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Anno 2000: il cancro nella storia

Dario Vascellaro, N. 1/2 gennaio febbraio 2000

In questo secolo che sta per finire, l'umanità si è fatta un'immagine tragica del cancro, testimoniata anche dal rifiuto di nominarlo e dal diffondersi di perifrasi come "male incurabile" o "male del secolo", nonostante i recenti progressi della chirurgia e delle terapie chimiche: nei paesi sviluppati, infatti, già negli anni Ottanta era possibile la guarigione di un malato su tre e in tempi più recenti l'ingegneria genetica offre nuove speranze ai malati di tumore, come dimostrano i risultati del vaccino contro il cancro alla prostata messo a punto da un gruppo di ricercatori della John Hopkins University di Baltimora.
Tra i fattori che spiegano la forte incidenza del cancro come causa di mortalità nel XX secolo vi è certamente anche il regresso di altre malattie prima dominanti, come la tubercolosi o le malattie infettive epidemiche. Nei paesi del mondo occidentale, industrialmente e tecnologicamente coinvolti nella rivoluzione del benessere, è avvenuto il passaggio dalle malattie epidemico-contagiose alle malattie epidemico-degenerative, come il cancro nelle sue molte forme. La parola "cancro" assume tutta la risonanza psicosociologica contenuta nella sua etimologia: "una malattia che afferra come un granchio" il singolo individuo e l'intera società.
Nonostante che il cancro sia una malattia tipica del XX secolo e contrariamente a quanto molti ritengono, il cancro è una malattia antichissima e l'esistenza dei tumori è conosciuta sin da tempi remotissimi.
La paleopatologia, la scienza delle malattie la cui esistenza può essere dimostrata grazie ai resti umani e animali dei tempi antichi, fondata dal medico-archeologo francese Armand Ruffer e nata dall'incontro tra l'archeologia e l'anatomia patologica, grazie a sempre più perfezionate metodiche e tecniche (microscopia ottica ed elettronica, radiologia, biochimica, immunologia, immunoistochimica, biologia molecolare), ha potuto accertare la presenza di tumori scheletrici nei dinosauri dell'era mesozoica, di tumori maligni in mummie egiziane e pre-colombiane, risalenti, rispettivamente, a circa 5000 e 2400 anni fa, in residui di tombe etrusche. Tra le malattie certamente note agli Incas figurava l'acaoana-aypacha ("cancro delle Ande"), una leishmaniasi ulcerosa e necrotizzante del viso. Oltre alle infezioni e alle infestazioni, la moderna paleopatologia ha accertato presso gli antichi Pellerossa l'esistenza di tumori delle ossa.
La larga storiografia medica assiro-babilonese ed egiziana documenta non solo l'esistenza della malattia, ma altresì gli elementi diagnostici, i provvedimenti di cura (cauterizzazione) e la prognosi.
Gli antichi sapevano che il tumore, inteso come neoformazione di tessuto, rappresenta un'entità nosologica a sé stante, quindi nettamente differenziabile dalla tumefazione di origine infiammatoria caratterizzata da ipertermia e arrossamento della cute sovrastante, e che il tumore è caratterizzato dall'accrescimento infiltrativo per cui gli elementi neoplastici si insinuano con propaggini nei tessuti sani, quali tentacoli di polipi o appendici di granchi.
Tra le prime prime notizie relative all'oncologia, come già accennato, vi sono quelle provenienti dall'Egitto e contenute nel papiro di Ebers e in quello di Smith (1500 a.C.).
Verso la fine dell'Ottocento, lo studioso tedesco George Ebers e l'inglese Edwin Smith vennero fortunosamente in possesso di due papiri egizi, che all'analisi degli esperti si rivelarono utilissimi per documentare quella ch'era stata la medicina nell'antico Egitto.
In particolare, il "papiro di Ebers" ha una lunghezza di 20 metri e una larghezza di 20 centimetri, e consta di 108 pagine suddivise in 877 paragrafi; è datato alla XVIII Dinastia, cioè a circa il 1400 a.C. Riguarda principalmente la medicina, la ginecologia e l'igiene.
Il "papiro di Smith" è invece quasi interamente dedicato alla chirurgia (in particolare, parla dell'asportazione dei tumori esterni): è lungo poco più di quattro metri e mezzo, largo 33 centimetri, e risale pressoché allo stesso periodo di quello di Ebers.
