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Novità sul cancro della colonna vertebrale

Cristina Mazzantini, N. 11 novembre 2010

Le principali patologie del rachide, le discopatie degenerative, le ernie del disco, le stenosi lombari e le fratture vertebrali (da trauma, tumore o osteoporosi) possono essere trattate con approcci chirurgici percutanei mini-invasivi, grazie anche all’utilizzo di dispositivi all’avanguardia che permettono di far recuperare in modo migliore l’assetto anatomico-funzionale della colonna vertebrale a fronte di una riduzione sostanziale del trauma chirurgico e delle complicanze post-operatorie (dolore, cicatrici estese, rischio di infezioni e lunghi tempi di ripresa per il paziente) che comporterebbe l’impiego delle procedure convenzionali. Ma perché allora l’approccio chirurgico mini-invasivo è ancora poco diffuso in Italia? Se ne è discusso a un meeting dal titolo “La nuova frontiera della chirurgia vertebrale percutanea”, tenutosi recentemente  a Roma presso la Biblioteca del Senato Giovanni Spadolini, dedicato allo stato dell’arte della chirurgia vertebrale in Italia e alle prospettive future per un approccio tecnologicamente avanzato.
Tra i relatori nomi di spicco come: Antonio Tomassini, Presidente della XII Commissione Permanente Igiene e Sanità del Senato, Daniele Bosone, Vice Presidente della XII Commissione Permanente Igiene e Sanità del Senato, Raffaele Calabrò, Antonio Fosson, Michele Saccomanno, componenti della XII Commissione Permanente Igiene e Sanità del Senato, Franco Postacchini, Presidente GIS - Società Italiana di Chirurgia Vertebrale, Gruppo Italiano Scoliosi, Alberto Delitala, Direttore della Struttura Complessa di Neurochirurgia dell'Ospedale San Camillo di Roma, Stefano Boriani, Responsabile del Reparto di Chirurgia Vertebrale a indirizzo Oncologico e Degenerativo dell'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, Carlo Antonio Logroscino, Responsabile della Struttura Complessa di Chirurgia Vertebrale del Policlinico Agostino Gemelli di Roma e Claudio Cricelli, Presidente SIMG - Società Italiana di Medicina Generale.
In tale occasione abbiamo intervistato il professor Boriani, perché ha tenuto un’interessante relazione sulle neoplasie della colonna vertebrale trattate seguendo un approccio poco praticato in Italia, ovvero la resezione in blocco del tumore.

Professor  Boriani potrebbe entrare in merito al nuovo procedimento?
«La tecnica prevede l’asportazione chirurgica di tutta la vertebra interessata dalla neoplasia e la successiva sostituzione con una protesi di carbonio, ancorata al resto della colonna vertebrale grazie a un’impalcatura di titanio. All’interno del supporto di carbonio sono inserite piccole porzioni di tessuto osseo prelevato dal paziente, per esempio dalle costole. La struttura in fibra di carbonio presenta le stesse risposte al carico rispetto all’osso corticale, quindi sui frammenti ossei giunge lo stesso stimolo fisiologico che permette, per esempio, di consolidare una frattura. Inoltre il carbonio è dotato di caratteristiche piezo-elettriche. In altre parole risponde alle sollecitazioni meccaniche sviluppando un campo di forze elettriche che stimolano la formazione dell’osso. In breve tempo il tessuto neoformato riveste completamente il carbonio rigenerando la vertebra asportata. Una volta terminato il processo, la colonna vertebrale sarà nuovamente solida e completa».

Quali sono i vantaggi di quest’approccio “straordinario” (come lo definiscono esperti fama mondiale)?
«Innanzitutto, va ricordato che l’asportazione in blocco del tumore riduce notevolmente la probabilità che esso si ripresenti. Inoltre l’utilizzo della protesi di titanio e carbonio garantisce al paziente la ripresa di tutte le sue funzionalità motorie in un tempo molto rapido. Il degente può alzarsi in piedi e riprendere una vita lavorativa normale dopo solo sei mesi dall’operazione. Al termine di un percorso riabilitativo, non permane nessuna carenza motoria e il paziente potrà nuovamente sottoporre la schiena a carichi di straordinaria entità».

