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Nuovi scenari nel contrasto alla prima causa di morte per tumore
Vera Lanza, N. 1/2 gennaio/febbraio 2010
Nei tumori polmonari esiste una sottopopolazione di cellule che possiede caratteristiche di staminalità. Queste cellule sono identificabili per l’espressione del marcatore CD133 ed hanno un potenziale tumorigenico molto superiore rispetto alle altre cellule che compongono il tumore. E’quanto emerso da uno studio, condotto da ricercatori della Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori e coordinato da Gabriella Sozzi, recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica ‘Proceedings of the National Academy of Sciences of the U.S.A.’ (http://www.pnas.org).
Lo studio ha dimostrato che queste cellule con caratteristiche di staminalità sono alla base del potenziale tumorigenico e della resistenza alla terapia nel tumore polmonare. Va da se’ che l’identificazione di cellule responsabili della malignità del tumore polmonare apre la strada a terapie mirate. “Recenti ricerche – spiega Giulia Bertolini, la ricercatrice responsabile dello studio - hanno evidenziato come non tutte le cellule che compongono un tumore abbiano le stesse capacità tumorigeniche. Similmente a quanto accade nei tessuti normali dove specifiche cellule, le cellule staminali, grazie al loro alto potenziale rigenerativo sono responsabili del mantenimento dell’integrità e della funzione tessutale, cosi è stato ipotizzato che anche nei tumori esista una sottopopolazione di cellule con elevata capacità di mantenere ed eventualmente riformare il tumore stesso. Grande importanza riveste la possibilità di identificare e studiare queste cellule per poterle colpire con nuove strategie terapeutiche”. Lo studio molecolare delle caratteristiche delle cellule identificabili per l’espressione del marcatore CD133 ha evidenziato inoltre un particolare profilo di espressione genica che si avvicina a quello delle cellule staminali, con elevata espressione di geni che ne favoriscono la sopravvivenza e l’auto rinnovamento. Le cellule CD133 positive esprimono, inoltre, alti livelli di geni coinvolti nell’eliminazione di sostanze estranee e nella mobilità, risultando quindi potenzialmente resistenti al trattamento coi farmaci tradizionali e coinvolte nei processi di disseminazione del tumore. Queste ipotesi sono state confermate da studi su modelli che consentono un’analisi diretta delle caratteristiche di frammenti tumorali prelevati da pazienti sottoposti a chirurgia per tumore polmonare. Il trattamento di questi tumori con un comune farmaco chemioterapico, benché in grado di ridurre la massa tumorale, é risultato inefficace nell’eliminare le cellule CD133 positive che potevano quindi dare nuovamente origine al tumore. Ad indicare come queste caratteristiche possano influenzare anche l’andamento clinico della patologia tumorale polmonare, nello stesso studio si é inoltre osservato che la presenza di cellule CD133 positive é un indicatore prognostico sfavorevole in pazienti con tumore polmonare. In conclusione si é dimostrata la presenza in tumori polmonari di cellule cancerose con caratteristiche di staminalità ed alto potenziale tumorigenico resistenti alla terapia convenzionale.
“Questo studio – sostiene Marco Pierotti, Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori - pone le basi per una analisi più razionale delle cause dello scarso successo delle cure disponibili per il cancro polmonare, che rappresenta oggi la principale causa di mortalità per tumore. La possibilità di individuare e studiare le cellule responsabili del mantenimento del tumore potrebbe inoltre aprire la strada per nuove terapie mirate selettivamente alla loro eliminazione”.
