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Come superare la sindrome del burn-out
Monica Melotti, N. 12 dicembre 2010
Le problematiche relative allo stress lavorativo e alla gestione delle risorse umane hanno acquisito negli ultimi anni una particolare rilevanza; viene finalmente riconosciuta l’importanza dei fattori psicologici lavorativi e dell’impatto che possono avere sul benessere dell’individuo, prendendo atto di una letteratura scientifica ampiamente consolidata.
Al professionista di oggi la società richiede qualcosa in più rispetto al passato; lo chiede a volte senza dargli la possibilità di avere a disposizione gli strumenti idonei per potersi aggiornare e formare rispetto alle nuove necessità. Quali sono le richieste più pressanti?
«Prima di tutto la flessibilità, competenza e maggiore professionalità, quali esiti di una formazione alla professione più globale, che comprende aspetti tecnici, psicologici, manageriali», risponde Ferdinando Pellegrino, psichiatra all’Asl di Salerno. «Questa complessa realtà può generare fenomeni come il burn-out in quanto direttamente correlato a condizioni di stress lavorativo con conseguenze negative sull’efficacia professionale. Lo stress lavorativo - killer emergente - incide infatti sul benessere e sulla sicurezza dell’individuo e rappresenta una minaccia per le aziende sanitarie».
L’individuo stressato in ambito sanitario
Spesso il distacco emotivo e la mancanza di empatia rappresentano conseguenze più dirette di una cattiva gestione delle proprie valenze emotive. In ambito clinico occorre fare i conti con il profondo coinvolgimento affettivo, l’irritazione, l’indecisione, la noia, il distacco emotivo, la presenza di forti sentimenti di aggressività e con altre emozioni non sempre facili da gestire.
«Le difficoltà del rapporto tra medico e paziente nascono spesso da incomprensioni comunicative frapposte da movimenti emozionali non riconosciuti o sottostimati», continua lo psichiatra. «A ciò si aggiunge la scarsa o nulla formazione in tale ambito e la mancanza di attenzione nei riguardi del proprio mondo emotivo. Tutto questo rende l’operatore più vulnerabile allo sviluppo di condizioni di stress lavorativo, con inevitabili conseguenze sul rapporto con il paziente. È addirittura possibile che l’inadeguatezza rispetto alla gestione delle proprie emozioni diventi un fattore in grado di disturbare l’atteggiamento del medico nei confronti della malattia e può giungere a condizionare anche il contenuto delle informazioni al paziente ai fine di una scelta terapeutica del medico nei confronti della malattia. Prima ancora che con le parole, il medico parla tramite se stesso, con il suo modo di essere e di agire, con la sua capacità di ispirare fiducia e di trasmettere ottimismo e speranza; la comunicazione preverbale è naturale, immediata e istintiva, nasce dal profondo dell’animo, rappresenta la premessa che regola in modo sostanziale le relazioni umane e rispecchia i vissuti emotivi dell’operatore. Prima ancora di aver abbracciato o stretto la mano a una persona si trasmette l’autenticità dell’interesse emotivo che si ha per lei, la propensione a essere affettuosi, la disponibilità all’ascolto e al prendersi cura della persona con cui ci si relaziona». Tali osservazioni trovano oggi conferma negli studi a livello neurologico dei sistemi di risonanza (i neuroni specchio) che risultano implicati in molte funzioni sociali, compresi apprendimento, evoluzione del linguaggio gestuale e verbale, e sintonizzazione empatica.
I programmi per combatterlo
Da qui la necessità di realizzare adeguati programmi di prevenzione dello stress lavorativo attraverso strategie ben precise mirate alla formazione degli operatori e all’organizzazione del lavoro e ad una sempre migliore e più qualificata gestione delle risorse umane. Occorre favorire una maggiore sensibilità rispetto a queste patologie sia in senso diagnostico che terapeutico; inoltre, il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro ansiosodepressivo consente di attuare idonee strategie terapeutiche in grado di evitare la strutturazione dei sintomi in quadri clinici di maggiore complessità e di difficile gestione.
«L’8 ottobre 2004 è stato siglato l’Accordo quadro europeo sullo stress lavoro-correlato», continua Pellegrino. « È stato recepito in Italia il 9 giugno 2008 con un Accordo interconfederale, il quale stabilisce che tra gli obblighi giuridici a carico del datore di lavoro rientra la prevenzione, l’eliminazione o la riduzione dei problemi di stress lavoro-correlato. Un tassello questo di fondamentale importanza che trova espresso riferimento nel Decreto legislativo del 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Oggetto di tutela è la salute intesa come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo un’assenza di malattia o d’infermità. Tale definizione segna un’importante svolta giuridica: occorre assicurare all’operatore sanitario un clima organizzativo idoneo non solo a prevenire il disagio, ma anche a stimolare e favorire condizioni di ben-essere. L’obiettivo della normativa appare innovativo e presuppone una modificazione culturale che vada ad interessare ogni livello organizzativo».