Con questa tecnica, dunque i tumori della colonna vertebrale sono affrontati come normali tumori ossei e come questi possono essere asportati?
«Dipende. Ogni volta che ci si trova di fronte a un tumore del rachide le prime caratteristiche da valutare, sono la tipologia e la gravità del tumore stesso, quindi decidere se sia d’importanza prioritaria la sua asportazione oppure salvaguardare il midollo. In molti casi, però, limitarsi a preservare il midollo spinale, senza garantire un intervento radicale sul tumore, sarebbe un’azione non risolutiva. Con l’applicazione della resezione in blocco è invece di solito possibile eliminare la neoplasia senza toccare il midollo».

Un approccio di questo tipo permette dunque di trattare anche quei tumori maligni?
«Direi di sì. La validità del trattamento è, infatti, ulteriormente testimoniata dalla possibilità di trattare alcuni tumori maligni molto insidiosi, di solito letali, come il sarcoma d’Ewing e l´osteosarcoma per queste patologie, la combinazione della resezione in blocco con i protocolli standard di radio e chemioterapia può aumentare in modo efficace la percentuale di sopravvivenza del paziente. Tuttavia, affinché l´intervento della resezione in blocco risulti efficace, il tessuto invaso dal tumore non deve essere mai entrato in contatto con le strutture circostanti, nemmeno nelle fasi iniziali d’accertamento tramite biopsia. Per questo è di solito consigliabile che il paziente, una volta diagnosticata la patologia, sia seguito sin dall’inizio in un centro altamente specializzato. Un ulteriore fattore essenziale per il successo dell’intervento è l´utilizzo di sistemi di stabilizzazione ad alta tecnologia: i più innovativi sono costituiti da viti peduncolari e barre di stabilizzazione in lega di titanio, che consentono di immobilizzare il tratto della colonna vertebrale interessato che può andare incontro ad instabilità dopo la resezione radicale della neoplasia»

Alcuni cenni storici?
«Proposta per la prima volta negli anni Settanta, dal medico svedese Bertil Roman Roy Camille e dal giapponese Katsuro Tomita, la resezione in blocco è una procedura chirurgica di grande complessità, che richiede una preparazione specifica da parte di specialisti esperti: in Italia è praticata in pochissimi centri, tra cui il reparto di Chirurgia vertebrale oncologica e degenerativa dell’Istituto Ortopedico Rizzoli. Inoltre, non bisogna dimenticare che la chirurgia vertebrale è un campo intermedio tra ortopedia e la neurochirurgia e nel nostro paese non esiste ancora una scuola che possa fornire una preparazione scientifica. È soltanto grazie allo straordinario impegno e volontà personale di apprendere e confrontarsi che la squadra dei medici del Maggiore ha raggiunto conoscenza ad altissimo livello nel campo».

Ci sono studi a riguardo?
«La ringrazio della domanda che mi consente di dire che nel 2009 è stato completato uno studio condotto su 1.072 pazienti affetti da tumori vertebrali trattati negli ultimi vent´anni presso l´Ospedale Maggiore e l´Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, di cui 95 trattati chirurgicamente per tumore primitivo con la tecnica della resezione in blocco. Dopo oltre due anni di follow up, i vantaggi relativi all´adozione della resezione sono stati notevoli, soprattutto nella riduzione del rischio di "recidive" locali. La recidiva locale del tumore sembra inoltre essere strettamente correlata alla qualità e integrità dei margini che si riescono ad ottenere durante l´asportazione del tumore».