Il tumore al polmone
È ancora considerato il big killer’, il tumore più diffuso e letale che solo in Italia colpisce 35mila persone ogni anno, causando circa 30mila decessi. Malgrado i passi avanti fatti dalla ricerca scientifica, questa patologia, resta una malattia con una sopravvivenza a cinque anni inferiore al 15 per cento. La colpa è soprattutto dei ritardi diagnostici. Si stima che oltre sei pazienti su dieci arrivano dai medici quando la malattia è in fase già avanzata. Quando la neoplasia è metastatica, il paziente non è più operabile e le possibilità di guarire calano drasticamente. Tuttavia per un paziente è difficile accorgersi di avere un tumore al polmone, in quanto il sintomo iniziale più frequente è una semplice tosse, che oggi non fa allarmare nessuno. E la febbre, altro segnale importante, viene spesso scambiata per polmonite. Gli oncologi riuniti a Berlino per il congresso Ecco Esmo, sottolineano che nuove speranze di un prolungamento della vita vengono dai farmaci biologici. Se la sopravvivenza mediana con la sola chemioterapia non supera i 9-10 mesi, con un biologico come bevacizumab si arriva a 12-13 mesi e oltre. E con alcune mutazioni genetiche del tumore polmonare particolarmente sensibili al farmaco si superano i due anni. In particolare uno studio presentato al congresso di Berlino conferma che la terapia con bevacizumab ha prodotto una sopravvivenza mediana di 14,6 mesi nei pazienti, con una percentuale di controllo della malattia superiore all’88 per cento, dimostrando che il farmaco presenta scarsi effetti collaterali.
IL FUMO, IL GRANDE NEMICO – Sebbene le cause siano molteplici, gli oncologi sono concordi nell’individuare la principale causa scatenante del tumore al polmone nel fumo: circa l’80 per cento dei pazienti deve incolpare il vizio della sigaretta. Sebbene negli ultimi anni, l’incidenza negli uomini in Italia stia diminuendo grazie alla legge che vieta il fumo nei luoghi pubblici, sono in aumento i casi fra le donne, che restano forti fumatrici. Preoccupanti, poi, sono le stime del 2008 sul fumo tra i ragazzi. Sono, infatti, 11,2 milioni gli italiani dipendenti dalle sigarette, con una leggera diminuzione (l’1,5 per cento in meno) rispetto al 2007. Negli ultimi cinque anni, però, è cresciuto il numero di giovani che hanno iniziato a fumare e oggi si dichiara fumatore il 7,8 per cento dei ragazzi tra i 14 e i 24 anni.
Tra le altre cause, generalmente riconosciute, oltre al fumo, ci sono alcuni cancerogeni chimici (con i quali possono venire a contatto alcune fasce di lavoratori), come l’amianto, il radon, i metalli pesanti, il catrame. Tutti questi, possono provocare un tumore del polmone.
La campagna del ministtero del welfare
Oltre 80mila morti l’anno in Italia a causa del fumo da sigaretta e 5,4 milioni di vittime nel mondo. È a partire da questo dato allarmante che il ministero del Welfare ha dato il via alla Campagna di comunicazione 2009 “Il fumo ti uccide: difenditi!”, presentata a Palazzo Chigi dal sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio e dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti. Obiettivi della Campagna, il cui testimonial è l’attore Renato Pozzetto, sono la riduzione del numero di fumatori abituali e la prevenzione dell’avvicinamento dei giovani alle ‘bionde’. Nel nostro Paese tra 70mila e 83mila persone muoiono per cause legate al fumo e un quarto dei decessi riguarda individui tra i 35 e i 65 anni. Secondo dati del 2008 ci sono 11,2 milioni di persone dipendenti dalle sigarette, con una leggera diminuzione (l’1,5 per cento in meno) rispetto al 2007. Una diminuzione che non riguarda pero’ i giovanissimi: tra questi, il ‘vizio’ della sigaretta è in aumento. Quasi l’8 per cento ha iniziato a fumare ancora prima dei 14 anni.
Da citare gli effetti benefici portati dalla legge che vieta il fumo nei locali pubblici: rispetto al 2004, la vendita di sigarette è calata del sette per cento. Nel 2008 il calo è stato dello 0,9 per cento (pari a 42 milioni di pacchetti. Su questi dati si è soffermato il sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio. “Tra il 2004 e il 2005 sono diminuite le patologie coronariche acute e proprio per questo è necessario proseguire con un’azione costante di informazione e sensibilizzazione”.
