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Ricercatori, case farmaceutiche e istituzioni possono cooperare?
Cristina Mazzantini, N. 8/9 agosto/settembre 2009
Aprire un canale di comunicazione diretto tra le case farmaceutiche e i ricercatori di oncologia per sfruttare al meglio molecole che spesso vengono ''abbandonate'' per motivi di marketing. Questo è il tema affrontato a Napoli, il 27 aprile scorso, nell'aula Romolo Cerra dell'Istituto Fondazione Pascale durante il convegno su ''Il ruolo del farmaco in oncologia''. All'incontro scientifico, di grande interesse pubblico, sono intervenuti l'assessore alla Sanità della Campania Mario Santangelo; il direttore scientifico dell'Istituto Pascale, il professor Aldo Vecchione; il professor Paolo Ascierto, direttore UOC Oncologia medica del Pascale; il senatore Cesare Cursi; il senatore Raffaele Calabrò; il presidente dell'AIFA, Guido Rasi, e tanti altri. Ancora una volta, soprattutto in un momento come questo di crisi globale, si è sentita l'esigenza di trovare un punto d'incontro fra i tre referenti principali per garantire a qualunque malato (nel caso specifico, oncologico) di ricevere la migliore assistenza e cura possibile. Medici, industriali e istituzioni si sono confrontati per poter trovare una soluzione che tenga conto delle diverse esigenze dei singoli partecipanti. In che modo? I medici puntano ad avere a disposizione sempre più farmaci per garantire le migliori terapie ai propri malati (nel caso specifico, oncologici), la grande industria farmaceutica di poter assicurarsi il giusto profitto e le istituzioni di ridurre i costi (per rientrare in un bilancio sempre più risicato). Ma è utopia o è un traguardo possibile? «Con il nostro incontro abbiamo cercato di dare il maggior numero di risposte e di trovare delle giuste soluzioni che possano soddisfare la richiesta di tutti i partecipanti», ha spiegato il professor Ascierto, presidente del convegno. «Spesso i ricercatori di oncologia e le grandi compagnie farmaceutiche partono da punti di vista diversi: le industrie devono necessariamente seguire logiche di marketing che non sempre si sposano con la migliore ricerca. Ci sono state, per esempio, ricerche su molecole interessanti, fatte negli ultimi anni, che hanno dato risultati negativi ai primi studi e poi abbandonate».
Insomma si può citare un luogo comune assai calzante quanto vero: "Troppo spesso il marketing ha fretta mentre la ricerca richiede pazienza"? A tal proposito il professor Ascierto ha precisato: «C'è ad esempio la Cpg, una molecola sviluppata dalla Pfizer, che ha dato esiti negativi negli studi e ora è in stand by, ma a noi ricercatori napoletani potrebbe risultare molto utile studiarla per il melanoma». E ancora. Il nostro oncologo medico nella sua relazione ha riconosciuto la necessità dell'intervento dell'AIFA, perché l'Ente governativo ha un ruolo principale nell'interfacciarsi con le compagnie, e quindi può intervenire destinando un budget anche ai ricercatori italiani per portare avanti gli studi.
A Napoli i partecipanti hanno concordato sul fatto che negli ultimi anni la ricerca oncologica abbia portato all'impiego di nuovi farmaci antitumorali, suscitando un cauto ottimismo. Tuttavia da più parti è stato sottolineato come ci sia ancora molto da fare perché il sistema di ricerca e sviluppo dei nuovi farmaci sia ottimizzata. È stato citato l'esempio degli Stati Uniti dove gli investimenti in ricerca e sviluppo sono aumentati, negli ultimi decenni, in maniera esponenziale. Solo nel 2007, infatti, sono stati investiti circa 45.000 milioni di dollari! Purtroppo a fronte di questi costi, le molecole nuove immesse sul mercato sono molto poche. Ciò comporta un innalzamento del costo sia dei farmaci registrati che degli studi clinici per sperimentare i nuovi farmaci, a causa dell'ammortamento dovuto al fallimento di prodotti messi in sperimentazione.
