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I costi della salute
Monica Melotti, N. 12 dicembre 2009
Il tema della salute è sempre una questione spinosa, soprattutto in Italia. Secondo un’indagine condotta dal “Barometro Annuale Europe Assistance” emerge che gli Italiani sono i cittadini più delusi in Europa in merito all’assistenza sanitaria. La fotografia europea è stata fatta mediante un sondaggio che la compagnia assicurativa ha fatto realizzare dall’istituito di ricerca Csa in collaborazione con il Cercle santé société, pensatoio francese nato per favorire il dibattito pubblico sulla sanità e sugli aspetti economici correlati. La ricerca ha coinvolto oltre 2 mila persone di cinque nazioni: Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Svezia. L’Italia risulta essere, anche quest’anno, il paese meno soddisfatto del proprio sistema sanitario, lamentando mancanze soprattutto a livello di organizzazione, qualità dei servizi ospedalieri e consulenze mediche. Così, immediatamente dopo i tedeschi (70 per cento), sono proprio gli italiani il popolo più propenso a ricercare cure specialistiche all’estero (62 per cento contro il 53 della media europea). Motivo principale dello spostamento? Ricerca di tecniche d’avanguardia o difficilmente accessibili nel paese d’origine. Una motivazione che lascia più freddi i francesi spinti (41 per cento) a valicare i confini per interventi estetici piuttosto che medici.
Non manca qualche dato in positivo. Ad esempio cresce, di 5 punti percentuali, la fiducia in Internet in materia di salute, con picchi soprattutto in Gran Bretagna e Svezia. Non tanto per le consulenze online, ma come fonte d’informazione sull’argomento, anche se gli italiani sono ancora in parte dubbiosi sull’attendibilità delle informazioni scientifiche online. Un'altra richiesta sentita da tutti gli Europei è l’esigenza di avere più risorse per la gestione delle persone anziane. Se i finanziamenti pubblici per la cura e l’assistenza domiciliare degli anziani continuano ad essere ritenuti insufficienti (secondo il 56 per cento del campione), questa percezione varia in modo significativo da paese e paese: i più insoddisfatti sono i francesi (75 per cento), i meno gli inglesi (32 per cento). Per gli italiani ancora tanto resta da fare (61 per cento) e forte è la richiesta (44 per cento) di un incremento degli aiuti a domicilio. Mentre gli svedesi (74 per centro contro la media del 37) privilegerebbero la creazione di nuove case di riposo. In ogni caso, la maggioranza degli europei (54 per cento) è favorevole a un sistema misto di presa in carico delle spese per l’assistenza dei non autosufficienti che associ contributi pubblici e privati.
Le patologie più care
Secondo i dati Istat, il costo sanitario pro-capite di un italiano per la salute è di 1.703 Euro. Se a questo dato togliamo i costi sanitari connessi alla cura dell’obesità, otteniamo un costo sanitario pro-capite di 1.565 Euro. Ciò significa che l’obesità peserebbe sulla spesa sanitaria pro-capite per circa 138 Euro e che un cittadino obeso costerebbe al sistema sanitario più del doppio di un cittadino normopeso. «L’obesità sarà un’emergenza sanitaria globale dei prossimi anni», dice Giuseppe Turchetti, docente di Economia e Gestione delle Imprese alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. «Un’evidenza condivisa da tutti gli addetti ai lavori, certificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha posto la prevenzione e la cura di questa patologia tra gli obiettivi più importanti da conseguire a breve termine. Quasi cinque milioni dei nostri connazionali sono obesi. Il loro costo sociale, secondo un nostro studio condotto insieme all’Università Bocconi di Milano, è pari a 8,3 miliardi di euro all’anno. Quali sono le altre patologie che incidono maggiormente sul sistema sanitario? «Le malattie cronico-degenerative, specie in quei paesi come l’Italia con elevato tasso di invecchiamento della popolazione», dice Maria Cristina Campanini, medico di famiglia di Milano responsabile nazionale Snami Rosa (Sindacato nazionale autonomo medici italiani). «Le malattie croniche più diffuse tra la popolazione, estrapolate da 24 patologie, sono l’artrosi/artrite (18.3%), l’ipertensione (13.6%) e le malattie allergiche. Le malattie croniche con maggiore prevalenza femminile sono l’artrosi/artrite, l’osteoporosi, e la cefalea. Gli uomini sono maggiormente colpiti dalla broncopolmonite e da infarto. Lo 0.5% della popolazione è affetto da malattia di Alzheimer o demenza senile, con percentuale doppia nel sesso femminile».