Indirizzi Utili

ISTITUTI ORTOPEDICI RIZZOLI
Via Pupilli, 1 - 40136 Bologna
Dott. Giuseppe Caroli
051.6366111
Prenotazioni/informazioni: 199 111 980
www.ior.it
Oncologia medica
Dott. Stefano Ferrari – tel. 051.6366411

POLICLINICO UNIVERSITARIO AGOSTINO GEMELLI
Largo Agostino Gemelli 8 - 00168 Roma
Centralino: 06.30151
Prenotazioni/informazioni: 06.3551033.0-2
www.policlinicogemelli.it
Chirurgia vertebrale
Prof. Carlo A. Logroscino – tel 06.30151

SAN CAMILLO FORLANINI
Via Portuense 332 - 00149 Roma
Centralino: 06.55551
Prenotazioni/informazioni: 06.5595055
www.scamilloforlanini.rm.it
Neurochirurgia - Prof. Alberto Delitala - 06.55551

Un italiano su 4 soffre di mal di schiena
Un italiano su quattro, per un totale di 15 milioni, soffre mal di schiena e un terzo di questi è costretto a sospendere temporaneamente l'attività lavorativa. È quanto emerge da un incontro sulle nuove frontiere della chirurgia vertebrale percutanea.
Tra i fattori “meccanici” che scatenano dolori alla colonna vertebrale: discopatie, stenosi, ernie del disco e fratture, al punto che la patologia è la seconda causa per la quale ci si rivolge al medico e si stimata che l'80 percento della popolazione ha sofferto o soffrirà di lombalgia. Tra le terapie oggi a disposizione, accanto alla chirurgia tradizionale, negli ultimi anni si sono sviluppate nuove tecniche chirurgiche percutanee minivasive, eseguite cioè attraverso incisioni minime e uso di sonde.
«Il problema del mal di schiena», ha sottolineato il presidente della Commissione Sanità del Senato, Antonio Tomassini, «è diffusissimo ed è aumentato per atteggiamenti di vita sociale». Troppo sport o la sua assenza possono, infatti, creare problemi posturali. Inoltre ci sono molte patologie come le oncologiche o le osteoporotiche che hanno forti ripercussioni sulla colonna. «Si tratta  di un “pacchetto” di malati che segue percorsi di cura tra i più disparati», prosegue l’esperto. Di qui la sua proposta di coordinare queste iniziative.
«Gran parte degli interventi», ha aggiunto, «sono legati alla paleochirurgia, cioè quella tradizionale che è lunga nella degenza, nell'attesa e nella riabilitazione e prevede l'uso di molti farmaci. Per questo, seguiamo con attenzione il cammino della chirurgia minivasiva. È una metodica che non può risolvere tutti i casi ma serve a stabilizzare soprattutto quelli che non possono affrontare altri interventi, come gli oncologici o gli osteoporotici e, in altri pazienti, può servire a creare le premesse di un metodo molto più rapido con un minor uso di farmaci. E non è secondaria – conclude - la possibilità di apportare risparmi al sistema sanitario».

Le fratture vertebrali: tecniche chirurgiche mininvasive
Ogni anno in Italia si verificano oltre 100.000 fratture vertebrali causate principalmente da osteoporosi primaria o secondaria, ma anche da lesioni osteolitiche dovute a mieloma multiplo o metastasi ossee, traumi.
«Oggi è possibile trattare le fratture vertebrali con moderne tecniche chirurgiche minivasive, come la cifoplastica con palloncino che consiste nell'introduzione attraverso il peduncolo vertebrale di un cemento acrilico a presa rapida, previa espansione del soma vertebrale mediante apposito palloncino», dichiara il dottor Giuseppe Sabadin, Primario del reparto di Ortopedia dell'Ospedale di Vittorio Veneto.  Spiegando che questa tecnica è stata ideata per ridurre prima, e stabilizzare poi, la frattura in modo controllato, correggere le deformità della colonna vertebrale, prevenire l'insorgere di nuove fratture, alleviare il dolore in modo rapido e prolungato e migliorare la qualità della vita del paziente.
«Presso il nostro Reparto - continua il dottor Sabadin - la mia équipe, e in particolare il dottor Fabrizio Carnielli, ha trattato negli ultimi due anni con questa tecnica circa 30 fratture vertebrali, anche in pazienti giovani, con risultati eccellenti: una immediata risoluzione del dolore e un rapido ritorno alle precedenti attività. Si tratta di un rimedio rapido e mininvasivo che può evitare ai pazienti lunghi periodi di immobilità forzata a letto, l'uso del busto o una massiccia assunzione di farmaci per lenire l'intenso dolore alla schiena».

