Esegui una ricerca

Informativa privacy

Tumore: prendiamolo per fame

Grazia Leone, N. 6/7 giugno luglio 1998

Endostatina e angiostatina.
Su queste due proteine prodotte dal corpo umano e regolatrici del sistema vascolare è ora riposta la speranza di debellare il cancro, addirittura - si sbilancia qualcuno - entro il nuovo millennio. Nel parliamo con il premio Nobel per la medicina Renato Dulbecco.
Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina nel 1975, commenta in quest'articolo i risultati della ricerca di Folkman sugli effetti antitumorali delle proteine "antiangiogenesi".
"Angiogenesi" è il termine medico usato per indicare la formazione di nuovi vasi sanguigni. Questo processo avviene spontaneamente in gravidanza e durante il processo di cicatrizzazione post-trauma.
Si verifica inoltre in presenza di determinare malattie (quali cancro, malattie degenerative dell'occhio). É invece insolito che negli adulti in buona salute si formino nuovi vasi sanguigni.
Folkman e la sua équipe hanno isolato due proteine (angiostatina e endostatina) che funzionano come inibitori angiogenici, con risultato esaltanti soprattutto se somministrate insieme: la loro combinazione ha infatti sradicato tutti i tipi di tumori nei topi, senza produrre effetti secondari. Lo studio di Folkman è per ora limitato alle cavie animali, sono già però in fase di studio clinico sull'uomo altri metodi sull'effetto antitumorale del processo anti-angiogenetico.
L'ottimismo mondiale sulla ricerca oncologica nasce da una scoperta sull'inibizione dell'angiogenesi svolta su topi di laboratorio ad opera dell'americano Moese Judah Folkman. Il tumore si nutre delle sostanze presenti nel sangue. Si chiama angiogenesi il meccanismo con cui una neoplasia era attorno a sé un sistema di vascolarizzazione autonomo, una rete di vasi sanguigni, cioè, che le consentono di espandersi. Folkman ha scoperto che endostatina e angiostatina nel topo bloccano proprio la proliferazione di questi vasi. Il tumore, quindi, non venendo più alimentato dal sangue, non può crescere e addirittura scompare. Ovviamente, se ciò si verificasse anche nell'uomo, sarebbe una grande conquista nella lotta contro i tumori. Il primo a essere cauto, però, è lo stesso Folkman che dice: Se mi portate un topo con il cancro, sono sicuro di guarirlo". Prudenza dettata dal fatto che nell'uomo e nel topo genesi e sviluppo del cancro sono molto diversi. La sperimentazione sull'uomo della nuova tecnica comunque sta per partire e soltanto fra due anni si conosceranno i risultati.
Intanto per conoscere meglio caratteristiche e potenzialità di questa scoperta ne parliamo con il premio Nobel Renato Dulbecco.
Professor Dulbecco, cosa pensa dei risultati ottenuti da Folkman?
"La sua è una scoperta di grande significato. Se ne venisse riscontrata la validità anche nell'uomo, gli effetti sarebbero eccezionali. Inibire la proliferazione dei vasi sanguigni che alimentano un tumore, infatti, significa arrestare lo sviluppo e prevenire, quindi, le metastasi".
Crede che la scoperta di Folkman abbia buone probabilità di rivelarsi efficace anche nell'uomo?
"Sono abbastanza ottimista perché lo studio di Folkman è stato condotto in modo chiaro, trasparente ed è stato pubblicato su prestigiose riviste scientifiche. So bene, tuttavia, che solo al termine della sperimentazione sull'uomo si conoscerà la sua effettiva validità. Il dubbio principale consiste nel fatto che, a differenza dell'uomo, il cancro nel topo è esogeno, non nasce cioè spontaneamente, ma viene trapiantato. Inoltre, i tumori che attaccano l'uomo sono tanti - circa un centinaio - e diversi fra loro. Bisognerà vedere, quindi, come ciascuno di essi reagirà alle due proteine".
La tecnica di Folkman comporterebbe rischi per l'uomo?
"Nel corpo umano i vasi sanguigni si moltiplicano soltanto in due casi, m presenza di ferite o di tumore. Endostatina e angiostatina. quindi bloccherebbero la proliferazione dei vasi solo in un ambito localizzato. Nessun'altra parte del corpo umano verrebbe intaccata come invece avviene con le cure attuali. Non ci sarebbero, quindi, effetti collaterali.
Ci sarebbero altri vantaggi?
"Sì. Chemio e radioterapia aggrediscono le cellule tumorali che a loro volta si difendono modificandosi, in modo da rendere meno efficaci le successive applicazioni terapeutiche. La grande novità introdotta da Folkman consiste nel fatto che la sua tecnica non colpisce le cellule del tumore, ma quelle dei vasi che lo nutrono. E questo e un eccellente risultato perché queste cellule sviluppano resistenza.
Negli ultimi trent'anni si sono effettuati molti studi sul comportamento dei vasi sanguigni e sull'inibizione dell'angiogenesi. La scoperta di Folkman in cosa si distingue?
"Bisogna riconoscere che la maggior parte degli studi sono stati fatti proprio nel laboratorio di Folkman, che ne è il vero pioniere. Nel campo del cancro conosco due studi anch'essi molto recenti svolti in altri istituti. Il primo usa anticorpi contro l'angiogenina, uno dei principali fattori che promuovono la migrazione dei vasi sanguigni. Viene bloccata così la formazione di questi nel tumore. L'altro studio si serve dei peptidi, piccole proteine che si legano alle cellule dei vasi nel tumore. Così, un chemioterapico può essere trasportato dai peptidi ed uccidere il tumore. E probabile che nell'uomo l'attacco al cancro si avvarrà di una combinazione dei vari metodi sperimentali.
Al di là della scoperta di Folkman, secondo lei, in quale campo deve puntare la ricerca per sconfiggere il cancro?
"Credo molto nella ricerca genetica. A parte gli esperimenti su oncogeni e genosoppressori, in Europa e negli Stati Uniti si stanno eseguendo studi molto interessanti per individuare quali e quanti geni si alterano in modo costante nelle cellule cancerose. Se questi geni fossero migliaia, sarebbe difficile pianificare una strategia d'attacco. Recenti studi, comunque, hanno rivelato che nel colon malato di cancro su 30mila geni soltanto 300 non funzionano bene. E molti di essi sono gli stessi geni difettosi che si riscontano nelle neoplasie del pancreas. La presenza di questa alterazione comune fa nascere buone prospettive nella lotta ai geni difettosi. Questo ramo della scienza non va confuso con la terapia genica che permetterà, invece, di combattere il cancro da un punto di vista immunologico, e i cui effetti si conosceranno meglio entro un anno".
Cosa pensa della ricerca condotta in Italia? É ancora indispensabile per i nostri scienziati specializzarsi all'estero?
"Certo una specializzazione in altri paesi è molto utile per l'acquisizione di nuove idee e tecnologie. In Italia ci sono molti bravi ricercatori che potrebbero fare molto di più se ci fossero buone infrastrutture e finanziamenti adeguati. Da noi, inoltre, spesso i soldi vengono spesi male. Negli Stati Uniti, invece, le risorse vengono assegnate solo a chi dimostra di condurre studi con serie e buone prospettive. Comunque, ora le nuove direttive del ministro per l'Università e la Ricerca Scientifica Luigi Berlinguer fanno ben sperare in una migliore distribuzione dei fondi anche in Italia.