La campagna del ministero punta a diffondere anche un messaggio diverso dal solito e cioè che il fumo, non soltanto danneggia la salute ma “riduce le prestazioni fisiche” e aumenta il rischio di “infarto, tumori e arteriosclerosi”. Le sigarette sono responsabili del 91 per cento dei casi di cancro al polmone e sono fra i più importanti fattori di rischio per i tumori di bocca, esofago, laringe, corde vocali, vescica, pancreas, rene, stomaco e sangue. Non solo: sono associate al 30 per cento delle morti per malattie coronariche e strettamente legate a molte patologie cardio-respiratorie.
INFERTILITA’- Le bionde, producono danni alla fertilità maschile e raddoppiano la frequenza dell’impotenza, per non parlare dei danni legati al fumo passivo, causa di oltre mille morti l’anno. Insomma, sottolineano gli esperti, 20 sigarette al giorno riducono di circa cinque anni la vita media di un giovane che inizia a fumare all’età di 25 anni. Il che significa per ogni settimana di fumo si perde un giorno di vita.
Cifre
Per il 2008 in Italia si stimano circa 250 mila nuovi casi di tumore e 125 mila decessi. Il numero complessivo delle persone affette da patologia tumorale, è stato stimato pari a 1 milione e 800 mila.
La percentuale di sopravvivenza dipende in modo significativo dal tipo di tumore: i più mortali sono i mesoteliomi (8,2%), i tumori dell’esofago (11,5%), del fegato (10,5% per gli uomini e 11,6% per le donne), delle vie biliari (13,7%), del pancreas (5,1% per gli uomini e 7,8% per le donne), del polmone (11,9% per gli uomini e 15,3% per le donne) e dell’encefalo (18,9% per gli uomini e 20,4% per le donne). Le prospettive di sopravvivenza migliori, invece, sono per i tumori al labbro (89,5%), i melanomi della pelle (79% per gli uomini e 87% per le donne), i tumori della mammella (82,6%), del corpo dell’utero (75,9%), della prostata (78,5%), del testicolo (88,1%), della tiroide (79,1% per gli uomini e 88,1% per le donne) e i linfomi di Hodgkin (80%).
Fonte: ISS, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute
Indirizzi utili
FONDAZIONE I.R.C.C.S. ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI
Via Venezian, 1 - 20133 Milano
Centralino: 02 23901
Prenotazioni/informazioni: 02 23902541
www.istitutotumori.mi.it
SAN CAMILLO FORLANINI
Via Portuense, 332 - 00149 Roma
Centralino: 06 55551
Prenotazioni/informazioni: 06 5595055
www.scamilloforlanini.rm.it
Pneumologia oncologica I - Dott. Filippo De Marinis
Pneumologia oncologica II - Dott. Luigi Portalone - tel. 06 55551
AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA CAREGGI
Viale Pieraccini, 17 - 50139 Firenze
Centralino: 055 794111
Prenotazioni/informazioni: 840 003003
www.ao-careggi.toscana.it
Pneumologia - Dott. Andrea Lopes Pegna – tel. 055 7946034
News dal mondo
Per la prima volta sono state isolate le cellule staminali del fegato di tipo maligno prima della formazione di un tumore. La nuova scoperta dei ricercatori del Penn State College of Medicine (Stati Uniti), pubblicata sulla rivista Stem Cells, rivela il ruolo che le cellule staminali hanno nell’insorgenza del cancro al fegato. “Grazie a degli esperimenti compiuti sui topi di laboratorio, siamo riusciti a indurre delle malattie croniche nel fegato per osservare lo sviluppo dei tumori”, ha detto Bart Rountree, ricercatore che ha condotto lo studio. “Il nostro obiettivo principale – ha aggiunto – era vedere cosa spinge le cellule staminali durante la proliferazione incontrollata se il fegato e’ ammalato. Quello che abbiamo invece scoperto e’ che nelle cellule staminali del fegato ce ne erano alcune già maligne, anche se nel topo non c’era nessun tumore”. I ricercatori sono riusciti a isolare le cellule prima ancora che esse potessero dare origine al cancro. “Il fegato e’ l’unico organo del corpo che si può rigenerare, grazie proprio alle sue cellule staminali”, ha spiegato Rountree. “Tuttavia, tra di esse se ne può’ annidare qualcuna che e’ già maligna e che si attiva quando il fegato si ammala cronicamente: un’attivazione che porta alla formazione di tumori. Aver isolato le staminali maligne prima ancora che esse agiscano può essere utile per l’elaborazione di strategie cliniche mirate”, ha concluso Rountree.