Nessuna prova scientifica tra onde elettromagnatiche e tumori infantili
«I tumori nel bambino sono la conseguenza di una serie di mutazioni del patrimonio genetico che vanno accumulandosi nel tempo, iniziano prima della nascita e poi si aggravano. Non possiamo affermare l’esistenza di un nesso causale con fattori ambientali come le onde o i campi elettromagnetici». Il professor Andrea Pession, responsabile del Centro operativo dell’Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica (AIEOP), prende le distanze dai risultati della perizia per cui vi sarebbe un legame tra le onde elettromagnetiche emesse da Radio Vaticana e l’alta incidenza di tumori infantili tra gli abitanti della zona vicina ai ripetitori. «Vi sono solo osservazioni sperimentali condotte in molti Paesi, alcune affermano e altre negano il nesso causale»  sottolinea il professor Pession. «Ma non abbiamo un dato scientificamente accertato. La nostra Associazione ha recentemente presentato i risultati dello studio Settil che ha esaminato per circa 10 anni migliaia di casi.  Sono state investigate tutte le cause di carattere ambientale e il legame non è stato confermato». Ogni anno in Italia si ammalano di cancro circa 1.300 bambini. È la leucemia la forma di cancro più frequente, ma i piccoli possono essere colpiti anche da tumori del sistema nervoso centrale, dai linfomi, dal neuroblastoma e altre forme più rare. «È nostro compito agire tempestivamente e tenere sotto osservazione i gruppi che fanno registrare un’aumentata frequenza, spaziale o temporale » conclude  l’esperto.

Pesticidi e tumori infantili
«L'uso di sostanze chimiche in agricoltura è sempre più massiccio e nel nostro Paese sono circa 300 quelle di uso abituale. È ormai assodato che molti di questi agenti hanno anche un'azione mutagena e cancerogena. E l'Italia detiene, in Europa, il triste primato della più alta incidenza di cancro nell'infanzia: in media 30 casi in più ogni anno per milione di bambini». È l'allarme di Patrizia Gentilini, medico oncologo ed ematologo Isde Italia, l'Associazione medici per l'ambiente, lanciato su Terra, il quotidiano ecologista. «Nel nostro paese - scrive l'esperto - si registra un incremento annuo dei tumori infantili quasi doppio rispetto alla media europea: 2 percento contro l'1,1 percento. Per linfomi e leucemie nell'infanzia l'incremento è rispettivamente del 4.6 percento e dell'1,6 percento nei confronti di un aumento in Europa rispettivamente dello 0,9 percento e dello 0,6 percento. Una recente revisione, che ha preso in esame 104 studi su fitofarmaci e cancro, selezionandone 83 - scrive Gentilini - ha mostrato i rischi di tumore. Inoltre, un recentissimo studio condotto in Francia ha evidenziato un rischio elevato anche per il linfoma di Hodgkin, prima raramente emerso. In Italia, al primo posto per uso di fungicidi c'è l'Emilia-Romagna, con 9,9 migliaia di tonnellate; poi il Veneto con 8,5 migliaia e il Piemonte con 7,7. Il quantitativo medio distribuito è di 5,64 chilogrammi per ettaro. Su temi tanto importanti, quali quelli che riguardano la salute, i cittadini hanno il diritto di ricevere informazioni serie, puntuali, chiare», conclude Gentilini su Terra. Che aggiunge: «la protezione di momenti “cruciali” della vita, quali la gravidanza, l'allattamento, l'infanzia deve inoltre diventare un imperativo per tutti».