Uomo = topo, non sarebbe poi così male
"Se sei un topo e hai un cancro, forse possiamo esserti d'aiuto". Con questa frase il pragmatico e prudente Folkman fa capire quale sia il vero stadio raggiunto dalle sue scoperte in oncogenesi. Ma le speranze sull'uomo stanno già diventando certezze, complice l'ottimismo che trapela fra gli addetti ai lavori.
Tutto comincia il 3 maggio quando il New York Times riporta le dichiarazioni a dir poco entusiaste del premio Nobel James Watson, lo scopritore del DNA, in merito ai risultati delle ultime ricerche sul cancro da parte dell'équipe di Folkman. Judah Folkman è un medico chirurgo di Harvard con il pallino della ricerca. Da 38 anni intervalla il bisturi al laboratorio. Fra gli alambicchi e le cavie segue le evoluzioni del processo di vascolarizzazione (angiogenesi) dei tumori. Finora ha sperimentato con successo sui topi due molecole, angiostatina ed endostatina, in grado di bloccare l'alimentazione sanguigna del cancro. Ciò significa che sotto l'azione controllata di queste due molecole, presenti in natura in ogni organismo vivente, il cancro viene fatto regredire fino a che scompare. É un po' come se esse lo costringessero a morire di fame.
Ora che il National Cancer Institute, l'equivalente della nostra Commissione Oncologica Nazionale, ha dato mandato a Folkman per sperimentare le due molecole sull'uomo, non c'è addetto ai lavori che non sia convinto che, fra non molto, l'umanità tutta beneficerà di cure a dir poco sorprendenti. Il primo a dichiararsi più che fiducioso è stato appunto Watson: "Folkman curerà il cancro entro due anni, e per questo sarà annoverato fra i più grandi scienziati di tutti i tempi". A cui dall'Italia ha fatto eco un altro premio Nobel, Renato Dulbecco (vedi intervista).
Ma se il generale entusiasmo è recente, l'ostracismo nei confronti di Folkman, fino a ieri stimato chirurgo ma snobbato ricercatore, è antico. E c'è chi lo spiega così. Folkman e partito lancia in resta più di quarant'anni lì a studiare un modo per sconfiggere il tumore decisamente in coincidenza rispetto alla ricerca più accreditata. E finanziata. Da una parte c'era lui, Folkman, medico di origine ebraica che quasi in solitudine, e facendo i salti mortali per avere i finanziamenti necessari a pagare i collaboratori, cercava la risposta contro il cancro studiando come questo si nutre. Sul versante più noto c'erano e ci sono tuttora, migliaia di ricercatori in ogni continente il cui diktat è trovare la cura che agisca da antidoto contro il male.
La storia scientifica di Folkman parte nel 1960, anno in cui lavora a un progetto di ricerca sul sangue per conto della Marina USA. Facendo esperimenti sui conigli si accorge che i tumori negli animali riescono ad autoprodursi il fabbisogno di sangue.
Da allora il suo chiodo fisso è fermare questo processo. Nel '71 pubblica il primo lavoro in cui di atto dell'angiogenesi dei tumori. Vent'anni dopo, nel '91, scopre gli effetti inibitori di angiostatina ed endostatina. Nei quattro anni successivi, fa seguire febbrili esperimenti delle due sostanze sui topi, ai quali il tumore viene indotto. Poi finalmente nel '95, il Journal of the National Cancer pubblica lo scritto in cui Folkman e i suoi dimostrano in maniera incontrovertibile che l'applicazione di queste due sostanze, ormai pervenute a dosaggi ottimali nei topi, bloccano l'angiogenesi. E chiede di poterle sperimentare sull'uomo. Frattanto almeno una dozzina di case farmaceutiche stanno lavorando sulla produzione delle due sostanze da utilizzare sull'uomo, alla ricerca dei dosaggi giusti per avere l'effetto voluto e per ridurre a zero la possibilità di effetti indesiderati. Un primo risultato della ricerca farmaceutica e rappresentato dal TP70, un farmaco che agisce da inibitore dell'angiogenesi, pur essendo meno potente di angiostatina ed endostatina. Folkman si accinge a sperimentare il TP70 su bambini leucemici allo stadio terminale, avendo ottenuto l'ok dalla Food and Drug Administration (il Ministero della Sanità USA).
Mentre il National Cancer Institute ha dato mandato a Folkman per testare angiostatina ed endostatina su malati terminali che non rispondono più a ogni altro tipo di cura. Da questo studio clinico, al via non prima del '99, ci si attende molto. Ma forse proprio perché le attese sono tante, Folkman non lesina cautela. "Dal topo all'uomo ci sono molto differenze - è il suo leitmotiv di fronte ai comprensibilissimi entusiasmi".
Precisa anche che la sua cura non sarà alternativa a chemioterapia, radioterapia e chirurgia.
Una cautela che non è solo di facciata. Tant'è che di fronte alle richieste di amici e personaggi illustri ammalarsi di cancro ormai senza più chance come Linda McCartney, moglie di Faul, l'ex Beatles, morta di recente per un tumore al seno che volevano sperimentare le due sostanze, egli ha preferito opporre il diniego dello scienziato che non ha ancora toccate tutte le cappe della ricerca precedenti l'utilizzo sull'uomo.
"Se sei un topo e hai un cancro, forse possiamo esservi d'aiuto", è la frase che il pragmatico Folkman usa per fare capire a tutto il mondo lo stadio scientifico raggiunto dalle sue scoperte. E per frenare illusioni che, in quanto utili, con la scienza non hanno nulla a che spartire.