Come risvegliare le cellule staminali del cervello
Scoperto un meccanismo che potrebbe aprire la strada a nuovi approcci terapeutici per diverse malattie del cervello, tra cui i tumori cerebrali infantili
E’ stata già battezzata la "proteina dei ricordi": si chiama Sox2 e ha dimostrato di essere importante per lo sviluppo del nostro cervello, soprattutto per quella porzione chiamata ippocampo che è coinvolta nel mantenimento della memoria a lungo termine. Ad annunciarlo è un lavoro finanziato da Telethon e pubblicato su Nature Neuroscience da Silvia Nicolis, ricercatrice dell'Università di Milano Bicocca. In particolare, la proteina Sox 2 è risultata capace di indurre la produzione di molecole-segnale coinvolte nel mantenimento delle cellule staminali neurali anche dopo la nascita. L'ippocampo è infatti una di quelle porzioni del cervello che continua a formarsi e a "plasmarsi" anche dopo che siamo nati, proprio a partire dalle cellule staminali presenti. Come spesso accade, questa scoperta di un meccanismo biologico importante è stata possibile grazie allo studio di una condizione molto rara in cui il meccanismo è difettoso. Nicolis e il suo gruppo sono infatti partiti anni fa dall'osservazione dell'effetto che la mutazione nel gene Sox2 produce nell'uomo: i bambini portatori di questo difetto genetico (poche decine in tutto il mondo) hanno una sindrome caratterizzata da epilessia, cecità, problemi cognitivi e mancato sviluppo dell'ippocampo. In altri casi, mutazioni di Sox2 sono state riscontrate in pazienti affetti da malattie dell'ipofisi. Dopo aver riprodotto questo difetto genetico nel topo, i ricercatori sono riusciti a curare in buona parte la malattia fornendo nei primi giorni di vita dell'animale un farmaco che mima l'azione di Sonic hedgehog (Shh), una delle molecole-segnale stimolate da Sox2 che viene a mancare quando Sox 2 non funziona. Nel topo malato, in assenza di trattamento le cellule staminali nell'ippocampo vengono perse quasi completamente. Una volta somministrato il farmaco, invece, i ricercatori sono riusciti a "salvarle" in buona parte e a promuovere la formazione di nuovo tessuto nervoso e la crescita dell'ippocampo. Attualmente è difficile pensare a un utilizzo immediato di questo tipo di farmaci nei pazienti con difetti in Sox2: i malati, infatti, hanno tutti mutazioni de novo e quindi inattese, in quanto non sono ereditate ma avvengono nelle cellule germinali dei genitori. Tuttavia, gli esperimenti effettuati sugli animali hanno mostrato come molecole di questo tipo siano specifiche e possano avere effetti significativi se somministrate nei primi giorni di vita. Dall'altra parte, conoscere a fondo il ruolo di Sox2 nel sistema di controllo del mantenimento e differenziamento delle cellule staminali neurali potrebbe rivelarsi importante per il disegno di terapie contro diversi tipi di tumori cerebrali infantili, come il glioblastoma, il neuroblastoma e il medulloblastoma. In questi tumori - piuttosto frequenti in età pediatrica, molto aggressivi e spesso resistenti alle terapie convenzionali - Sox2 mostra di essere molto attivo e potrebbe avere un ruolo “rovesciato”: gli scienziati ipotizzano infatti che potrebbe contribuire al mantenimento delle cellule tumorali, analogamente a quanto avviene per le cellule normali. Se questo fosse confermato, Sox2 potrebbe diventare un nuovo bersaglio farmacologico, forti anche di quanto già osservato in laboratorio: riducendo l'attività di Sox2 nelle cellule tumorali si riesce a ostacolarne la moltiplicazione. In prospettiva più lunga, infine, conoscere i meccanismi genetici che regolano le funzioni delle cellule staminali neurali è il primo passo verso un possibile impiego di queste cellule nella terapia rigenerativa di malattie neurologiche come, per esempio, il morbo di Alzheimer o di Parkinson.
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