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L'esperienza del social dreaming

Cristina Mazzantini, N. 12 dicembre 2009

Il format "Cinema e Sogni" è una tecnica ideata e sperimentata dagli esperti del Centro di Ricerche Oncologiche "Giovanni XXIII" dell’Università Cattolica di Roma in collaborazione con l’International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Health Professionals (IIPRTHP) di Roma per migliorare la capacità di comunicare degli operatori sanitari impegnati nella cura dei malati oncologici e nel supporto psicologico ai loro familiari.
Approfondisce per noi l’argomento il Dr. Domenico Arturo Nesci, Coordinatore dei Corsi e dei Master in Psico-Oncologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e Dirigente Medico di I livello del Servizio di Consultazione Psichiatrica (Area della Psico-Oncologia) del Policlinico Universitario "Agostino Gemelli".
«Il workshop cinema e sogni – spiega il Dr. Nesci – è una nuova tecnica di formazione concepita per migliorare le capacità di comunicazione empatica in qualunque ambito professionale dove si sviluppa una relazione d’aiuto. Questo vuol dire che il workshop, pur essendo nato in ambito sanitario, può essere usato anche in altri campi e di fatto è già stato sperimentato con successo con insegnanti di scuola elementare».

Come si svolge il workshop
«Il workshop - spiega il Dr. Nesci - si svolge in due tempi: la visione notturna di un film e, la mattina seguente, nella stessa aula, un social dreaming modificato. Detto in modo semplice, noi riuniamo in una grande aula di un luogo di cura (generalmente l’aula "Giancarlo Brasca" del Policlinico Universitario "Agostino Gemelli" di Roma) un gruppo di operatori sanitari. L’evento può far parte del programma di Educazione Continua in Medicina (ECM) del Ministero della Salute, oppure essere la conclusione dei Master (di I o II Livello) e dei Corsi di Formazione e Perfezionamento in Psico-Oncologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (diretti dal Prof. Achille Cittadini, Centro Ricerche Oncologiche "Giovanni XXIII") riunendo così tutti coloro che seguono, a qualunque titolo, malati di cancro e loro familiari: medici, psicologi, infermieri, fisioterapisti, tecnici di radiologia, studenti universitari dell’area sanitaria, volontari, insegnanti della scuola in ospedale, operatori dei servizi sociali. Dopo aver realizzato, nei vari corsi, riunioni di gruppo in cui si narravano casi clinici difficili o si mettevano in scena, in uno psicodramma, situazioni cliniche traumatiche, i corsisti accedono finalmente a questa esperienza che non cerca di insegnare in modo "protocollare" come ci si dovrebbe comportare (o ci si sarebbe dovuti comportare) in una particolare situazione, ma mette in campo il pensiero onirico, l’immaginazione, per facilitare e promuovere in ognuno la capacità di trovare nuove risposte a situazioni apparentemente senza via d’uscita».

Il cinema: fabbrica dei sogni
«Il cinema - continua Nesci - è la fabbrica dei sogni. Sognare un film è un modo per rilanciare all’ennesima potenza la creatività del nostro inconscio. Il giorno successivo alla proiezione del film ci si ritrova quindi nella stessa aula per raccontarsi i sogni della notte. A tutti è noto che "la notte porta consiglio", e cioè che la soluzione ai problemi difficili non si trova di giorno, lambiccandosi il cervello a tavolino, usando il pensiero razionale, ma di notte, dormendo, riposandosi, sognando. Il sogno, per Freud era il custode del sonno, ed è nel sonno, mentre sogniamo, che avviene la sintesi proteica e ci rigeneriamo, biologicamente oltre che psicologicamente, lasciandoci andare ad un pensiero associativo ed immaginativo. E questo è ancora più vero quando il problema non è di tipo pratico, ma emotivo: come aiutare pazienti e familiari ad accettare la malattia oncologica senza andare in pezzi e senza mandare tutto in frantumi, in preda alla rabbia e all’angoscia? Cosa dire a quei genitori che sembrano non riuscire ad accettare la prognosi infausta del loro bambino, ma che dovranno comunque stargli vicino fino all’ultimo?
Per questi interrogativi non ci sono risposte a tavolino, non ci sono "protocolli" psico-oncologici paragonabili a quelli che gli oncologi usano per affrontare biologicamente il cancro.
Dobbiamo invece, necessariamente, riattivare il nostro pensiero associativo, quello che Freud ha messo a fondamento del metodo psicoanalitico promuovendo le libere associazioni e l’attenzione liberamente fluttuante. Dobbiamo sperare che ci venga in mente qualcosa di creativo (un sogno, nella notte, o la scena di un film, nella veglia) che possa raggiungere il nostro inconscio ed essere poi travasabile, senza bisogno di parole, nell’inconscio dei nostri pazienti.
Un gesto può essere molto più efficace di un discorso e può aiutare a riattivare spontaneamente il pensiero associativo e ritrovare così, dentro di sé, la risposta al problema che sia valida sul piano emotivo, non solo razionale.
L’operatore sanitario sbaglia quando crede di doversi sostituire al paziente e trovare le risposte ai suoi problemi, a quelli dei suoi familiari. Le risposte sono già dentro di loro. Il nostro lavoro è quello di aiutarli a ritrovarle».