«Dunque è sempre più sentita la necessità di coinvolgere la ricerca clinica dell'Accademia (le società scientifiche e, nel caso specifico, quelle oncologiche, ndr) nello sviluppo di nuove strategie terapeutiche. Il prevalere delle logiche del marketing sull'impiego razionale e ottimale del farmaco a volte si traduce in un fallimento terapeutico, impedendo ai ricercatori un più appropriato sviluppo nell'ambito oncologico», ha puntualizzato ancora il professor Ascieto. «È questo l'esempio di alcune molecole interessanti sviluppate sino a un certo punto e poi messe in stand by dalle stesse aziende, dopo i risultati negativi dei trials. Parlo del CpG, del tremelimumab, dello stesso Sorafenib nel melanoma (la cui attività è invece riconosciuta nei tumori del rene e nell'epatocarcinoma), tutte molecole che potrebbero avere ulteriore sviluppi». Quindi il nostro oncologo sta pensando a un possibile utilizzo di questi farmaci nel melanoma. Tumore questo che, se non preso in tempo ovvero nella fase iniziale dove è sufficiente la chirurgia (con l'asportazione totale della massa tumorale), può in fase avanzata o metastatizzante essere altamente mortale perché purtroppo la disponibilità di farmaci per trattarlo è ancora molto scarsa.
Perciò «dall'altra parte è necessario che l'Accademia ritrovi quel suo ruolo di generatore di idee che consenta di mettere in atto sperimentazioni più valide scientificamente. Per esempio, diversi anni fa, nel 2002/2003, abbiamo effettuato uno studio di fase I (First in man) nel melanoma con un farmaco interessante: ADI-PEG20. Purtroppo la mancanza di fondi della Company non ha permesso ulteriori fasi del farmaco nel melanoma e nell'epatocarcinoma, e nessuna multinazionale (avendo le sue molecole) è risultata interessata a questo progetto», ha puntualizzato sempre il nostro oncologo medico. Lo slogan dei ricercatori potrebbe essere: "Lasciate che le idee vengano a noi e venitele a vedere". In questo modo, forse, gli obiettivi della ricerca e le esigenze del marketing potrebbero trovare sinergie per il bene della salute pubblica. Queste le conclusioni del professor Ascierto che parlava a nome dei ricercatori medici. Fin qui le posizioni degli oncologi. A questo punto è da chiedersi qual è il ruolo dell'AIFA nella ricerca clinica in oncologia.
Ruolo dell'AIFA nella ricerca clinica
«Le procedure che si seguono per condurre le sperimentazioni cliniche rispondono ormai a criteri internazionali e condivisi. In Italia, per esempio, si è recentemente recepita la direttiva 2001/20/CE (con il D. Lvo 211/2003) che fissa regole e procedure per lo svolgimento di tali ricerche in accordo alle norma di Buona Pratica Clinica», ha dichiarato il dottor Carlo Tonino dell'AIFA, presente all'incontro di Napoli. «Queste regole sono stabilite proprio per innalzare gli standard qualitativi delle sperimentazioni a tutela della garanzia dei cittadini. Tutta la normativa relativa all'esecuzione della sperimentazione Clinica è disponibile sul sito http://oss-sper-clin.agenziafarmaco.it/normativa)». Va ricordato che le sperimentazioni cliniche rappresentano l'unico strumento per introdurre i nuovi farmaci sul mercato con un'adeguata dimostrazione di efficacia e conoscenza della potenziale tossicità. «Tutti i risultati derivati dall'attività di ricerca sono riportati nel dossier inviato alle Autorità regolatorie per le valutazioni di competenza. I dati dell'Osservatorio Nazionale sulla Sperimentazione Clinica ci dicono che l'Italia è sempre più coinvolta in ricerche cliniche internazionali che hanno lo scopo di testare nuovi farmaci e nuove indicazioni», ha proseguito il membro dell'AIFA. «Sono ormai oltre 700 le sperimentazioni che si svolgono ogni anno nei centri clinici, e l'oncologia è la specialità medica in cui si registra il maggior numero di studi clinici».
Al via studio cellule del sangue per diagnosi migliori
Trovare un metodo che permetta di derminare in anticipo, con un semplice prelievo del sangue, il rischio di sviluppare un tumore metastatizzante, il più grave e potenzialmente mortale. È questo l'ambizioso l'obiettivo di un progetto pilota avviato dalla Silicon Biosystems, un'azienda di microsistemi per la diagnostica con l'università tedesca di Resenburg, un network clinico italiano, e la valida partecipazione della Takeda Italia Farmaceutici. Lo studio, che sfrutterà una tecnologia innovativa, ovvero un microchip di silicio per l'isolamento di cellule rare, si concentrerà sull'analisi delle cellule tumorali nel sangue in pazienti affetti da cancro alla prostata metastatico.
