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ESMO: importanti novità
Vera Lanza, N. 12 dicembre 2010
Dal Congresso della Società europea di oncologia medica, ESMO, che si è svolto a Milano, il più importante appuntamento continentale del settore, sono emerse importanti novità sul tumore all’ovaio, quello al seno e sul carcinoma polmonare non a piccole cellule.
Partiamo dal tumore all’ovaio: uno studio dimostra che è possibile ritardare le recidive. Si aprono nuove strade nel trattamento di questa patologia che ogni anno in Italia colpisce circa 4500 donne (nella forma più frequente, quella epiteliale) e provoca 3000 decessi. E soprattutto è particolarmente insidioso perché si ripresenta anche a distanza di tempo dalla prima battaglia. Otto malate su 10 sperimentano una ricaduta, ma ora sembra possibile ritardare le recidive associando alla chemio un farmaco intelligente che “affama” la neoplasia. Si tratta del bevacizumab, un farmaco biologico che agisce inibendo l'angiogenesi e ha dimostrato di aumentare del 15% a un anno la probabilità per le donne di vivere più a lungo senza che la neoplasia peggiori. Un risultato importante per un tipo di cancro che nell'80% delle pazienti tende a recidivare. I dati vengono dallo studio internazionale ICON 7 e sono stati presentati, suscitando grande interesse dei 15mila esperti riuniti, al 35esimo Congresso della Società europea di oncologia medica, ESMO, che si è svolto a Milano, il più importante appuntamento continentale del settore. «Si tratta di una svolta importante nel trattamento di una malattia che negli ultimi anni non ha offerto nuove opzioni terapeutiche - spiega il professor Sandro Pignata dell'Istituto Tumori Fondazione “G. Pascale” di Napoli -. In questa forma di cancro la diagnosi precoce è difficile perché non vi sono sintomi che la permettano. Con la conseguenza che nell'80% dei casi il tumore viene scoperto solo quando è già in fase avanzata». Lo studio ICON7 ha coinvolto 1528 donne, suddivise in due gruppi: al primo è stato somministrato il trattamento standard, al secondo la chemioterapia tradizionale associandola a bevacizumab. «Siamo riusciti a cronicizzare la malattia grazie alle armi che abbiamo oggi a disposizione - continua il professor Pignata -. Uno dei problemi più importanti nel trattare questa patologia non è la risposta iniziale alla chemioterapia, ma il fatto che per la maggior parte delle pazienti il tumore si ripresenta dopo un certo periodo di tempo, nella maggior parte dei casi entro 15 mesi dalla diagnosi iniziale». «Anche se non vi sono fattori di rischio chiaramente dimostrati - sottolinea il professor Marco Venturini, presidente eletto dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) - è importante puntare sulla prevenzione. Attenzione quindi allo stile di vita, seguendo un'alimentazione corretta ed evitando il fumo di sigaretta. Sappiamo inoltre che le donne con una parente di primo grado colpita da carcinoma ovarico hanno un rischio più elevato di svilupparlo. Si tratta di tumori causati da mutazioni genetiche ereditarie. E oggi sono disponibili test per accertare queste alterazioni». Bevacizumab agisce inibendo l'angiogenesi, cioè la crescita di nuovi vasi sanguigni e limitando ulteriormente l'apporto di sangue al tumore. Il farmaco è già approvato in Europa per il trattamento degli stadi avanzati di 4 tipi di tumori: il carcinoma del colon-retto, del seno, del polmone e del rene.