Chi ha perso di più
Perché la coperta sanitaria del nostro Paese diventa sempre più corta ? In primo luogo per l’allungamento della vita. Siamo fra i più longevi nel mondo, ma paghiamo questa posizione con l’aumento delle demenze (oggi da 500 a 800 mila casi) degli anziani non autosufficienti e delle malattie tipiche della vecchiaia. Infatti l’esigenza di avere più risorse per la gestione delle persone anziane, ritenute insufficienti, è sentita dal 61% degli italiani, con un forte incremento (44%) degli aiuti a domicilio. Entrano però in gioco diverse variabili», puntualizza Maria Cristina Campanili. «Negli ultimi anni è aumentato il ricorso alla medicina difensiva, costituita dall’eccesso di prescrizioni, analisi e test diagnostici che gli specialisti fanno effettuare ai pazienti per evitare accuse di negligenza. Ma anche i pazienti hanno quasi una pretesa di immortalità che li porta a richiedere esami in continuazione. Nel mio studio arrivano dei pazienti giovani che senza motivo mi richiedono esami complessi, come i marker tumorali. E’ chiaro che questo eccesso di esami costi al sistema sanitario e questi soldi potrebbero essere impiegati in un altro modo. Un altro motivo è l’abuso dei farmaci. Nella nostra società superefficiente si commette l’errore ad ogni minimo disturbo di assumere un medicinale. Si tratta della cosiddetta “snack therapy”, per ogni sintomo c’è subito pronto un farmaco che risolve il problema. La questione però non coinvolge solo i medici e i pazienti, ma anche le istituzioni. La maggior parte delle risorse del sistema sanitario viene assorbito dagli ospedali. Nonostante il numero complessivo delle strutture si sia ridotto del 7,9% tra il 2000 e 2006, non c'e' stata una proporzionale riduzione del personale che anzi' e' leggermente aumentato. In particolare sono cresciuti i medici (+1,87%) e le figure amministrative (+2,05%), mentre è calato il personale infermieristico e quello tecnico. Infine sempre l’annosa questione dell’Italia è divisa in due: il Nord va avanti, contando anche su programmi di screening mirati, mentre il Sud arranca e varie regioni si trovano in emergenza. Le categorie che maggiormente soffrono di questa situazione sono le donne e le famiglie monoreddito. Le donne anziane sono le meno protette, hanno pensioni più basse e di conseguenza meno risorse economiche per curarsi.
Il problema però è a monte: in Italia manca un’adeguata politica per la famiglia. Molti nuclei familiari devono pagare di tasca propria un gran numero di prestazioni sociali e sanitarie. Sono infatti quasi 350mila (pari all'1,5% del totale) le famiglie che nel 2007 si sono impoverite a causa di spese sanitarie impreviste».
Gli sprechi da eliminare
Per le medicine gli italiani, secondo la Coldiretti, spendono quasi il doppio rispetto alla frutta e alla verdura, il cui consumo potrebbe sicuramente favorire un minor ricorso ai farmaci. Secondo i dati Aifa (Agenzia Italiana del farmaco), la nostra spesa farmaceutica nel 2008 è stata di oltre 24 miliardi di euro. Tra i farmaci di maggior consumo ci sono quelli per le patologie relative al sistema cardiovascolare, gastrointestinale e quello del sistema nervoso centrale. Una ricerca dell’istituto Mario Negri rivela che in più della metà dei casi le confezioni dei farmaci non vengono utilizzate del tutto: meno della metà delle confezioni prescritte (49%). Ancora peggio nei casi pediatrici: la quota sprecata tocca il 65% (mentre scende al 43% per gli over 65). I farmaci che più frequentemente avanzano sono gli antidolorifici-antinfiammatori, utilizzati comunemente contro dolori di vario tipo e contro la febbre. In termini di spesa, il 40% della spesa totale è destinato a farmaci non consumati del tutto, con un’incidenza maggiore per quelli a carico dei cittadini rispetto a quelli rimborsati dalla mutua: su 10 euro spesi per l’acquisto, 6 sono destinati a farmaci non completamente utilizzati. Ci vorrebbe quindi una maggiore attenzione, sia da parte dei cittadini che dei medici.
