nella ricerca farmaceutica che mira a mettere al centro le differenze di genere: uno degli obiettivi della medicina del Terzo Millennio è infatti la cura personalizzata, che necessariamente deve considerare la differenza tra uomo e donna. Dal 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità chiede che l’integrazione delle considerazioni di genere nelle politiche sanitarie diventi pratica standard in tutti i suoi programmi. Oggi la medicina di genere si trova in una fase che vede impegnate molte aziende farmaceutiche in un percorso virtuoso di sviluppo di medicinali "ad hoc" per l’universo femminile. «Le donne - spiega Francesca Merzagora, presidente dell’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (O.N.Da) - vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più ed hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute. In Italia la prevalenza di patologie psichiatriche, ad esempio, nelle donne è del 7,4% e del 3,1% negli uomini, oppure l’osteoporosi del 9,2% nelle donne e 1,1% negli uomini».
La medicina di genere è adesso anche un obiettivo di sanità pubblica. Comprendere il diverso meccanismo di funzionamento dei farmaci in uomini e donne significa avere cure più appropriate e quindi ottimizzare i risultati, ma anche ridurre i costi del Servizio Sanitario Nazionale.

Uomo&Donna, due modi diversi di ragionare
Ma chi l’ha detto che esiste il sesso debole? E che le donne di oggi sono diverse dalle loro nonne? Ci sono atteggiamenti, modi pensare e di agire, che sono sempre i medesimi nelle donne di tutti i secoli, con la differenza che ora per certi comportamenti ci sono le spiegazioni scientifiche. Prendiamo per esempio la capacità di ragionamento e, più in generale, i meccanismi che regolano l’intelligenza. «Le donne si affidano di più all’intuizione e hanno la capacità di portare avanti più attività in contemporanea», dice il dottor Leonardo Milani, psicologo e direttore dell’Istituto di psicologia del benessere di Ferrara. «È assodato anche attraverso gli studi che questo avviene per una ragione fisiologica. Nel cervello è presente una struttura composta da fibre che viene chiamato corpo calloso. Le fibre permettono all’emisfero di destra di comunicare con quello di sinistra. Nelle donne il corpo calloso è più spesso: questo permette ai due emisferi di comunicare tra di loro più facilmente e spiegherebbe la differenza per quanto riguarda la capacità di ragionare».
In pratica, l’emisfero di sinistra è responsabile dei ragionamenti di tipo sequenziale che sono caratteristici dei maschi. Mentre nell’emisfero destro avvengono i ragionamenti paralleli, cioè vengono portati avanti più operazioni in contemporanea. Se tra i due emisferi ci sono più collegamenti, come avviene  per le donne, i ragionamenti paralleli hanno più possibilità di raggiungere l’emisfero sinistro e di influenzare le decisioni, anche se un ragionamento logico porterebbe a un'altra soluzione.
Ma c’è dell’altro, a spiegare certi comportamenti tipici femminili. Nella donna ha uno spessore maggiore una zona cerebrale dei lobi frontali che coordina  la memoria a breve termine e la programmazione e la valutazione delle procedure per raggiungere uno scopo. Questa parte è collegata con le aree limbiche, cioè con quelle zone che sono sede dell’emotività e che nella donna si attivano più intensamente. La donna può così “sentire” a livello emozionale una serie di variabili che l’uomo non è in grado di percepire. Per questo motivo i ragionamenti che portano a una decisione nella donna sono maggiormente influenzati dall’aspetto emotivo rispetto agli uomini e possono portare a scelte che un uomo scarterebbe subito, ma che alla fine possono risultare vincenti. Il cervello femminile è anche più elastico rispetto a quello maschile, tanto che la donna ha la tendenza ad analizzare uno spettro più ampio di variabili prima di prendere una decisione.
Le spiegazioni però non sono terminate. Ce ne sono anche sulla memoria e sulla sua capacità di orientamento, decisamente diversa da quella maschile. «La donna si muove sicuramente con maggiore autonomia, anche quando si trova in luoghi sconosciuti, per una differenza nell’emisfero cerebrale»,  continua lo specialista. «Nel cervello femminile infatti è più sviluppata la parte responsabile della memoria chiamata fotografica. È la ragione per cui la donna riesce a ritrovare una strada dov’è già stata una volta, senza utilizzare una cartina stradale ma semplicemente affidandosi a dei punti di riferimento. Unico neo, nella donna, i cali di memoria si fanno sentire già intorno ai 45 anni, durante la premenopausa».
Ma anche qui, una ricerca ha scombinato delle credenze radicate. Un tempo, infatti, l'idea comune era che anche la memoria dipendesse dai cali di estrogeni. Non è proprio così e lo ha dimostrato uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Neurology. È vero, infatti, che sei donne su dieci nel periodo prima della menopausa hanno un calo nella capacità di ricordare. Ma, hanno scoperto gli esperti, dipende dal momento di crisi che molte vivono con la premenopausa. La prova? Con la menopausa, che coincide con un "nuovo" equilibrio psicologico, la memoria torna brillante come prima che iniziassero i capricci ormonali.  

“La salute della donna - un approccio di genere” (Ed. Franco Angeli)
In Italia le donne vivono più a lungo rispetto agli uomini ma si ammalano di più e, ancora troppo spesso, la loro domanda di salute non trova adeguata risposta né supporto. Questo volume, scritto da Flavia Franconi, in collaborazione fra O.N.Da e Farmindustria, intende contribuire alla costruzione di una “medicina di genere”, cioè di una medicina che sappia tenere conto di tutte le fisiologiche differenze tra uomini e donne.
L’ampliamento di una visione di genere a molti campi della medicina permetterà di raggiungere la consapevolezza che il genere debba essere tenuto in considerazione quale parametro fondamentale tanto negli studi clinici, quanto nella pratica. Questo, insieme a una politica più attenta e a una migliore consapevolezza da parte di tutti gli interlocutori coinvolti, potrà garantire la messa a punto di una salute a misura di donna e dunque di una medicina veramente personalizzata.

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