Arrivano gli “anticorpi armati” contro il cancro al seno. Anticorpi armati da utilizzare come bombe di precisione da “lanciare” nel cuore del cancro, per colpire solo il bersaglio “malato” e abbattere così gli effetti più devastanti della vecchia chemio: primo fra tutti, la perdita di capelli. A guidare la nuova era di terapie intelligenti contro il cancro al seno è il T-DM1, il primo di una classe di molecole denominate “anticorpi armati”, che arriva dopo 30 anni di tentativi falliti e che combina i benefici clinici di trastuzumab (che già ha cambiato per il meglio la storia naturale della malattia HER2 positiva) con un potente chemioterapico impossibile da somministrare da solo perché troppo tossico: il DM1, della famiglia delle maitansine. T-DM1 è una molecola rivoluzionaria che funziona come vettore e trasporta con sé una sostanza altamente tossica per l'organismo se somministrata in modo normale, ma super-efficace se rilasciata esclusivamente contro il bersaglio, solo lì dove proliferano le cellule neoplastiche. Il T-DM1 trova impiego finora nel cancro del seno, ma rappresenta un modello per molti farmaci a venire anche in altri tumori. Lo studio TDM4450 ha suscitato entusiasmo generale nella Comunità Scientifica riunita al congresso della Società Europea di Oncologia che si è svolto a Milano. «Sono stati ottenuti risultati eccellenti - sottolinea il professore Luca Gianni dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano - nel trattamento del tumore del seno HER2 positivo, una forma che ogni anno in Italia colpisce circa 8000 donne». Con la nuova molecola anche gli effetti collaterali sono decisamente inferiori rispetto a quelli causati dal trattamento tradizionale con l'anticorpo e chemioterapia. Per esempio l'alopecia si è ridotta dal 45% al 2%, così come la neutropenia e problemi intestinali. «Si apre una nuova era su due fronti - conferma Marco Venturini, presidente eletto dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) -. Da un lato, abbiamo a disposizione un'arma rivoluzionaria da utilizzare nel tumore del seno HER2 positivo. Dall'altro T-DM1 è un esempio efficace di quella che viene definita veicolazione specifica della chemioterapia alle cellule bersaglio». In Italia, circa 40mila donne ogni anno sono colpite da tumore della mammella, che risulta così il secondo carcinoma più diffuso e ancora il primo per mortalità nel sesso femminile sotto i 55 anni. L'avvento delle terapie target, unito alla diffusione degli screening e al miglioramento delle tecnologie per la diagnosi, ha modificato in questi anni lo scenario della lotta alla patologia. Tra i protagonisti del cambiamento gli anticorpi monoclonali, che hanno la capacità di colpire con precisione le cellule malate senza danneggiare quelle sane. «Oggi - continua Gianni - assistiamo a un'ulteriore rivoluzione con strumenti ancora più potenti, i cosiddetti anticorpi armati, di cui T-DM1 rappresenta il capostipite che giunge dopo 30 anni di tentativi falliti di coniugare un anticorpo per andare a bersaglio e una tossina per ucciderlo. Nel T-DM1 il DM1, impossibile da somministrare da solo per i gravissimi effetti collaterali, si fa portare all'obiettivo del tumore dal trastuzumab, senza quasi lasciare traccia sui tessuti sani». Lo studio presentato all'ESMO è il primo lavoro randomizzato di fase II condotto su 137 pazienti colpite da tumore del seno metastatico HER2 positivo precedentemente non trattate che ha confrontato T-DM1 con l'attuale standard terapeutico. «I primi risultati sono estremamente positivi - commenta Gianni -. La riduzione del tumore ha mostrato di essere simile nelle donne trattate con T-DM1 e in quelle a cui è stato somministrato trastuzumab in combinazione con la chemioterapia, a costo di effetti collaterali molto modesti. Si è aperta una nuova strada maestra - ribadisce l'oncologo dell'Int milanese - che ci si augura possa portare a un notevole passo in avanti nella lotta al tumore del seno. Viste le premesse, c'è da augurarsi lo sviluppo del T-DM1 proceda rapidamente e il farmaco sia presto disponibile per le nostre pazienti».
