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Scoperti  i geni coinvolti nell’angiogenesi tumorale

Paola Sarno, N. 1/2 gennaio/febbraio 2010

E’ stato identificato presso i nuovi Laboratori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma (IRE) un gruppo di geni ed il loro meccanismo molecolare che è responsabile di un maggiore invasività dei tumori, a causa della capacità di  favorire la produzione di vasi sanguigni e di conseguenza la progressione e la diffusione del tumore nell’organismo umano, cioè le metastasi. Tre sono i geni principali coinvolti in questa dinamica, quelli denominati p53, E2F1, ID4. Il meccanismo che conferma questi risultati è stato osservato dai ricercatori dell’IRE 186 casi di tumore al seno.
Al lavoro, pubblicato su Nature structural & molecular biology, ha partecipato un gruppo multidisciplinare dell’IRE, che ha visto un’azione sinergica dell’istituto di Anatomia Patologica, dell’equipe di Giovanni Blandino, direttore del laboratorio di Oncogenomica Traslazionale e di alcune giovani ricercatrici contrattiste dell’Istituto tra le quali Giulia Fontemaggi, Stefania dell’Orso e Daniela Trisciuoglio. Il progetto è stato completato grazie al sostegno finanziario dell’AIRC (l’Associazione Italiana per la Ricerca sui Tumori) e della Comunità Europea.
“Circa un anno fa IRE ha attivato i nuovi laboratori dell’area di Medicina Molecolare per sviluppare e potenziare la ricerca traslazionale in campo oncologico – ha spiegato Paola Muti, Direttore Scientifico dell’Istituto. “Quest’area, che allo stato attuale copre circa 2000 mq, comprende i laboratori di oncogenomica traslazionale, di proteomica, di epigenetica, di farmacogenetica, di farmacogenomica, e di chemioprevenzione molecolare. Le nuove attrezzature di altissima tecnologia e l’ampliamento del gruppo di lavoro con giovani risorse,” ha continuato Muti, “consentono oggi di svolgere diversi progetti di ricerca rivolti alla identificazione di marcatori di espressione genica in grado di individuare metodologie innovative per la diagnosi precoce delle neoplasie, terapie personalizzate a seconda delle esigenze dei singoli pazienti e per caratterizzazione biologica molecolare, nonché la prevenzione oncologica individualizzata.”
Il tumore, sin dalle prime fasi della propria crescita, induce la formazione di nuove strutture vascolari a partire da quelle preesistenti nell'organismo. In questo modo le cellule tumorali riescono ad ottenere il sangue necessario alla loro sopravvivenza, riproduzione, invasione e diffusione (metastasi).
Oggi sappiamo che i tumori con mutazioni del gene p53, in media il 50%, sono più aggressivi e più resistenti alle terapie e che il gene P53 mutato ha un alta frequenza in alcuni sottotipi di tumore al seno. Lo studio dell’IRE ha dimostrato, inoltre, che nelle cellule tumorali dei 186 casi osservati la proteina mutata p53 ed E2F1 cooperano portando alla iper-produzione di un’altra proteina, la ID4. Ed è proprio quest’ultima che è in grado di legare e stabilizzare gli acidi ribonucleici (RNA) responsabili della formazione di fattori pro-angiogenici (IL8 e GRO-alpha), aumentando in questo modo la capacità delle cellule tumorali di richiamare vasi sanguigni.
