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Contro il tumore della mammella arriva la terapia orale
Minnie Luongo, N. 8/9 agosto/settembre 2009
Un importante accordo- quello tra GSK e AIFA- è stato reso noto durante un recente incontro tenutosi a Roma alla presenza di tre fra i più autorevoli oncologi italiani. In sintesi: si hanno a disposizione 12 settimane di “prova” per valutare la reale efficacia nella singola paziente con tumore della mammella di lapatinib, farmaco somministrabile per via orale.
Oltre che della molecola, a Roma si è parlato anche di due interessanti sondaggi, condotti rispettivamente tra i medici oncologi e tra le donne. Ma andiamo con ordine.
L’importanza delle terapie orali in oncologia
Il professor Marco Venturini, Direttore Oncologia Medica all’Ospedale Sacro Cuore don Calabria di Negrar (Verona) tiene a precisare: “ Negli ultimi 4 anni abbiamo assistito ad un’importante espansione delle terapie orali in oncologia. Nel 2002 in America si stimava rappresentassero lo 0,2 percento di tutte le terapie antitumorali in sviluppo; già nel 2006 la percentuale si era però più che raddoppiata, passando allo 0,7 percento. Certo, in termini assoluti, si tratta di numeri ancora molto bassi – l’FDA attualmente ha registrate 20 molecole di questo tipo – ma oggi dei 400 farmaci antineoplastici in sviluppo la quota rappresentata dagli orali è di circa un quarto”. L’intervento di Venturini si è soffermato su due aspetti in particolare: che cosa significa per il paziente avere a disposizione un antitumorale orale, e quali sono i pro e i contro per la struttura che lo assiste (specie per quanto riguarda la sua organizzazione, trattandosi di un approccio terapeutico anche concettualmente diverso da quello abituale).
“Per il paziente: in generale la preferenza per le terapie orali rispetto alla somministrazione per endovena è di 9 a 1. Le motivazioni si possono riassumere in due punti: prima di tutto la possibilità per il malato di curarsi a casa propria; secondo, la facilità di assunzione e l’assenza dei problemi connessi alla somministrazione venosa.
Per le strutture: purtroppo le nostre strutture non sono per nulla organizzate (anche perché una volta le terapie orali erano saltuarie). Il problema principale della terapia orale – e qui veniamo al tema di come dovrebbero organizzarsi i reparti di oncologia - è la compliance. Purtroppo accade, lo vediamo quotidianamente, che molti pazienti non prendono i farmaci secondo lo schema stabilito e concordato con il medico. E’ riportato che oltre il 25% dei pazienti o assume dosi ridotte del farmaco o non lo assume proprio. Oppure, aspetto altrettanto importante, molti continuano ad assumere il farmaco nonostante questo abbia effetti collaterali, come per esempio la diarrea, che il malato magari considera ineluttabili, ma che invece possono essere o diventare pericolosi. Un terzo aspetto è che vi sono una serie di interazione tra le terapie orali e altri farmaci o addirittura con i cibi. Prendiamo proprio lapatinib: può subire delle alterazioni se preso contemporaneamente agli antiacidi, o con il cortisone( farmaci di cui i pazienti oncologici fanno uso con una certa regolarità), oppure può vedere modificata la sua efficacia se somministrato insieme a succhi di frutta, per esempio a succo di pompelmo. Come deve comportarsi l’ospedale? A mio avviso, visto che i farmaci orali stanno diventando sempre più uno standard terapeutico, è necessario organizzare una struttura di supporto ad hoc come è stato fatto a suo tempo per le terapie endovenose. Allora vennero istituiti i day hospital o gli ambulatori dove il paziente veniva accolto e curato, oggi bisogna dedicare tempo e spazio per selezionare, educare e seguire il paziente, soprattutto nelle prime fasi”.
Da considerare, inoltre, che a molti pazienti non piace avere un rapporto con il medico solo via telefono, ma che desiderano parlargli, esporgli i propri dubbi, sentirsi incoraggiato. “ Se si vuole avere una compliance, e di conseguenza risposte adeguate alla terapia- suggerisce il professor Venturini- bisogna dedicare del tempo al paziente: parlargli, stare con lui quanto necessario, insegnargli come e quando deve prendere le compresse, perché è importante lo faccia a determinati orari o in determinate condizioni piuttosto che in altre. E ancora: quali sono i possibili effetti collaterali, di quali non si deve preoccupare e quali invece è fondamentale che segnali immediatamente al medico di riferimento; quali altri farmaci può prendere contemporaneamente alla terapia oncologica e quali sarebbe opportuno evitare; che cosa può o non può mangiare.