BOX: Per il tumore al polmone non a piccole cellule una terapia personalizzata
Diagnosi molecolare e terapia personalizzata per il tumore al polmone non a piccole cellule (NSCLC): il test diagnostico per l’identificazione della mutazione dell’egfr nel tumore al polmone non a piccole cellule è oggi una realtà in Italia, grazie all’istituzione del network nazionale egfr-fastnet. Un contributo fondamentale per una patologia che colpisce in italia oltre 30.000 persone l’anno. Dopo più di 30 anni privi di sostanziali progressi nelle strategie terapeutiche del NSCLC, oggi la medicina molecolare consente di personalizzare la cura del paziente. In particolare, le nuove tecnologie consentono sia di affinare la diagnosi, grazie all’analisi di specifici marcatori tumorali, sia di personalizzare la terapia, grazie a nuovi farmaci mirati ad elevata efficacia. «Il Congresso ESMO è lo specchio fedele dell'incessante progresso nelle conoscenze sulla biologia molecolare della malattia tumorale e in particolare delle mutazioni che si verificano nel DNA delle cellule malate neoplastiche, - afferma il Professore Lucio Crinò, Direttore UO Oncologia Azienda Ospedaliera di Perugia -. Sono proprio queste nuove conoscenze che hanno aperto la strada all’avvento di una terapia personalizzata nel tumore del polmone».
Il carcinoma del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato è una malattia che rappresenta, a livello mondiale, la prima causa di morte per cause oncologiche, con 1.300.000 di nuovi casi diagnosticati ogni anno. La scoperta che ha permesso ai ricercatori di compiere un importante progresso in questa direzione è stata la recente identificazione di un marcatore molecolare presente nelle cellule tumorali, in grado di predire la risposta e l’efficacia della terapia con farmaci a bersaglio molecolare, mirati contro le tirosinchinasi (TK). Analizzando i risultati dello studio clinico IPASS, si è infatti scoperto che i pazienti le cui cellule tumorali sono EGFRM+, ovvero presentano mutazioni attivanti a carico del gene EGFR (il gene del recettore del fattore di crescita epidermoidale), hanno un’elevata probabilità di risposta a gefitinib, significativamente superiore alla terapia standard. Ai pazienti con tumore EGFR-M+ (in Europa dal 10 al 15% dei soggetti) è dunque possibile prescrivere gefitinib, una terapia personalizzata e altamente efficace sin dalla prima linea di trattamento, un farmaco a somministrazione orale (1 compressa al giorno) disponibile anche in Italia da alcuni mesi.
Indirizzi utili
ISTITUTO NAZIONALE PER LO STUDIO E LA CURA DEI TUMORI "FONDAZIONE PASCALE"
Via Mariano Semmola - 80131 Napoli
Centralino: 081.5903111
Prenotazioni/informazioni: 081.5462833
www.fondazionepascale.it
Arriva il test EGFR-M+
Rispetto alla chemio standard, la nuova terapia personalizzata promette di aumentare la sopravvivenza e migliorare la qualità di vita, ma va data ai pazienti “giusti”, cioè a quelli che hanno la mutazione bersaglio. Per facilitarne l'identificazione, quindi, è stato attivato il Network
Egfr-Fastnet che mette in rete tutti i centri in grado di eseguire il test specifico. Per accertare lo stato mutazionale dell’EGFR è necessario effettuare un test, che rappresenta, quindi, un passo necessario e indispensabile per diagnosi accurata e per la scelta della migliore strategia terapeutica. Specificamente dedicato all’esecuzione del test EGFR-M sui tumori NSCLC è il Network EGFR FASTnet, un servizio a disposizione di tutti gli ospedali italiani recentemente organizzato, strutturato e supportato da AstraZeneca con l’obiettivo di facilitare e rendere disponibile in tutta Italia l’esecuzione del test per la mutazione di questo particolare gene tumorale. Tutti gli ospedali presenti sul territorio nazionale potranno richiedere l'esecuzione del test EGFR-M ai Laboratori di diagnosi biomolecolare che fanno parte del network. Per ottimizzare i tempi di esecuzione e diagnosi sono disponibili un servizio di call-center dedicato per le richieste di analisi ed un apposito servizio di corriere cui affidare il campione biologico da analizzare. Il Network EGFR FASTnet, utilizzando una piattaforma comune e un software dedicato, rappresenta una vera e propria rete operativa. «In questo circolo virtuoso - commenta il Dr. Nicola Normanno, Direttore Dipartimento di Ricerca dell’ITN Fondazione Pascale di Napoli - sono coinvolte tutte le figure professionali, pneumologi, oncologi, anatomopatologi, biologi molecolari, che svolgono un ruolo importante nella fase di diagnosi, cruciale per decidere la terapia. Il network che è stato realizzato con EGFR FASTnet consente di ridurre notevolmente i tempi necessari alla diagnosi molecolare di mutazione dell’EGFR, dando così la possibilità all’oncologo di somministrare il farmaco più efficace sin dall’inizio della terapia. Questo aspetto ha un impatto significativo sulla strategia terapeutica: come sottolineato dalle attuali raccomandazioni dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica e della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia diagnostica, il tempo per l’esecuzione dell’analisi mutazionale non dovrebbe superare le due settimane dalla richiesta della determinazione».