“Questa scoperta è stata possibile, “ ha affermato Giovanni Blandino, direttore del laboratorio di Oncogenomica Traslazionale, “anche grazie all’applicazione della tecnologia dei microarray, impiegata nell'analisi dei profili d’espressione genica, vale a dire nella valutazione di quali geni sono "accesi" e quali "spenti" in una determinata situazione. Questo sistema, disponibile nel laboratorio guidato da. Blandino, appartiene alla categoria delle cosiddette “tecnologie ad ampio spettro”, che permettono di studiare l'espressione di decine di migliaia di geni contemporaneamente molto rapidamente.” Proprio impiegando questo tipo di tecniche, i ricercatori del Regina Elena intendono proseguire sulla stessa linea di ricerca. L’obiettivo finale è, infatti, quello di identificare altri RNA controllati dalla proteina ID4 (ne sono stati già stati messi rilevati 28) in modo da ampliare il più possibile la conoscenza dei meccanismi responsabili dell’angiogenesi tumorale nella neoplasia della mammella.
A dare particolare rilievo alla qualità del lavoro recentemente pubblicato è la caratterizzazione dei meccanismi alla base dell’angiogenesi tumorale, fondamentale per comprendere a fondo l’identificazione di molecole da utilizzare come nuovi bersagli terapeutici.  Le molecole identificate, insomma,  possono ora sia essere testate con agenti antitumorali già esistenti, sia essere utilizzate per lo sviluppo di nuovi specifici farmaci.
La maggior parte dei più recenti e innovativi studi clinici in campo oncologico, del resto, si basa proprio sull’impiego di farmaci anti-angiogenici, che interferiscono con i meccanismi di formazione del sistema vascolare del tumore, privandolo dell'ossigeno e del nutrimento portati dal sangue. Questi farmaci vengono impiegati in combinazione con agenti chemioterapici capaci di fermare completamente o comunque di inibire la crescita delle cellule tumorali. In questo modo si esercita una doppia azione: la prima diretta all’eliminazione della principale fonte di sostentamento e di diffusione del tumore cioè della rete vascolare, la seconda volta, invece, all’inibizione della proliferazione del tumore stesso.
“E’importante capire perché una cellula diventa tumorale e si mantiene tale “ ha voluto mettere in risalto Blandino. “Con questo studio  abbiamo dimostrato, infatti,  che questo meccanismo è già presente nella cellula ammalata e  non si attiva in risposta a una terapia. Inoltre varie sono le tipologie di mutazione che sono in grado di produrre questo effetto. Ci troviamo quindi di fronte a una dinamica generale complessa, non legata alla singola mutazione o al singolo paziente, ma rilevata in molti  tumori di diversa tipologia e su un numero esteso di persone affette dal cancro. Dettagliando i vari meccanismi”, ha aggiunto poi Blandino, “ potremo prevenire i movimenti delle cellule tumorali e bloccare il comportamento della cellula prima della sua organizzazione e diffusione metastatica.”
“I risultati di questo importante studio” ha  dichiarato in conclusione alla presentazione dello studio  Francesco Bevere, direttore generale dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e dell’Istituto Dermatologico San Gallicano (IFO), “ confermano il livello di competitività che i nostri ricercatori hanno raggiunto, anche grazie ai notevoli investimenti realizzati per rendere operativi i nuovi laboratori di ricerca. Questa competitività è frutto dell’elevato livello di traslazionalità che riusciamo ad esprimere, proprio grazie all’intensa collaborazione tra e ricerca sperimentale e ricerca clinica, applicabile nel minor tempo possibile al letto del paziente Entro il prossimo anno investiremo ulteriori risorse per continuare a crescere”, ha infine annunciato Bevere, “confidando nel sostegno delle istituzioni per frenare la fuga dei cervelli dal nostro Paese e garantire ai nostri ricercatori,  capitale umano ed intellettuale insostituibile ed ingrediente essenziale per una ricerca competitiva a livello internazionale, un futuro possibile.”