Condividere e contenere le emozioni
«Dobbiamo condividere e contenere le loro emozioni - precisa il Dr. Nesci - e grazie a questo consentire loro, avendoli alleggeriti, di riattivare la propria funzione associativa, di recuperare il loro tesoro perduto, la loro creatività.
Il social dreaming, la condivisione dei sogni ispirati dalla visione in comune del film, facilita lo svolgersi di un processo che arricchisce gli operatori sanitari e li manda emotivamente più "ricchi" e quindi meno "appesantiti" all’incontro con i malati di cancro e i loro familiari. Se nell’incontro col malato di cancro i curanti vedono solo la realtà del dolore e del rischio di morte e sentono solo il peso di carichi di lavoro crescenti per la crisi del Servizio Sanitario Nazionale, allora non c’è nessun margine per un incontro creativo in cui e da cui tutti gli attori (pazienti, familiari, curanti) si sentano arricchiti e rigenerati. Se manca la dimensione del sogno, dell’immaginario, della creatività, l’incontro con la sofferenza non trova nessun significato o valore positivo. E questa, più del cancro, è la vera tragedia della nostra attuale oncologia».

Una storia tanto famosa quanto antica
La formazione emotiva permanente degli operatori sanitari che seguono i malati oncologici non può essere fatta in modo tradizionale, con lezioni teoriche frontali in cui si utilizzano lucidi e tecniche fredde e distanzianti. «Ogni evento formativo - spiega Nesci - in Psico-Oncologia deve portare alla riscoperta del piacere dell’incontro con gli altri, con l’immaginario ed i sogni degli altri. Per darne un’idea vorrei raccontarvi una storia tanto famosa quanto antica, che non troppi anni fa è stata ripresa anche da Paulo Coelho in un romanzo: nel ghetto di Cracovia, in Polonia, il giovane rabbino Giuseppe, figlio di Abramo, sogna un tesoro sepolto sotto un albero in un paese straniero e lontano, vicino al ponte di Praga. Il sogno della notte è così vivido che Giuseppe non resiste e decide di partire, il giorno dopo, sotto mentite spoglie. Arrivato a Praga scopre con stupore che vicino al ponte c’è proprio l’albero del sogno. Subito si mette a scavare senza accorgersi che attira l’attenzione delle guardie, che lo arrestano e lo fanno interrogare. Giuseppe tace la sua identità, ma racconta il sogno. Il comandante della guardie ride a crepapelle e lo lascia andare raccontandogli, a sua volta, un sogno: "ho sognato che un certo rabbino Giuseppe, figlio di Abramo, abitava a Cracovia ed aveva, in una cantina abbandonata, una vecchia stufa, e là dentro c’era una pentola piena di monete d’oro. La pentola era stata dimenticata da varie generazioni, ma io certo non sono così stupido da mettermi in viaggio per andare in Polonia!" La storia si conclude con Giuseppe che torna a casa e ritrova il tesoro perduto della sua famiglia, che era proprio in cantina, a casa sua, ma ormai inaccessibile per la rimozione collettiva dei membri della sua famiglia.
I partecipanti al workshop cinema e sogni fanno lo stesso percorso, ripetono il viaggio di Giuseppe per incontrare, attraverso la proiezione del film e la condivisione dei sogni della notte, ognuno il sogno dell’altro e riscoprire, grazie ad esso, il proprio tesoro nascosto. Arricchiti da questa esperienza possono incontrare i malati di cancro con un altro spirito, con la speranza che anche i pazienti ed i loro familiari sapranno ritrovarsi e comunicare in modo più autentico nella dimensione del linguaggio onirico ed emotivo»