Essendo ancora sconosciute le cause delle malattie, e in particolare dei tumori, queste venivano considerate risultato di misteriose influenze esterne che sarebbero penetrate nel corpo attraverso gli orifizi naturali corrompendo gli "umori". Compito del medico, secondo gli antichi egizi, era quindi quello di evacuare questi umori "corrotti", facendoli uscire attraverso le normali vie emuntorie.
Dal Susruta Yajurveda (di datazione incerta) sappiamo che la medicina dell'antica India, a differenza di quella egiziana, era orientata a trattare i tumori con mezzi chirurgici piuttosto che farmacologici, riservando l'uso dei farmaci alla cura delle recidive.
Ippocrate, il grande medico greco (Cos 460? - 370 a.C.) che riteneva il cancro derivato da un accumulo di bile nera nei tessuti, divise i tumori in cancri duri o skirros, cancri ulcerati o karkinos e cancri nascosti. Mentre riteneva opportuna l'asportazione dei tumori benigni, consigliava di non intervenire sui tumori occulti poiché la cura chirurgica non aveva, in tal caso, altro esito che quello di accelerare la morte del paziente.
A Roma
I romani avevano una buona conoscenza del cancro: infatti, lo hanno descritto con precisione in parecchi casi. Tuttavia, bisogna fare attenzione, leggendo i testi latini, in quanto il termine cancer designa indifferentemente sia il cancro che l'ulcera. Il termine latino tumor, invece, indica ogni sorta di aumento di volume di una parte del corpo. L'interpretazione risulta meno ambigua quando viene impiegato il termine carcinoma e anche, talvolta, scirrhos, scirrhosis e scirrhomata. Plinio impiega anche il nome cacoethes per designare un tumore maligno, mentre Celso definisce thymium un tumore inguaribile e Plinio steatoma una forma tumorale mal definita.
Aulo Cornelio Celso, l'erudito latino vissuto ai tempi di Tiberio (I sec. d.C.) studiò ampiamente i tumori esaminandone l'evoluzione e sostenendo l'opportunità di un trattamento chirurgico precoce. Inoltre per primo affermò che i tumori benigni sono delimitati da una capsula. Di seguito riportiamo la sua definizione di cancro.
"Il carcinoma si manifesta di preferenza nelle parti superiori del corpo, al viso, al naso, all'orecchio, alle labbra, ai seni nella donna... Dolori lancinanti sorgono intorno alla zona ammalata che è immobile, irregolarmente tumefatta, talora anche turgida. Le vene vicine sono turgide. Al tatto, la parte si presenta talora dolorosa, talora insensibile e talvolta, anche se non ulcerata, più dura o più molle rispetto allo stato normale. Altre volte si reperisce un'ulcera con asperità; il suo colore rosso è simile a quello delle lentiggini.
Questa affezione è fra le più gravi. Inizial-mente si forma una tumefazione maligna, quindi un carcinoma ulcerato, poi un'ulcera e infine un thymium. Eccetto il cacoethes, nessuna di queste affezioni può essere guarita.
Certi medici usano la pratica della cauterizzazione, altri cauterizzano con il ferro rovente; alcuni praticano l'ablazione col bisturi, ma nessun trattamento ha mai dato esito positivo. L'ablazione non evita la recidiva, sempre più grave, e che finisce con il portare a morte il paziente."
Galeno
Galeno, medico greco (Pergamo 130 circa d.C.- Roma o Pergamo 200 circa) che operò a Roma, chiama i cancri "tumori contro natura". "Essi insorgono in qualunque parte del corpo e soprattutto nei seni delle donne dopo la menopausa". Egli li chiama anche scirrhos. "Lo scirrhos è un tumore contro natura, insensibile e duro. Lo scirro insensibile è incurabile. Lo scirro poco sensibile non è incurabile anche se difficilmente guarisce. Origina da un umore spesso e vischioso che aderisce alle parti scirrose in modo da non potere essere facilmente sciolto. Talvolta, anche all'inizio, esso si forma poco a poco e si accresce."