Indirizzi utili

ISTITUTO NAZIONALE TUMORI REGINA ELENA IRCCS - IFO     
Via Elio Chianesi 53 - 00144 Roma
Centralino:  06 52661
Prenotazioni/informazioni:  06 52662727 - 800 986868
www.ifo.it

 

Senza confini la lotta contro il tumore
Il tumore si sta espandendo anche in Africa, Asia e Sudamerica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che alla fine del prossimo decennio insorgeranno nel mondo 16 milioni di nuovi casi e di cui il 70% nelle nazioni in via di sviluppo dove mancano o sono carenti organizzazioni sanitarie capaci di confrontarsi con la malattia. Come affrontare questo problema di salute pubblica emergente? Come ridurre le disparità tra regioni ricche e povere del mondo nel controllo del tumore? In collaborazione con l'International Cancer Control Association, la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano ha organizzato il “III Congresso Mondiale per il Cancer Control” che ha richiamato l'attenzione sulla necessità di promuovere le cooperazione internazionali ed intercontinentali, in particolare tra Ue e Unione Africana in ambito oncologico. A Cernobbio, dove sono stati presenti delegati di 70 Paesi, sono stati affrontati i più importanti temi per il cancer control: la prevenzione primaria, i programmi di screening, i processi organizzativi, la terapia del dolore e la gestione dei malati terminali, le linee guida di tipo clinico e la modalità per la collaborazione tra clinici, ricercatori, pazienti e volontari per la gestione della malattia e le sue sequele. In occasione del Congresso, è stata preparata una monografia edita dalla rivista Tumori, alla quale hanno partecipato decine di autori di 30 diversi Paesi e che offre uno spaccato delle attività di controllo della malattia nel mondo ai giorni nostri.

Tumore mammario: una nuova tecnologia diagnostica
I ricercatori del National Cancer Institute hanno progettato una nuova metodica di imaging per rilevare la presenza della proteina HER2, comunemente riconosciuta come un marker predittivo del cancro al seno. Le implicazioni derivanti da questa nuova tecnica potrebbero essere davvero molteplici, dall’effettuazione di ricerche sulla fisiopatologia del carcinoma della mammella, fino allo sviluppo di nuovi protocolli terapeutici.
La rilevazione del marker si basa sull’utilizzo di un composto sviluppato ad hoc, che consiste di un atomo radioattivo (Fluoro-18) attaccato ad una molecola Affibody, cioè una piccola proteina che lega in maniera forte e specifica la proteina HER2.
Le molecole Affibody, svluppate in Svezia, sono molto più piccole degli anticorpi e riescono a raggiungere più facilmente la superficie del tumore. L’atomo radioattivo, permette poi la distribuzione delle molecole Affibody all’interno del corpo, per essere analizzate con la PET. Lo studio è stato finora condotto sul modello murino.
Alle cavie è stato iniettato sottocute un quantitativo di cellule tumorali umane che presentavano una forte variabilità nei livelli di espressione di HER2, da quantitativi minimi a livelli molto elevati. Dopo 3-5 settimane da quando il tumore si era rigenerato, sono state somministrate ai ratti dosi di molecole Affibody e sono state effettuate le scansioni PET. I risultati in termini di espressione di HER2 sono stati del tutto sovrapponibili ai valori riscontrati dalle misurazioni in laboratorio, sulle cellule tumorali dello stesso campione prelevato durante l’intervento chirurgico.
Successivamente le cavie sono state trattate con il farmaco 17-DMAG, anti HER2.
Una scansione PET è stata effettuata anche in questo caso, prima e dopo la somministrazione di 17-DMAG e i risultati hanno evidenziato, rispetto alle cavie che non hanno ricevuto il 17-DMAG, una diminuzione dei livelli di espressione di HER2 variabile dal 33 al 71%. Lo studio è stato pubblicato su The journal of nuclear medicine.