In questa patologia, infatti, è spesso difficile scegliere la terapia migliore perché, come spiegano i ricercatori, da un lato vi è il rischio di applicare trattamenti eccessivi e non necessari, dall'altro, quello di un trattamento inadeguato delle malattie aggressive. Pertanto, affermano i responsabili del progetto, «la valutazione genetica delle cellule tumorali nel circolo sanguigno potrebbe consentire di individuare i tumori destinati a diventare metastatici», permettendo, così, ai medici oncologi di scegliere il trattamento migliore sulla base del tipo di tumore.
I meccanismi che portano alla formazione delle metastasi cerebrali
Alcuni ricercatori dell'Howard Hughes Medical Institute e del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center hanno identificato tre geni che cooperano nel diffondere al cervello il tumore alla mammella. Il loro studio, pubblicato su Nature, indica che le cellule del tumore alla mammella per invadere il cervello usano alcune strategie simili a quelle impiegate per metastatizzare il polmone.
«Questa ricerca, prima nel suo genere, apre una finestra sui meccanismi che portano alla metastatizzazione del cervello», spiega Joan Massagué dell'Howard Hughes Medical Institute. «Le cellule del tumore alla mammella impiegano anni per metastatizzare, diversamente dal tumore al polmone. Quando queste cellule si diffondono in organi distanti, infatti, i nuovi tumori possono non rivelarsi per molti anni, anche decenni, poiché, nel momento in cui vengono rilasciate dal tumore originario, esse non sono ancora altamente cancerose».
Successivamente le cellule che hanno generato il tumore nel cervello dei topi sono state isolate e analizzate. Sono stati ritrovati 243 geni la cui espressione appariva anormale, di cui 17 effettivamente associati alle metastasi cerebrali. «Le cellule che mostrano l'attivazione di questi geni sono maggiormente pronte ad invadere il cervello del topo», ha spiegato Massagué. «Abbiamo anche osservato che le pazienti, in cui nel tumore primario vi era l'attivazione di questi geni, avevano un tasso più elevato di metastasi cerebrali».
Un nuovo farmaco antitumorale
L'FDA ha completato positivamente l'esame della domanda di Nerviano Medical Sciences (NMS) per testare, per la prima volta nell‚uomo, un nuovo farmaco antitumorale. Si tratta di una molecola che inibisce PLK-1, una proteina chiave per la proliferazione cellulare. Tale prodotto blocca la divisione delle cellule tumorali provocandone la morte. Il nuovo inibitore della proteina PKL-1 è un farmaco mirato che ha dimostrato, in fase preclinica, di essere attivo sia nei tumori solidi che in quelli ematologici.
L'approvazione da parte dell‚FDA apre la strada alla sperimentazione di questo nuovo farmaco in studi di fase I in pazienti oncologici. La molecola rappresenta il primo inibitore di PLK-1 selettivo disponibile per uso orale.
«Si tratta della seconda approvazione FDA per l'avvio di fasi cliniche nei primi cinque mesi dell'anno di prodotti NMS: infatti, in gennaio, l'FDA aveva approvato l'entrata in clinica per un'altra molecola della pipeline NMS, l'inibitore di cdc7, per il quale, in aprile, sono già iniziati i trattamenti sui primi pazienti», spiega il dottor Francesco Colotta, direttore Ricerca e Sviluppo di NMS. «Ora anche per questo nuovo farmaco inizierà il reclutamento dei pazienti in centri clinici negli Stati Uniti. La rapidità con cui l'FDA ha approvato l'inizio degli studi clinici con l'inibitore di PLK-1 rappresenta un ulteriore riconoscimento della qualità e dell'innovazione espressa dalla ricerca italiana e in particolare del centro di Nerviano».