Al momento in Italia tutto ciò non esiste: credo che uno degli impegni che noi oncologi, con le società scientifiche, dovremo assumerci è proprio quello di alzare il livello culturale e organizzarci al più presto in questo modo. Solo così riusciremo a sfruttare appieno le potenzialità di queste nuove terapie”.
Il futuro delle terapie oncologiche, quindi, è nella somministrazione dei farmaci per via orale? “Le terapie orali (spesso in aggiunta alla chemioterapia) sono oltremodo preziose, ma puntiamo sempre più su terapie personalizzate, a seconda dei singoli casi e dei singoli pazienti”.
Efficacia di una piccola molecola
“Lapatinib – spiega Pierfranco Conte, direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia – è una piccola molecola ad azione intracellulare, somministrata per via orale. E’ un duplice inibitore della tirosin-chinasi, che si lega in modo specifico ai recettori ErbB1 (EGFR) ed ErbB2 (HER2). L’attivazione del recettore HER2 è infatti riconosciuta come un fattore chiave della proliferazione cellulare e della progressione del tumore. Per questo, bloccare il segnale inviato dal recettore ErbB2 è parte integrante della terapia del tumore al seno HER2+”.
E, inoltre, aiuta a proteggere dalle metastasi cerebrali, come sottolinea il professor Conte: ”In genere il tumore mammario tende a metastatizzare in organi ben definiti, come le ossa, i polmoni, il fegato o l’encefalo. In particolare la possibilità che questa forma si diffonda al cervello è estremamente elevata. Il 10-30 percento dei tumori mammari dà origine a metastasi cerebrali, e nel caso di tumori con recettori HER-2 positivi, quasi una donna su tre sviluppa metastasi al sistema nervoso centrale. A questo proposito lo studio registrativo ha evidenziato una frequenza significativamente inferiore di metastasi cerebrali nel gruppo trattato con l’associazione lapatinib capecitabina rispetto a capecitabina in monoterapia (2 percento vs. 6 percento). Questo è spiegato dalla particolare struttura chimica, che consente a lapatinib di passare la barriera ematoencefalica e di agire là dove gli altri farmaci non erano riusciti”.
Che cosa dicono i sondaggi
Un approccio, quello della “targeted therapy”, che piace molto agli oncologi e alle donne, secondo quanto riportano i due sondaggi elaborati da “Tomorrow SWG”, presentati all’incontro di Roma. Quello sottoposto agli oncologi, somministrato tramite il portale medico “eDott”, ha visto una risposta del 78 percento del campione (135 oncologi, il 10 percento degli iscritti) ritiene assolutamente innovative le terapie a bersaglio molecolare, anche se circa 4 su 10 sono convinti che ci siano ulteriori margini di miglioramento nella precisione dell’azione e, probabilmente, nell’efficacia: un incremento di 14 mesi nella sopravvivenza già adesso è comunque considerato un buon risultato. Indiscutibile il progresso nell’assunzione: il 66 percento giudica positivamente la terapia orale rispetto al chemioterapico in infusione, soprattutto per quanto riguarda la qualità della vita (60 percento), intesa come gestione a casa della malattia. Le criticità arrivano dai vincoli normativi e dalla sostenibilità economica.
Quanto al sistema attuale di rimborso delle terapie mirate da parte del Servizio sanitario nazionale le perplessità degli oncologi sono consistenti (30 percento lo ritiene poco o per nulla adeguato), tanto che tra le alternative possibili viene preferita da poco meno di uno specialista su due è il risk sharing, in compartecipazione con le case farmaceutiche, ma solo a fronte di dimostrate evidenze cliniche di successo. L’altra metà del campione si divide in un 38 percento che apprezzerebbe un rimborso selettivo solo su alcune terapie identificante preventivamente come utili, e un 15 percento che suggerisce un rimborso generalizzato per tutte le terapie ma solamente su indicazione dello specialista.
Il parere delle donne.
Sull’argomento tumore al seno e terapie targeted, Tomorrow SWG ha sentito anche l’opinione di 1000 donne dai 18 ai 64 anni. Lo scenario che se ne ricava è a luci ed ombre. Il primo dato è che, nonostante l’informazione e i progressi scientifici, il cancro alla mammella terrorizza ancora le donne, che però non fanno moltissimo per informarsi e per prevenire la malattia. Soltanto il 28 percento afferma di sentirsi informata. E solo una donna su due ha eseguito la mammografia a fini di prevenzione (per la prima volta oltre i 35 anni nel 75 percento dei casi). La cadenza d'effettuazione diviene poi regolare, ma con frequenza comunque ridotta: almeno una volta all'anno soltanto per poco più del 40 percento”.