Tali innovazioni appaiono altresì in linea con il contestuale aggiornamento dell’elenco delle malattie professionali per le quali è obbligatoria la denuncia (GU 74 dell’1.4.2010 Supp 66), ove sono stati inseriti tra “i nuovi agenti patogeni” le disfunzioni dell’organizzazione del lavoro e le malattie ad esse connesse.
«In tale ottica sono state elaborate strategie di formazione - il fitness cognitivo-emotivo - basate su metodiche di apprendimento che si ispirano ai concetti della moderna psicologia», continua lo psichiatra. «Le modalità di apprendimento sono realizzate in piccoli gruppi di lavoro, inseriti nel contesto dei corsi ECM, che impegnano il professionista all’acquisizione di una maggiore consapevolezza delle proprie risorse emotive e cognitive.
L’obiettivo è rendere più trasparente il rapporto con se stessi per consentire un migliore accesso alle emozioni del paziente (empatia).
Lavorare in gruppo, esprimere emozioni e condividerle con gli altri colleghi affina la capacità clinica di giudizio e consente di porre le basi di un rapporto di fiducia che vede medico e paziente alleati lungo il percorso di malattia.
Questo processo apporta benefici anche sul versante personale; la capacità di decodificare e gestire le proprie emozioni aiuta a promuovere il benessere e a riconoscere i limiti umani e professionali dell’agire quotidiano facilitando l’attuazione di uno stile di vita più funzionale».
Le persone più colpite
Medici, infermieri, psicologi, terapisti della riabilitazione, assistenti sociali, poliziotti, sacerdoti, avvocati, insegnanti… rientrano tra le categorie particolarmente esposte a condizioni di stress lavorativo, in quanto si tratta di professioni d’aiuto in cui il carico emotivo dell’attività professionale - rapportato alla tipologia dell’utenza - appare più rilevante rispetto ad altre.
Dal punto di vista descrittivo il burn-out può essere definito un processo inefficace di adattamento ad uno stress individuale eccessivo, una condizione di disadattamento, nata da un processo transazionale che rappresenta una soluzione di accomodamento o di compromesso, una transazione con la propria coscienza di fronte a situazioni di lavoro non altrimenti gestibili, un processo nel quale un professionista precedentemente impegnato, si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress e alla tensione sperimentati sul lavoro e caratterizzato da esaurimento emotivo, depersonalizzazione, ridotta realizzazione personale.
Dal punto di vista clinico i sintomi del burn-out sono molteplici, richiamano i disturbi dello spettro ansioso-depressivo, con frequente espressività somatica (disturbi funzionali o somatizzazioni) ed è comunque forte la correlazione sintomatologia con condizioni di stress; molto spesso la sofferenza psicologica viene ad estrinsecarsi a livello comportamentale, con insolita irritabilità e litigiosità fino all’assunzione di stili di vita disfunzionali (eccessivo fumo di sigarette, abuso di alcolici, gambling, non compliance al trattamento farmacologico ad esempio in corso di patologie come il diabete e l’ipertensione ...).
Il prerequisito fondamentale per l’efficacia professionale è l’equilibrio dell’operatore; la presenza del burn-out tende quindi a rendere insostenibile un rapporto empatico con il paziente in quanto l’empatia presuppone una particolare propensione all’ascolto, una disponibilità umana, una tranquillità d’animo che può concretizzarsi solo se il medico ha una piena consapevolezza del proprio essere ed una padronanza delle tensioni e frustrazioni emotive correlate a vicende umane e professionali.
Le cause più frequenti di stress lavorativo
- Burocrazia
- Esercitare la propria attività in branche della medicina non affini ai propri interessi e/o alle proprie competenze
- Sovraccarico lavorativo
- Lavorare in strutture amministrative mal gestite
- Difficoltà relazionali con i colleghi
- Mancanza o inadeguata presenza di autonomia decisionale
- Presenza di problematiche familiari o relazionali
- Scarsa retribuzione
- Assenza di stimoli che motivano la propria crescita professionale
Segni e sintomi del burn-out
- Astenia e senso di stanchezza
- Demotivazione e frustrazione
- Sensazione di fallimento, rabbia e risentimento
- Senso di colpa e disistima
- Vissuti di solitudine e difficoltà relazionali
- Perdita di sentimenti positivi verso gli utenti, cinismo
- Riduzione dell’efficacia lavorativa
- Incapacità a comprendere i vissuti emotivi altrui (mancanza di empatia)
- Sensazione di immobilismo, difficoltà a prendere iniziative
- Seguire in modo crescente procedure rigidamente standardizzate
- Insonnia, mal di testa e disturbi gastrointestinali
- Irritabilità, conflittualità lavorativa e familiare
- Assenteismo o presenteismo
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