L'Harvard Medical School di Boston
Alla fine del '700, la formazione del medio comprendeva alcune lezioni, seguite per un semestre o due, e nel successivo, lunghissimo, apprendistato presso un medico. Non era richiesta alcuna preparazione accademica né il superamento di alcun esame; gli allievi non pagavano tasse scolastiche ma compravano i biglietti per poter assistere alle conferenze dei professori e non era previsto alcun tirocinio presso ospedali dal momento che non ne esistevano di attrezzati per l'insegnamento. Un documento programmatico compilato da alcuni compagni dell'Harvard College illustrava le attività e gli intenti di una nuova scuola per medici che si intendeva fondare: con pochi allievi e una facoltà di due classi iniziava così, il 19 settembre 1782, la storia dell'Harvard Medical School. I primi due professori della scuola furono John Warren, Benjamin Waterhouse e Aaron Dextor. Benjamin Waterhouse, formatosi presso università ed ospedali europei, introdusse negli USA il vaccino anti vaiolo di Jenner usandolo, per primo, sui membri della propria famiglia.
John Warren, insegnante e chirurgo esperto, fu l'artefice, nel 1810, del trasferimento della scuola a Boston, città dove era più facile visitare sia i pazienti privati sia quelli nei dispensari e negli ospedali militari e navali che si stavano allestendo in città, concepiti, come la maggior parte dei ospedali fondati nel diciannovesimo secolo, per gli indigenti. In seguito ad un generoso lascito da parte della "Great and General Court of Massachusetts" la scuola venne chiamata Massachusetts Medical College of Harvard Universi. Verso la fine dell'800 vennero introdotte nuove norme: si elevo lo standard d'ammissione, vennero istituiti esami scritti per superare i vari livelli (articolati in un corso triennale) vennero istituiti nuovi dipartimenti, venne eliminato il praticantato presso medici: ben presto la scuola divenne la guida per la formazione medica universitaria americana. La scuola ha oggi sei dipartimenti: biochimica e farmacologia molecolare, biologia delle cellule, genetica, microbiologia e genetica molecolare, neurobiologia, patologia; due dipartimenti di scienze sociali e un reparto clinico. Affiliate alla scuola ben 18 divisioni, fra cui il Children's hospital, dove lavora il dottor Folkman.