Sardegna e Corsica insieme per una banca dati dei tumori
Una collaborazione con l'ospedale Castelluccio di Ajaccio consentirà all'Asl di Sassari di disporre di una banca dati sui tumori, base per azioni di prevenzione mirate. Le strutture coinvolte sono il Centro epidemiologico della Asl e il gruppo d'interesse pubblico di Medicina nucleare del Centro ospedaliero Castelluccio di Ajaccio. Secondo la tempistica del progetto  la Corsica dovrebbe avviare anche una gestione elettronica della documentazione del paziente per facilitare lo scambio di informazioni tra le strutture sanitarie francesi. Il progetto sardo-corso consentirà appunto di condividere questi dati, in particolar modo sui tumori, a fini di studio. Il registro tumori comune che potrebbe permettere il confronto tra una popolazione di oltre 500mila abitanti, residente nelle province di Sassari e Olbia-Tempio, e una di 360mila, residente in Corsica. La Sardegna del Nord e l'isola francese presentano infatti delle similitudini territoriali e di popolazione, con piccoli agglomerati, distribuiti in zone a bassa presenza industriale. "Focalizzeremo la nostra attenzione sui tumori principali - ha spiegato Mario Budroni, responsabile del Centro epidemiologico dell'Asl sassarese - come quello della mammella e del colon retto ". L'Azienda sanitaria sassarese si impegnerà, in collaborazione anche con l'Anatomia Patologica dell'Aou di Sassari e l'istituto di genetica dei tumori del Cnr, con  una serie di studi sulla genetica dei tumori. Il Gruppo di interesse pubblico corso, invece, punta all'acquisto di un macchinario per la diagnostica, un Pet Scan, che sarà installato all'ospedale di Castelluccio ad Ajaccio. La collaborazione tra la Sardegna e la Corsica nel campo sanitario risale al 2001, al progetto Interreg SanNet - Network della sanità tra Asl Livorno, Asl Sassari e l'ospedale della Misericordia di Ajaccio.

Medici sotto stress si rifugiano in droga e alcol
La dedizione al lavoro e ai pazienti, la paura di commettere errori, i turni a volte massacranti rendono i medici vulnerabili, in particolare quelli che operano nei reparti dove il rischio di burn out è più elevato. I più fragili, cercano rifugio nell'alcol e nella droga. E’ la cosiddetta dipendenza patologica professionale, una malattia pericolosa che, se non curata, può portare anche a gesti estremi E il fatto che i medici non cercano aiuto fa sì che il tasso di suicidi tra i camici bianchi sia due/quattro volte superiore a quello della popolazione generale "Secondo quanto registrato in Spagnai medici con dipendenze patologiche sarebbero circa il 12%. Di questi, l'8% ha problemi con l'alcol". A riferirlo è  Paola Mora, responsabile del Centro studi Albert Schweitzer dell'ospedale Sant'Anna di Torino, per porre l'accento su quanto poco si è fatto e si sta facendo in Italia per affrontare questa emergenza dove non esiste nessuna indagine in questo senso. In Spagna, invece, da 10 anni è partito uno studio da cui è emerso che circa il 12% dei 165 mila camici bianchi spagnoli cioè circa ventimila professionisti della sanità soffrirà almeno  una volta nella carriera di queste dipendenze. ". Adottando questa formula in Italia, sarebbero circa 40 mila i medici con questi problemi. "A cadere nella trappola - spiega Mora - sono proprio i camici bianchi più bravi, sempre pronti a correre in ospedale e sostenere turni massacranti". Anche negli Usa il problema è stato affrontato con un programma federale ad hoc. Il 75% dei medici riesce infatti a risolvere i propri problemi".