Di conseguenza anche la conoscenza delle terapie targeted è molto limitata. “Il livello informativo auto percepito circa le terapie attuali è assai modesto: si dicono del tutto o molto informate soltanto 13 donne su 100. Una volta informate, le valutazioni nel merito dell'efficacia, della tollerabilità e della possibilità di assunzione orale appaiono comunque ampiamente positive. Sui costi non hanno un’idea precisa. Il campione li prefigura elevati ma quattro donne su dieci non sono in grado di esprimere alcuna opinione. Nonostante ciò, l'auspicio di sei donne su dieci, è che le terapie più innovative siano comunque impiegate anche per le pazienti in fase terminale e senza speranza di guarigione, e che sia lo Stato a provvedere al rimborso integrale del loro costo.
“Pay for performance”
Tre mesi di tempo per verificare l’effettiva efficacia del farmaco. Se la progressione del tumore si blocca, la paziente prosegue la terapia e lo Stato sostiene il costo delle compresse. In caso contrario, il ciclo terapeutico sarà a carico dell’azienda produttrice, ossia GlaxoSmithKline. Gli anglosassoni la chiamano pay for performance (“pago il rendimento”), una modalità non nuova ma sicuramente tra le prime in oncologia e per una patologia così diffusa come il cancro della mammella. Una tutela per la comunità, visti i costi elevati dei farmaci “mirati”, che piace anche agli oncologi, chiamati a fare i conti con i limiti di budget a disposizione.
Lo studio registrativo ha arruolato 399 donne con tumore mammario metastatico in progressione, la maggior parte fortemente trattate in precedenza con tutti i presidi a disposizione, compreso trastuzumab, l’unico farmaco specifico, almeno finora, per questo tipo di tumore. In combinazione con capecitabina, un chemioterapico orale, lapatinib ha dimostrato un aumento significativo del tempo medio alla progressione( il tempo in cui la malattia rimane sotto controllo senza progredire): si è passati dai 4,3 mesi della terapia con il solo chemioterapico ai 6,2 mesi della combinazione. Nelle pazienti invece arrivate allo studio dopo aver subito un minor numero di trattamenti in precedenza, l’aumento del time to progression passa dalle 19,7 settimane con capecitabina, alle 49,4 con la combinazione: quasi otto mesi in più. L’associazione, rispetto al braccio di controllo, ha determinato inoltre una riduzione del 43 percento del rischio di progressione di malattia.
Terapie orali: vantaggi e svantaggi
Vantaggi per i pazienti:
Meno tempo in ospedale
Meno stress
Mantenimento dell’attività giornaliera
Nessuna necessità di accesso venoso
Maggiore autonomia
Svantaggi per i pazienti:
Rischio di sovra o sottodosaggio
Rischio di ridotta compliance e effi cacia
Rischio di ritardato trattamento delle eventuali tossicità
Senso di insicurezza (minori visite)
Maggior responsabilità personale
Vantaggi per gli infermieri:
Facilità di somministrazione
Nessuna necessità di infusioni venose
Nessuna necessità di preparazione dei farmaci
Svantaggi per gli infermieri:
Maggiori contatti telefonici
Accessi non pianificati legati al senso di insicurezza
Vantaggi per la struttura:
Ridotti costi di preparazione
Ridotti costi di somministrazione
Svantaggi per la struttura:
Maggiori costi dei farmaci
Her-2
Sui circa 35-40.000 nuovi casi di tumore alla mammella, dai 7.000 ai 10.000 (circa il 25 percento) hanno caratteristiche di elevata aggressività. La scienza ha dimostrato che le cellule tumorali in questi casi presentano sulla loro superficie un elevato numero di recettori HER-2. La presenza di questi recettori è legata all’amplificazione di un oncogene, cioè di un gene predisponente allo sviluppo di questa malattia. Il recettore Human Epidermal Growth Factor 2 (HER2) è presente sulla membrana cellulare ed è coinvolto nella trasmissione dei segnali di crescita cellulare mediante l’interazione con altri recettori e con fattori di crescita. Normalmente le cellule epiteliali della mammella possiedono una quantità di recettori HER-2 compresa tra 20.000 e 50.000. Per ragioni ancora sconosciute può capitare che il gene per l’HER-2 venga amplificato (cioè la sua sequenza sia ripetuta più volte nel DNA delle cellule tumorali) e quindi cresca di conseguenza il numero dei recettori (in termini scientifici si parla di sovraespressione); l’effetto finale è quello di accelerare i processi di proliferazione e di formazione di metastasi. Esiste un test specifico, in grado di identificare la sovraespressione dell’HER-2, che consente quindi di diagnosticare precocemente i tumori HER-2 positivi. Secondo le linee-guida elaborate dall’ASCO, la positività dell’HER-2 va valutata su tutti i tumori mammari, sia al momento della diagnosi sia quando si verifica una recidiva.
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