Tempi lunghi per la sperimentazione sull'uomo
Sulla scoperta di Folkman chiediamo un commento anche al professor Francesco Cognetti, primario di oncologia medica dell'Istituto Regina Elena di Roma uno dei centri in cui si sta sperimentando la terapia Di Bella.
Ritiene che lo studio di Folkman potrà essere applicato con successo anche sull'uomo?
"I buoni risultati ottenuti in laboratorio e la serietà e la serietà di Folkman mi fanno essere fiducioso. Bisogna considerare, però, che finora i suoi esperimenti sono stati condotti sul topo il cui cancro, al contrario di quanto avviene nell'uomo, non si sviluppa spontaneamente. É opportuno, quindi, attendere i risultati della sperimentazione sugli esseri umani".
Qual è, secondo lei, l'innovazione più interessante di questa scoperta? "Senz'altro il fatto che ogni applicazione produce gli stessi effetti terapeutici. Endostatina e angiostatina, infatti, agiscono sui vasi sanguigni che non oppongono alcuna resistenza Nell'ambito delle cure attuali, invece, le cellule tumorali attaccate dai chemioterapici reagiscono inibendo l'efficacia dei farmaci nelle successive applicazioni".
Crede che gli interessi economici delle case farmaceutiche potrebbero influenzare l'andamento della sperimentazione di Folkman sull'uomo? "L'industria farmaceutica favorirà la sperimentazione. Certamente non influenzerà i risultati in quanto esistono vari meccanismi di verifica che lo impediscono".
Anche in Italia si stanno svolgendo studi sull'inibizione dell'angiogenesi?
"Sì, in alcuni laboratori, sempre su modelli animali. Purtroppo, però, l'Italia non può competere con gli altri paesi per l'insufficienza dei finanziamenti e i tempi lunghissimi con cui viene approvata una sperimentazione".
Lei ora sta sperimentando sta sperimentando la terapia Di Bella nell'Istituto Regina Elena di Roma. Ripone più speranze nel metodo Di Bella o nelle scoperte di Folkman?
"Si tratta di due cose completamente diverse per molecole usate, meccanismo di azione e metodica di lavoro. É ancora troppo presto per parlare in modo definitivo della terapia Di Bella; posso solo dire che ho fiducia nello studio di Folkman. vista la qualità delle sue ricerche, pubblicate da molti anni sulle più importanti riviste scientifiche.