Una vita sociale attiva può aiutare a guarire dal cancro
Guarire dal cancro si può e uno dei segreti e' continuare a condurre una vita sociale attiva, in mezzo a familiari e amici. L'isolamento, al contrario, può rendere il cancro più letale. Lo rivela una nuova ricerca american,a pubblicata su Cancer Prevention Research  e condotta presso la University of Chicago, secondo cui l'ambiente sociale può modificare le caratteristiche biologiche della malattia e anche l'esito. Lo studio e' stato condotto finora sul modello animale. I topi femmina separati dalla madre hanno sviluppato forme più gravi di tumore della ghiandola mammaria rispetto a quelli rimasti all'interno del gruppo. Secondo Suzanne Conzen, che ha partecipato allo studio, si aprono nuove speranze di cure capaci di fermare la crescita dei tumori. "Visto che oggi conosciamo meglio il genoma umano possiamo cominciare a identificare e analizzare le specifiche alterazioni che hanno luogo nei tessuti predisposti al cancro delle persone che vivono in situazioni ad alto rischio, come l'isolamento sociale". Da tempo gli scienziati sanno che anche i fattori psicologici influenzano il cancro, ma non e' sempre chiaro come. Lo studio dell'università di Chicago sembra indicare l'ormone dello stress come uno dei responsabili dello sviluppo di forme tumorali più aggressive.

Nasce a roma “il piccolo nido”
L’associazione “Andrea Tudisco onlus” di Roma ha inaugurato da poco “Il Piccolo Nido” una struttura protetta per accogliere i bambini “ultrafragili”, cioè i piccoli sottoposti a trapianto, in condizione di immunodeficienza, oltre a bimbi affetti da malattie oncoematologiche. “Il piccolo Nido”, ricavato in un appartamento di 80 metri quadrati nella zona di Roma- Aurelio e ristrutturato grazie al sostegno dell’Assessorato agli Affari Istituzionali enti locali e sicurezza della Regione Lazio, è stato pensato in particolare per la convalescenza di quei bimbi che non possono essere ospedalizzati proprio a causa della estrema debolezza del sistema immunitario, che li renderebbe esposti a qualsiasi agente infettivo. La nuova struttura andrà ad affiancare l’attività della “Casa di Andrea già presente del 1997 nella Capitale”, grazie all’opera di una associazione di volontariato che si occupa di  facilitare le cure mediche ed offrire anche assistenza burocratica alle famiglie di minori affetti da patologie tumorali del sangue.

“Science for peace”, un’utopia di speranza e impegno civile
Si è svolta a Milano, presso l’Università Bocconi la conferenza mondiale “Science for Peace” . Nata da un’idea dell’oncologo Umberto Veronesi, vi hanno aderito numerose personalità del mondo scientifico e politico internazionale. “Science for Peace” intende  promuovere la cultura della scienza al servizio della pace.  “Chiediamo ai leader dei paesi di tutto il mondo di investire non nella politica della guerra ma nella scienza della pace”, hanno detto Veronesi e la madrina dell’evento,  Kathleen Kennedy. Dialogo, cultura della non-violenza, libertà, uguaglianza el benessere delle famiglie le finalità per cui si batterà il movimento nato dalla Conferenza.“I tempi sono maturi perché il mondo dia la massima priorità a chi si impegna per la pace - l’unica condizione possibile per lo sviluppo dei nostri migliori ideali. Chiedere al mondo la pace e agire per la pace non è un’utopia; si tratta di speranza, impegno civile e fiducia nel futuro” ha detto ancora Veronesi. Per raggiungere questi ideali,  “Science for Peace si impegna su due fronti. Innanzitutto: la diffusione della cultura della pace con programmi di educazione nelle scuole, sostegno ai movimenti interreligiosi per un comune progetto di pace,  appello alle Banche Centrali, perché promuovano un codice etico per la trasparenza dei finanziamenti alle aziende che producono armi, istituzione di un’associazione permanente di Paesi per la pace. Altro decisivo bersaglio sarà quello della riduzione progressiva delle spese militari nel mondo e di un progressivo disarmo nucleare, per convertire gli attuali finanziamenti militari in un fondo comune che, sotto il controllo dell’ONU, devolva sostegni economici solo ai paesi impegnati nel disarmo. Infine, “Science for Peace” vuole creare un movimento di opinione per ridurre nella Ue le spese militari,  anche attraverso la creazione  di un unico esercito europeo di pace e della costituzione di un corpo civile di pace nella Ue.

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