Dalle nanobiotecnologie nano-sonde in grado di localizzare i tumori
Un gruppo di ricercatori della Purdue University (USA) ha sviluppato delle nano-sonde che possono aiutare a definire con precisione la localizzazione di piccole masse tumorali e che, quindi, potrebbero permetterne il bersagliamento in modo mirato. «Le nano-sonde che abbiamo realizzato sono in grado di attaccarsi alle cellule tumorali e, un domani, potrebbero trasportare farmaci direttamente al bersaglio», ha commentato il professor Joseph Irudayaraj, a capo del gruppo di ricerca.
Le nano-sonde sviluppate sfruttano la presenza contemporanea di nanoparticelle magnetiche di oro e di ossido di ferro, che le ha rese semplici da tracciare con differenti strumenti di imaging durante il loro cammino verso le cellule tumorali. Infatti le particelle magnetiche di ossido di ferro possono essere tracciate attraverso la risonanza magnetica, mentre le particelle di oro, essendo luminescenti, possono essere tracciate mediante microscopio.
Le sonde, a cui è stato legato l'anticorpo Herceptin, già impiegato nel trattamento del tumore metastatico della mammella, hanno convogliato il farmaco all'interno di cellule tumorali di mammella, esprimenti la proteina Her-2, in coltura. I ricercatori hanno inoltre dimostrato che le nano-sonde, illuminate da infrarossi, possono essere impiegate come agenti antitumorali fototermici. È ora allo studio la coniugazione di numerosi agenti antitumorali con questa sonda così promettente.
Ricostruzione unghie: attenzione alle lampade UVA
Attenzione alle lampade UVA che fissano i gel nella ricostruzione delle unghie: potrebbero causare un tumore a cellule squamose. L'allarme è scattato in Inghilterra dopo i casi di due donne che hanno sviluppato un tumore della mano, dopo essersi sottoposte a più ricostruzioni delle unghie nel corso dell'anno.
«Purtroppo è ciò che si temeva con la grande diffusione di questa moda», dichiara il professor Patrizio Mulas, presidente dell'Associazione Dermatologi Ospedalieri Italiani (ADOI). «La causa è legata ai raggi UVA delle macchinette‚ dove si infilano le mani, necessarie a fissare il gel e le relative decorazioni. Il problema è l'abuso di questa metodica che, come avviene per le normali lampade abbronzanti, comporta il rischio di sviluppare un tumore della pelle. Senza dimenticare i prodotti chimici, normalmente utilizzati per rimuovere i prodotti dalle unghie, che posso essere ulteriori fattori a favorire la comparsa di neoformazioni tumorali».
I casi inglesi riguardano una donna che ha sviluppato il cancro alla pelle della mano destra, dopo essersi sottoposta alla ricostruzione delle unghie per ben otto volte l'anno, e un'altra che ha usato lampade per le unghie due volte al mese per 15 anni. «Per chi non riesce a evitare di ricorrere alla costruzione delle unghie», conclude Mulas, «il consiglio è utilizzare una crema ad alta protezione su tutta la superficie delle mani».
Nuovo trattamento per il tumore colonrettale metastatico
Il gruppo di ricerca guidato dal professor Eric Van Cutsem, docente di Medicina e Oncologia Digestiva dell'University Hospital Gasthuisberg di Lovanio in Belgio, ha condotto una ricerca per determinare l'efficacia dell'anticorpo monoclonale Cetuximab in associazione alla chemioterapia per il trattamento del tumore colonrettale metastatico. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine, dimostra che la molecola, in associazione con la chemioterapia standard a base di irinotecan, è molto più efficace rispetto alla sola chemioterapia nel trattamento dei pazienti affetti da tumore metastatico del colon retto.
La ricerca ha interessato 599 pazienti trattati con cetuximab e chemioterapia. Il gruppo di controllo ha previsto altrettanti pazienti trattati, invece, con la sola chemioterapia. «I pazienti con tumore KRAS non mutato (wild-type) che hanno ricevuto Cetuximab hanno beneficiato di un significativo incremento della percentuale di risposta fino al 59 per cento e di una riduzione del 32 per cento nel rischio di progressione della malattia, se confrontati con il gruppo di pazienti che ha ricevuto il solo FOLFIRI. I risultati dello studio indicano che Cetuximab è da considerarsi come nuova importante opzione nell'ambito della scelta terapeutica», ha commentato il professor Eric Van Cutsem.
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