Ricerca: molecola “promettente” contro il carcinoma del polmone
Sono promettenti i risultati di due studi clinici condotti sul farmaco sperimentale “afatinib” per la cura del carcinoma polmonare non a piccole cellule (Nsclc) in stadio avanzato, presentati al 35esimo congresso della Società europea di oncologia medica (Esmo) a Milano. Assunto per via orale, il farmaco è risultato molto attivo sui pazienti con tumore avanzato nello studio di fase 3 “Lux-lung 1” (la terza fase è quella prima della messa in commercio), mentre nello studio di fase 2 “Lux-lung 2” la molecola ha migliorato la sopravvivenza dei pazienti in stadio avanzato con una mutazione del gene per il recettore del fattore di crescita epidermico (Egfr). «Pur non aumentando la sopravvivenza complessiva - affermano gli esperti - afatinib ha ritardato in maniera significativa la ripresa della progressione del tumore, triplicando il periodo di sopravvivenza libero da progressione di malattia rispetto a placebo (3,3 mesi contro 1,1 mesi). Il beneficio - aggiungono – è stato evidente in tutti i sottogruppi di pazienti e la molecola ha migliorato in modo significativo i sintomi correlati al tumore polmonare, quali tosse, dispnea e dolore». Attualmente sono in corso due altri studi di fase 3 (“Lux-lung 3” e “Lux-lung 6”) per valutare ulteriormente la molecola come terapia di prima linea in pazienti che presentano mutazioni dell'Egfr, anche se per gli esperti entrambi gli studi confermano le potenzialità di afatinib come trattamento di ultima generazione in diversi gruppi di pazienti colpiti da carcinoma polmonare non a piccole cellule.
Premio ESMO al Policlinico Gemelli e di Roma
Premio ESMO (European Society for Medical Oncology) per l'Unità operativa complessa di oncologia medica del Policlinico Gemelli di Roma, per l'innovativo programma di assistenza al malato. Il prestigioso “Palliative Care Designated Centre” conferito dalla Società Europea di Oncologia Medica “Palliative Care Designated Centre” è la designazione ufficiale dell'accreditamento che oggi, in occasione del congresso Esmo che si è svolto a Milano, riceve l'Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica del Policlinico “Agostino Gemelli” (diretta dal professore Carlo Barone). La prestigiosa certificazione, nell'ambito delle iniziative per il World Hospice & Palliative Care Day 2010, è stata consegnata dal dottor Nathan Cherny, direttore del Servizio di Cure Palliative del Dipartimento di Oncologia dello Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme, alla dottoressa Michela Quirino, in rappresentanza della UOC di Oncologia Medica del Gemelli. Il riconoscimento internazionale premia l'impegno profuso nella realizzazione di un vero e proprio programma di assistenza integrata al malato oncologico, denominato “Simultaneous Care Program (SCP)”. Si tratta di una modalità assistenziale innovativa ed estremamente efficace nell'ambito delle cure palliative, che nasce dallo stretto rapporto di collaborazione con l'Hospice “Villa Speranza” dell'Università Cattolica, diretto dalla dottoressa Adriana Turriziani. Il percorso di ciascun paziente, fin dall'iniziale diagnosi di cancro, prevede la cura della malattia, ma anche uno speciale supporto necessario ad affrontare il disagio fisico e psicologico correlato agli effetti collaterali indotti dai trattamenti, fino ai sintomi della malattia stessa e al fine vita.
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