1975: il Nobel per la medicina a Dulbecco
Nato a Catanzaro nel 1914, Renato Dulbecco si iscrive alla facoltà di Medicina dell'Università di Torino a soli sedici anni, laureandosi 6 anni dopo, nel 1936. Nel 1947 lascia l'Italia per gli Stati Uniti, non prima di aver frequentato, sempre a Torino, la facoltà di Fisica per due anni, e aver cominciato a occuparsi di ricerca. In America è ricercatore della University of Indiana a Bloomington, e successivamente si trasferisce al California Institute of Technology. Nel 1955 riesce ad isolare il primo mutante del virus della poliomielite, di cui si gioverà Sabin per la preparazione del vaccino. Nel 1960 si interessa alla ricerca sul cancro. Studia i virus animali che causano forme di alterazione nelle cellule. Sue le scoperte che il DNA del virus viene incorporato nel materiale genetico cellulare, e che ciò provoca un'alterazione permanente della cellula.
Nel 1964 vince il premio Lasker per la ricerca medica e nel 1975 il Nobel per la Medicina (insieme a David Baltimore e Howard Temin) per aver individuato il legame tra i virus tumorali e codice genetico della cellula. Nel 1986 lancia il Progetto Genoma Umano, volto a decifrare il patrimonio genetico dell'uomo.
Tornato di recente in Italia, all'Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR di Milano, presiede la Commissione Oncologica Nazionale. Dal dicembre del '93 è inoltre membro della Commissione di alta consulenza per le Attività Scientifiche e Tecniche del Comune di Milano, oltre che di diversi organismi scientifici internazionali, tra cui l'Accademia dei Lincei, e National Academy of Sciences statunitense, la Royal Society britannica e l'International Physicians for the Prevention of Nuclear War.

Torna ai risultati della ricerca