Come risparmiare sui farmaci?
In Italia si può comprare un farmaco in diversi punti vendita, ma non allo stesso prezzo. Tra farmacie, parafarmacie e ipermercati il costo di un medicinale può variare fino al 60%. È il risultato di un’indagine di Altroconsumo, un’associazione per la difesa dei consumatori, che ha preso in esame 128 punti vendita in dieci città italiane: da Milano a Palermo, passando per Roma, Bologna, Firenze, Torino, Napoli, Genova e Bari. Il risultato è sconcertante, per lo stesso farmaco i costi cambiano notevolmente a seconda del luogo in cui lo si acquista, soprattutto se fanno parte della categoria di farmaci senza obbligo di prescrizione: «Nelle farmacie l’aumento è stato in media del 4,8%, nelle parafarmacie dell’8,7% e nella grande distribuzione del 6,1», spiega Laura Filippucci, responsabile dell’indagine. «A tre anni dal decreto Bersani e dalla liberalizzazione dei farmaci il panorama per i consumatori non sembra migliorato per diversi motivi: probabilmente perché tre anni di varie imposizioni di legge avevano bloccato la crescita delle tariffe nel settore farmaceutico. E come era prevedibile, tolto il tappo, i prezzi hanno fatto il botto: gli aumenti sono nettamente superiori all’inflazione. Poi da marzo 2008 le case farmaceutiche possono suggerire ai farmacisti un “prezzo” indicativo, in alcuni casi più alto (anche molto più alto) di quello di due anni fa. I farmacisti lo hanno adottato come prezzo di vendita, cosa che ha fatto registrare rincari del 22 per cento». La domande è d’obbligo, dove conviene acquistare i farmaci? Non si può dare una risposta precisa. Le farmacie hanno prezzi molto variabili, anche se in media costa più dell’ipermercato, ma può succedere che nella farmacia sotto casa il farmaco sia in promozione speciale e quindi costi meno che nell’ipermercato. In secondo luogo, in farmacia si trovano più facilmente i farmaci generici o equivalenti, che costano in genere meno rispetto ai loro corrispondenti di marca».
Gli screening sono utili se sono precisi
Gli esperti americani contestano la validità degli screening. A 20 anni dall'inizio degli screening per il cancro alla prostata e al seno, le due forme di tumore più diffuse, non e' arrivata la tanto attesa diminuzione. “I programmi di screening non hanno dato i risultati sperati. Sempre più pazienti vengono trattati, e il tasso di patologie tumorali rimane alto”, spiega Laura Esserman del University of California, San Francisco, prima autrice dello studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association e membro della American Cancer Society. "Lo screening da' dei benefici, ma questi benefici non compensano i costi delle diagnosi e dei trattamenti non necessari". Per gli autori, il problema principale dello screening del cancro al seno o alla prostata e' proprio questo: spesso i pericoli delle forme tumorali vengono sovrastimati, e si cominciano trattamenti costosi sia per il paziente che per il sistema sanitario anche in assenza di una reale necessità. "Abbiamo bisogno di concentrarsi sul problema di come identificare gli uomini e le donne a rischio delle forme più aggressive di cancro, direttamente dalle prime diagnosi", continua la ricercatrice. "I sistemi dovrebbero dirci subito quali forme tumorali rimarranno stabili o non causeranno pericoli per la vita. Il cancro al seno e alla prostata sono tra le forme più comuni di decesso per tumori, poiché spesso una diagnosi precoce porta, nelle altre forme di cancro, a un alto tasso di sopravvivenza, si e' stabilita l'assunzione che lo screening a tappeto avrebbe abbassato i casi di cancro al seno e alla prostata. Ma nel caso di queste due malattie, non e' stato così, abbiamo registrato un trend esattamente opposto. Senza l'abilita' di distinguere i tumori letali da quelli a rischio minimo, c'e' il pericolo che la popolazione venga trattata in maniera inefficace, fornendo cure a chi non ne ha bisogno senza concentrarsi sui casi pericolosi. Per questo servono test più accurati e precisi".
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