Vaccino protegge dal papilloma virus 45
I risultati finali del più ampio studio di efficacia su un vaccino per la prevenzione del cancro della cervice uterina (18.644 donne, di età compresa tra i 15 e i 25 anni, di 14 Paesi di Europa, Asia-Pacifico, America latina e America del Nord), presentati recentemente all’International Papillomavirus Congress, tenutosi a Montreal, confermano che il vaccino Cervarix favorisce la protezione nei confronti del tipo 45 del virus del papilloma umano (Hpv), correlato con le forme tumorali più aggressive, oltre a proteggere nei confronti dei ceppi 16 e 18, responsabili di oltre il 70 percento dei tumori del collo dell’utero.
Nel commentare i risultati, Barbara Romanowski, ricercatrice che ha condotto la ricerca presso l’Università di Alberta, sostiene che se anche il vaccino «è stato ideato per proteggere dai ceppi Hpv 16 e 18, i risultati dello studio mostrano che esso offre protezione verso almeno cinque ceppi oncogeni. È importantissimo per le donne sapere che il vaccino consente una protezione aggiuntiva rispetto alle attese e soprattutto verso le forme più aggressive di tumore alla cervice uterina».

La morfina blocca la crescita del tumore
È il risultato di una ricerca dell'Università del Minnesota su un modello animale di cancro al polmone. Lo studio, pubblicato dall'American Journal of Pathology, ha dimostrato che la morfina è in grado di bloccare la crescita dei tumori, impedendo loro di generare nuovi vasi sanguigni. I ricercatori hanno testato dosi elevate di morfina su un modello animale di carcinoma del polmone di Lewis, scoprendo che questo farmaco abbassa l'angiogenesi, ovvero la formazione di nuovi vasi sanguigni, da parte delle cellule tumorali. I recettori della morfina interrompono i segnali cellulari che danno inizio all'angiogenesi, privando quindi le cellule tumorali dell'ossigeno necessario per sopravvivere. «Questo risultato», dichiarano i ricercatori «conferma le potenzialità dell'uso della morfina nel trattamento del dolore nei casi di cancro, perchè oltre all'effetto analgesico questa molecola può essere sfruttata per il potenziale anti-angiogenico».

Tumori solidi un nuovo gene protagonista
Lo studio di malattie genetiche rare può portare a chiarire meccanismi molecolari alla base di numerose patologie, tra cui l'insorgenza di tumori e di infertilità. Lo conferma una ricerca sull'anemia del Fanconi, condotta dai ricercatori dell'Istituto di genetica e biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Igb-Cnr) e pubblicata sulla prestigiosa rivista Molecular Cell, chiarendo la funzione di un gene (il gene FANCD2), che risulta mutato in questa patologia.
Lo studio ha evidenziato come, in caso di danneggiamento del DNA, la scelta del corretto meccanismo di riparazione giochi un ruolo chiave nel determinare il destino di una cellula. «FANCD2 è un gene che risulta mutato nell'anemia del Fanconi, una complessa e rara malattia genetica che presenta una varietà di sintomi, tra cui la predisposizione a sviluppare tumori solidi, anemia ed infertilità: tutti aspetti ascrivibili a difetti nella riparazione dei danni al DNA», spiega Antonio Baldini, direttore dell'Igb-Cnr.

Il test  del respiro con naso elettronico
Una sorta di “naso elettronico” capace d'individuare alcune delle forme più diffuse di tumore attraverso un semplice respiro è stato messo a punto in questi mesi al Techninon (politecnico) di Haifa da un'équipe di oncologi e bioingegneri israeliani, guidata dal professor Abraham Kuten.
Lo studio è presentato nei dettagli sull'ultimo numero dell'autorevole British Journal of Cancer ed è citato oggi in breve da alcuni media online.
Al centro della ricerca è lo sviluppo di una macchina capace di cogliere variazioni chimiche interne al corpo umano attraverso un banale (e poco costoso) esame del respiro. Macchina che risulta non soltanto in grado di distinguere eventuali patologie respiratorie, ma anche di diagnosticare forme di cancro ai polmoni, al seno, alla prostata, all'intestino. L'équipe del Technion ne ha testato l'effetto su 177 persone - alcune sane, altre malate - verificandone l'efficacia, come documenta il lavoro scientifico appena pubblicato. Ora, secondo Kuten, si tratta di estendere la sperimentazione su un campione più ampio e di provare a sviluppare poi una strumentazione utilizzabile su vasta scala.
«Se i nostri dati iniziali troveranno conferma» ha detto lo studioso «questa nuova tecnologia potrà diventare lo strumento più semplice per una diagnosi precoce del cancro».

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