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Infermiere per amico
Patrizia Miazzo, N. 5 maggio 2000
ll concetto di qualità di vita riguarda la pratica di diverse discipline, ma è un concetto particolarmente integrante della pratica infermieristica. I sintomi della malattia o gli effetti collaterali della terapia influiscono ovviamente sulla risposta umana alla malattia. Inoltre, gli infermieri per primi riconoscono che anche altri fattori, quali la famiglia, il supporto sociale, il ruolo e l'adattamento emozionale, possono influenzare la risposta. La risposta umana globale alla malattia può essere obiettivamente valutata dagli operatori sanitari usando parametri selezionati, quali gli effetti collaterali della terapia. Tuttavia, il contesto nel quale l'individuo struttura la risposta richiede una valutazione soggettiva da parte del paziente sia per stabilire in modo preciso e completo la risposta globale che per fornire la base degli interventi successivi. Per comprendere meglio quale sia il compito che un infermiere deve essere in grado di affrontare, abbiamo fatto alcune domande alla Signora Alice Pagnottoni, infermiera professionale della Divisione Day Hospital Oncologia, dell'Azienda Ospedaliera e Polo universitario "Luigi Sacco" di Milano. Come considerate il vostro lavoro? "Per me è stata una scelta sin dall'inizio, cioè da quando mi sono diplomata e ho deciso di lavorare con malati oncologici, di Aids e malati terminali. Sono felice di questa scelta e non la cambierei. Molti pensano che il lavoro dell'infermiera si limita a fare le iniezioni, misurare la temperatura e la pressione. Ma non è proprio così. Soprattutto chi lavora con i malati oncologici o terminali si dedica ad un sostegno oltre che medico anche psicologico e di analisi del paziente". Quale l'approccio con il paziente? "Ogni persona è diversa, quindi ci dobbiamo porre con ognuno di essi in modo differente. Per chi, come me, ha molti anni di esperienza con malati oncologici o terminali, l'approccio è immediato. L'esperienza aiuta a riconoscere immediatamente chi hai davanti ed agire di conseguenza". Il paziente, come vive il rapporto con voi? "Il paziente si affida a noi completamente. Anche quando è a casa, ci chiama per ogni piccolo dubbio o disturbo o viene in ospedale per avere un sostegno morale o per avere un immediato sollievo al suo disturbo. Prima che il paziente affronti la terapia viene informato su tutto ciò che gli accadrà, poi quando inizia la terapia, giorno dopo giorno si definisce il rapporto tra paziente-infermiere-familiari. Tutto nasce in modo spontaneo, perché loro hanno bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi, qualcuno che possa soddisfare i nuovi bisogni e aiutarli a cancellare le molte paure che devono affrontare. Il nostro compito è quello di aiutare, sia il paziente che la famiglia, ad accettare la malattia; il che è un lavoro che richiede molto tempo e che ha fragili equilibri". Quale il rapporto con i familiari? "Si instaura un forte legame, quasi di dipendenza. Anche loro passano molto tempo con noi e viene naturale, per la moglie o il marito che accompagna il consorte, chiedere sostegno e cercare di affrontare con noi dubbi e incertezze. Spesso ci chiedono come devono sostenere il paziente quando è a casa, cosa è meglio per lui e quale il modo migliore di affrontare situazioni impreviste. Ed è molto importante per noi poter interagire anche con la famiglia in modo da rendere più facile per il paziente un percorso già così difficile". Cosa ricevete in cambio dai vostri pazienti? "Sicuramente un migliore approccio con i reali valori della vita. Ogni giorno sappiamo che ognuno dei nostri pazienti ci insegnerà a vivere meglio, apprezzando fino in fondo la nostra vita, eliminando i falsi problemi e la superficialità".
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