Galeno classificò le tumefazioni distinguendole in: 1. secundum naturam, che si producono fisiologicamente (come l'ipertrofia delle ghiandole mammarie alla pubertà, dell'utero in gravidanza); 2. supra naturam, espressioni di processi fisiologici riparativi (ad es. il callo osseo nelle fratture); 3. praeter naturam, comprendenti i neoplasmi. Tale classificazione fu ritenuta valida per molto tempo, tanto che era accettata ancora durante il Rinascimento. Anche per Galeno la formazione del cancro è dovuta a un accumulo di bile nera che ispessendosi lo rende insensibile anche ai medicamenti più attivi. Egli considerava il cancro una malattia costituzionale e basava il trattamento terapeutico sulla somministrazione di purganti e sulla proibizione degli alimenti capaci di stimolare la formazione di bile nera; per arrestare le emorragie verificantisi durante gli interventi di ablazione dei tumori Galeno consigliava la cauterizzazione dei vasi ritenendo che l'allacciatura favorisse l'insorgenza di recidive.
Gli autori latini non parlano mai di cancro degli organi interni, salvo che per quello dell'utero e del cancro dello stomaco che chiamavano morbus cardiacus.
La letteratura latina non medica fa cenno a parecchi casi di cancro che hanno colpito personaggi più o meno celebri. Ad esempio, Plinio il Giovane parla di Silio Italico che soffriva di un tumore incurabile per insofferenza del quale affrontò la morte con incrollabile fermezza. Sempre Plinio il Giovane, in una lettera a Gellio parla anche di un malato che soffriva di indignissima tormenta, non mangiava più ed era successivamente morto. Marziale racconta di Festio che, affetto da un cancro alla gola, si suicidò.
Dal Medioevo al Rinascimento
Il periodo medievale, quello arabo e il primo Rinascimento rappresentano momenti di scarso rilievo nella storia dell'oncologia.
Nel 1500, Paracelso, medico e filosofo tedesco (Einsiedeln, presso Zurigo, 1493 - Salisburgo 1541), contestando la validità delle classiche teorie umorali, sostenne l'origine chimica dei tumori; Falloppio, anatomista e chirurgo italiano (Modena 1523 - Padova 1562), distinse lo scirro (tumore duro) dal cancro (scirro molle, facilmente ulcerabile) e, oltre a classificare i tumori in benigni e maligni, ne studiò profondamente la sintomatologia e indicò nuove terapie, in primo luogo il salasso. Paré, chirurgo francese (Bourg-Hersent, presso Laval, 1517 - Parigi 1590), imputò a disfunzioni epatico-spleniche l'insorgenza dei tumori, che trattava, oltre che con mezzi chirurgici, anche con abbondanti salassi. Constatato il precoce interessamento dei linfonodi ascellari nel cancro della mammella, riteneva l'intervento valido e opportuno solo quando la neoplasia era ai primissimi stadi. Lorenz Heister (1683-1758), autore delle Osservazioni sulla medicina, chirurgia e anatomia, opera tra le più famose del tempo, tradotta in tutte le lingue, identificò in certi umori acidi la principale causa dei tumori e per primo affacciò l'ipotesi della contagiosità del cancro.
Nuove teorie patogenetiche dominarono il campo dell'oncologia nel XVIII sec. Accanto a ipotesi piuttosto stravaganti, quali quelle che chiamavano in causa una sorta di linfa convertita in fluido acre e distruttore o un gas simile all'acido cloridrico, si affacciò forse per la prima volta, per opera di Morgagni, anatomista e patologo italiano (Forlì 1682 - Padova 1771), l'ipotesi che il trauma potesse costituire un importante fattore nella genesi del cancro. Valsalva, medico e anatomista italiano (Imola, Bologna, 1666 - Bologna 1723), introdusse un ingegnoso metodo che consentiva di realizzare interventi chirurgici meno vulnerabili e anemizzanti e che consisteva nel fasciare strettamente la base del tumore in modo da privarlo di gran parte dell'apporto ematico, quindi di materiali nutritizi, provocandone una riduzione volumetrica, dopo di che veniva effettuato l'intervento. In Francia, Bichat chiarì che i tumori sono costituiti da un parenchima e da uno stroma, il primo rappresentante la parte specifica del tumore, il secondo l'armatura vascoloconnettivale. Laennec, confutando la validità della maggior parte delle nozioni sino allora acquisite nel campo dell'oncologia, indicò nell'autonomia il carattere peculiare dei tumori i quali si sottraggono, in un certo senso, anche alle leggi del metabolismo poiché si accrescono in contrasto con l'economia dell'organismo e chiarì che la malignità dei tumori era strettamente collegata all'atipia degli elementi cellulari di cui sono composti. Broussais formulò la teoria irritativa che troverà entusiasti sostenitori in Germania e in Inghilterra.
