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Il gene dell'invecchiamento

Monica Melotti, N. 1/2 gennaio febbraio 2000

La scoperta è sensazionale. Sembrerebbe possibile fermare l'invecchiamento grazie all'eliminazione di un gene. La sperimentazione, guidata dal professor Giuseppe Pelicci, direttore del dipartimento di Oncologia sperimentale dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, è stata condotta sui topi e ha dimostrato che l'eliminazione del gene p66shc allunga la vita degli animali del 35%. I risultati della ricerca (finanziata dall'Associazione Italiana per la ricerca sul cancro con 250 milioni l'anno) sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature ed è la prima volta che viene scoperto un gene, in un mammifero (e quindi anche nell'uomo), che regola la durata della vita. La ricerca è stata condotta, oltre che dai ricercatori dello Ieo, anche da quelli dell'Università di Perugia e dello Sloan Kettering Cancer di New York. Si apre quindi un filone di ricerca veramente incredibile , una luce nuova sul processo dell'evoluzione degli esseri viventi. "Prevenzione Tumori" ha approfondito il significato di questa scoperta incredibile.
Professor Pelicci sarà possibile bloccare l'invecchiamento anche nell'essere umano?
Per ora possiamo solo azzardare delle ipotesi. Teoricamente sarebbe possibile anche se non possiamo dire quando, certo non possiamo sperimentare sugli uomini come fossero topi. I nostri studi ci hanno permesso di scoprire che la proteina p66shc normalmente non è funzionante, lo diventa quando la cellula è sottoposta a stress ossidativo causato da alcune sostanze, come i radicali liberi, che si generano in seguito a determinati fattori ambientali (raggi ultravioletti, dieta) o che vengono prodotte all'interno delle cellule durante la respirazione cellulare. Lo stress ossidativo induce forti danni a carico delle proteine, dei lipidi e del DNA cellulare. La cellula una volta danneggiata si difende dal danno attivando meccanismi di riparo oppure, se il danno è eccessivo, attivando un programma di suicidio (apoptosi) il cui scopo è quello di eliminare definitivamente la cellula malata. E' noto, del resto, che durante l'invecchiamento si ha un aumento progressivo dei danni cellulari da stress ossidativo.
Come siete arrivati a questa scoperta?
E' stata una sorta di incidente. Partendo da una proteina coinvolta nella proliferazione dei processi cellulari nel cancro, ne abbiamo scoperto un'altra (la p66) che rende la cellula più vulnerabile ai processi di invecchiamento. Per capirne la funzione abbiamo prelevato dalla cellule staminali del topo il gene in questione. E al suo posto abbiamo inserito un Dna che ne era privo. Dopo alcuni anni abbiamo così scoperto che i topi senza quel gene vivono un terzo in più degli altri. Sono più resistenti allo stress ossidativo e non manifestano danni o alterazioni nella crescita. Precedenti studi, invece, avevano dimostrato che l'allungamento della vita in animali inferiori (come vermi e moscerini) comportava un prezzo, per esempio la ridotta fertilità. I topo senza p66shc, invece, appaiono del tutto normali.
Qual è l'azione svolta nell'organismo da questo gene?
Il gene ha un ruolo nella proliferazione cellulare dei tumori e controlla una proteina che governa la risposta cellulare allo stress ossidativo. Il gene shcA codifica la proteina p66 che viene prodotta, sia nel topo che nell'uomo, soprattutto all'interno dei mitocondri (piccoli organi presenti in tutte le cellule dove avvengono i processi ossidativi). Se da un lato i mitocondri producono energia vitale, dall'altro mettono in circolo i radicali liberi che sono i principali responsabili dell'invecchiamento cellulare. Togliendo il gene che codifica questa proteina il processo di ossidazione rallenta. E la durata della vita si allunga. In un prossimo futuro la ricerca potrebbe mettere a punto farmaci specifici che inibiscono l'attività della proteina p66.
Si può ipotizzare l'impiego del gene appena scoperto per rallentare la proliferazione delle cellule tumorali?
Le ricerche condotte sulla proteina p53 sono state di valido aiuto (il p53 è l'anti-oncogene presente nell'embrione che rallenta la progressione tumorale), ma non possiamo ancora pronunciarci sulla p66. Valutando quel poco che conosciamo potremo solo ipotizzare il suo ruolo nel ritardare la crescita nelle cellule neoplastiche. L'unica certezza è che i geni coinvolti sia nel processo dell'invecchiamento che in quello tumorali, sono numerosi e complessi. Ora però abbiamo le chiavi di lettura, che fino a due anni fa non c'erano, si apre quindi un nuovo filone di ricerca.

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