Cos’è il "Social Dreaming"
Il "Social Dreaming" (letteralmente: "sognare sociale") è una tecnica inventata da Gordon Lawrence per riscoprire il contributo che i sogni possono offrire alla comprensione della realtà sociale ed istituzionale in cui vivono. «Si tratta di una ri-scoperta - spiega il Dr. Nesci - perché è noto che anticamente tutte le culture orali primarie, e cioè quelle culture che non conoscevano la scrittura, ricorrevano ai sogni per orientare le decisioni fondamentali della comunità». Il "Social Dreaming" della nostra epoca si fonda sull’approccio ai sogni della psicoanalisi classica, ma la trascende rendendone evidente la dimensione sociale. I sogni portati dal gruppo sono sviluppati ed elaborati attraverso le libere associazioni ed attraverso la "amplificazione" emotiva e tematica dei contenuti. Lo scopo è quello di favorire la nascita di nuove idee, di pensieri nuovi, di aprire le menti dei partecipanti grazie all’esplorazione di una catena associativa che viene costruita con il contributo di tutti. Nel workshop "cinema e sogni", che è una variante del social dreaming classico, il lavoro dei partecipanti consiste nel collegare tra loro immagini del film visto con sogni stimolati dalla visione del film e situazioni cliniche vissute nell’attività professionale. In questo modo gli operatori sanitari si accorgono di condividere un linguaggio comune: quello dell’immaginario e delle emozioni, e finalmente si costruisce un’équipe multi professionale che parla un unico linguaggio.
Nel workshop "cinema e sogni" è come se un sogno collettivo (il cinema, "fabbrica dei sogni") producesse altri sogni che, narrati nel gruppo, vengono come sognati una seconda volta, coinvolgendo tutti i partecipanti.
Si tratta dunque di un evento esperienziale che ha un notevole impatto formativo sui partecipanti, sia nel caso che raccontino i loro sogni o associazioni (scene cliniche realmente vissute e rievocate, per un qualunque motivo, da una scena del film o dal sogno di un collega) sia nel caso che ascoltino semplicemente i sogni e le narrazioni degli altri operatori sanitari. Gli interventi dei conduttori (almeno due, uno psicoanalista e un gruppo analista, coadiuvati da almeno altri due osservatori partecipanti, immersi nel gruppo) colgono infatti gli elementi comuni ai sogni ed alle scene cliniche suscitati dalla visione del film, evidenziando blocchi ed inibizioni professionali inconsci dei partecipanti. Il tema della comunicazione tra curanti e pazienti viene così agevolmente ed efficacemente esplorato utilizzando i sogni come esempio di comunicazione tra livelli di coscienza diversi e rivelando con immediatezza quello che gli operatori sanitari tendono, inconsciamente, a non riconoscere nelle situazioni cliniche e quindi a non poter comunicare con l’efficacia che vorrebbero.