Nel 1775, un grande medico inglese, Percival Pott, osservò acutamente che gli spazzacamini inglesi andavano incontro con molta frequenza a carcinomi della pelle e al cancro scrotale e fu in grado di identificare la causa di tali tumori nel deposito, a livello delle pieghe cutanee, di residui di carbone. Era il primo esempio di fattore causale della comparsa di un tumore maligno osservato nell'ambiente umano, e occorse molto tempo perché ne fossero descritti altri. Fu infatti oltre un secolo dopo che vennero individuati dei tumori vescicali tra i lavoratori di industrie di coloranti, dovuti (come fu successivamente confermato) al contatto con ammine aromatiche. La scoperta di Pott aprì una nuova fase nella storia del cancro: esso era sì una malattia vecchia, nota fin dall'antichità, ma era anche una malattia nuova, in quanto resa frequente dalle mutate condizioni di vita e di lavoro. In una società, quella inglese, sconvolta dalla prima Rivoluzione industriale, l'occhio clinico di Pott si fissava sui contraccolpi morbosi del nascente industrialismo.
L'Ottocento
Nella prima metà dell'Ottocento, in quello che fu definito il secolo della sanità, durante il quale i medici ingaggiarono battaglie contro malattie vecchie e nuove, la nuova teoria cellulare e gli studi più precisi sulla patologia cellulare segnarono l'inizio dell'oncologia mo-derna, soprattutto a opera di M. J. Schleiden, T. Schwann e R. Virchow.
Virchow introdusse la nozione di eterotipia, intesa come variazione evolutiva di elementi cellulari da cui, in condizioni normali, prendono origine quelli dei diversi tessuti; sostenne che tutti i tessuti neoplastici, compresi quelli epiteliali, derivano da germi embrionali connettivali; chiarì che la diffusione metastatica del tumore avviene per via linfatica e pose come causa prima dei processi neoplastici l'irritazione cronica. Virchow inoltre identificò e studiò l'epitelioma a cellule piatte della cute e delle mucose e descrisse il sarcoma distinguendone diversi tipi. La concezione di Virchow che tutti i tumori si sviluppassero dal tessuto connettivale trovò numerosi severi oppositori tra cui W. Waldeyer e R. Renack i quali sostennero e dimostrarono che alla base di ogni tumore epiteliale si trovano esclusivamente elementi epiteliali. Tale fu anche il pensiero di Karl Thiersch (1822-1895) sostenitore della teoria fisiologica della patogenesi del cancro. In quegli anni la Scuola chirurgica romana ebbe un maestro insigne: Francesco Durante, che distinse i tumori in epiteliomi, connettivomi, neoplasmi speciali comprendenti il neurinoma, il mioma, il teratoma e identificò i precursori dei tumori in germi embrionali aberranti rimasti inclusi nei vari tessuti.
Il ventesimo secolo
Nel XX secolo l'oncologia si è arricchita di nuove conoscenze a cui la biochimica e l'affinamento dei metodi di ricerca istologica hanno portato notevoli contributi. Numerose sono state le discussioni sull'eziologia dei tumori: ricercatori di ogni scuola hanno affrontato i problemi dello sviluppo delle cellule neoplastiche, dei loro rapporti con le altre cellule dell'organismo, del loro metabolismo. All'inizio del secolo gli studi condotti su animali di laboratorio hanno consentito di provocare artificialmente tumori maligni (sotto molti aspetti simili a quelli umani) in animali delle più varie specie, introducendo nel loro corpo o applicando sulla loro pelle le sostanze chimiche più varie.
Da allora gli studi sui fattori cancerogeni, cioè in grado di provocare la comparsa di un tumore maligno, hanno fatto grandi passi e sono oggi descritte migliaia di sostanze chimiche che hanno tale capacità in condizioni sperimentali particolari. I fattori cancerogeni diffusi nell'ambiente possono essere di natura chimica, fisica (radiazioni ionizzanti) o virale.
L'oncologia sperimentale ha offerto nuove possibilità di ricerca e ha consentito nuove teorie delle quali, se alcune sono cadute, contestate da più sicure prove, altre si sono dimostrate autentiche intuizioni, fornendo una speranza che questa grave malattia possa essere sconfitta in un futuro non troppo lontano.

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