Quando e dove è stata ideata la tecnica dei workshop?
«Nel Luglio del 1999 – racconta il Dr. Nesci – un gruppo di psicoanalisti e ricercatori si riuniva a Roma intorno a me per dare vita ad un istituto internazionale (The International institute for Psychoanalytic Research and Training of Health Professionals – IIPRTHP) allo scopo di promuovere le idee essenziali del pensiero psicoanalitico (il pensiero associativo, le dinamiche inconsce del transfert e del controtransfert nel rapporto tra pazienti e curanti, la valorizzazione degli atti mancati dei lapsus e dei sogni nel lavoro clinico) in tutte le categorie degli operatori sanitari. Questo comportava la necessità di inventare nuovi strumenti formativi: il primo è stato il "workshop associativo", il secondo è proprio il "workshop cinema e sogni". Il workshop associativo creava un’atmosfera emotiva e di curiosità scientifica per facilitare la possibilità di capire "sulla propria pelle" cos’è la psicoanalisi insegnando "in vivo" il metodo delle libere associazioni. Dopo l’intervento del "Relatore2 (su un qualunque argomento di psicoanalisi applicata) il "Discussant" ufficiale rinunciava al suo ruolo tradizionale (discutere la relazione) per fare invece una prima libera associazione al lavoro appena presentato e di cui era del tutto all’oscuro. A partire da lì tutti potevano intervenire associando con qualunque esperienza clinica venisse in mente. Discutere era invece vietato. Il successo del "workshop associativo" mi ha fatto venire in mente l’idea di sostituire la relazione iniziale con la proiezione di un film, scelto in base al tema su cui si voleva focalizzare l’evento formativo. L’idea mi era venuta da un’osservazione che avevo fatto in aula quando, dopo un lavoro estenuante di rielaborazione su un caso clinico "impossibile", era sceso un silenzio assoluto. Il gruppo era riuscito a superare lo stallo in cui era caduto grazie all’intervento di un partecipante che aveva rilanciato il lavoro rievocando la scena di un film. Dopo le prime sperimentazioni si arrivò, nel 2002, alla prima edizione del nuovo workshop intitolato "La malattia oncologica nell’immaginario: cinema e sogni". Il resto è noto e potete leggerlo sulla rubrica "Cinema e Sogni" della rivista online www.doppio-sogno.it che viene pubblicata dal nostro Istituto internazionale e può essere utilizzata gratuitamente da tutti oppure su un’altra rivista online (Strumenti in Psico-Oncologia) scaricabile anch’essa gratuitamente dal portale della Psicologia italiana al sito www.psychomedia.it. Ma, per chi non ha voglia di visitare questi siti, mi limiterò a dire qui che dal workshop cinema e sogni è nato, per l’intuizione geniale del Dr. Tommaso A. Poliseno, che è uno dei fondatori del nostro Istituto internazionale, un format televisivo che è stato realizzato già in nove edizioni di cui otto trasmesse da RAISAT Cinema per il grande pubblico ed una scaricabile gratuitamente dalla rivista "Doppio Sogno"».

Qualche titolo di "cancer movies"
Il cancro è diventato un elemento dell’immaginario collettivo della nostra epoca e è nato anche un genere cinematografico specifico, il "cancer movie".
Ecco qualche esempio:

  • "Sussurri e grida" di Ingmar Bergman
  • "Non è mai troppo tardi" di Rob Reiner
  • "La stanza di Marvin"
  • "Invasioni barbariche"
  • "L’ultimo sogno"
  • "Verso il sole"
  • "Nemiche amiche"

Psico-Oncologia: testi consigliati

La Psichiatria di Consultazione e Collegamento: teoria, clinica, ricerca, formazione
Bria P., Nesci D.A., Pasnau R.O., Alpes Edizioni, Roma, 2009.

Affetti e cancro
Fornari F., Raffaello Cortina, Milano, 1985

Psicoanalisi della guerra
Fornari F., Feltrinelli, Milano, 1970

Opere (1892-1938)
Freud S, Boringhieri, Torino

La Notte Bianca. Studio etnopsicoanalitico del suicidio collettivo
Nesci D. A., Armando Editore, Roma, 1991

Metamorfosi e Cancro
Nesci D. A., Poliseno T. A., SEU, Roma, 1997

La malattia oncologica nell’immaginario: alcune riflessioni sui Workshops Cinema e Sogni del 2002
Nesci D. A., Poliseno T. A., Andreoli S., Mariani G. (2006). Doppio Sogno, numero 2, Giugno 2006, http://www.doppio-sogno.it/numero2/vari4.htm

Psicologia e tumori: una guida per reagire
Anna Costantini, Luigi Grassi e Massimo Biondi, Il Pensiero Scientifico Editore.

La mente e il cancro
Mariano Bizzarri; Frontiera Editore

Dolce è la vita
Sidney J. Winawer e Nick Taylor, Positive Pres

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