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Cancro al rene: la ricerca va avanti
Minnie Luongo, N. 6/7 giugno/luglio 2008
Ci sono tumori di cui si parla poco, se non pochissimo. Tra quelli- inspiegabilmente-
più dimenticati dai media c’è senz’altro il carcinoma
renale, nonostante esso rappresenti il 3 percento delle neoplasie maligne, con
circa 50.000 nuovi casi diagnosticati in USA e 27.000 in Europa, di cui quasi
10.000 nel nostro Paese.
Per rimediare, almeno in parte, a tale “dimenticanza” da parte della
stampa e soprattutto per sensibilizzare l’opinione pubblica e informare
sulle novità positive in fatto di ricerca, di recente a Milano si è
tenuto un incontro con due autorevoli specialisti: Camillo Porta del Policlinico
San Matteo di Pavia e Marco Bregni del San Raffaele di Milano.
Per saperne di più
Cominciamo col dire che il tumore del rene è la terza neoplasia urologica
in termini di incidenza( dopo il tumore alla prostata e quello alla vescica).
Tutte le fasce d’età possono essere interessate, anche se la malattia
colpisce maggiormente soggetti di età superiore ai 40 anni, con un picco
d’incidenza nella settima decade di vita e con un rapporto maschi/femmine
di 2/1.
Attualmente si registra un lento ma progressivo incremento dell’incidenza
di questa patologia, che solo in parte può essere associato al miglioramento
delle tecniche di diagnosi.
“Purtroppo si tratta di un tumore che non dà facilmente segno di
sé, né provoca dolore. Al massimo, si rivela con il sanguinamento
nelle urine (ematuria). Insomma, è innegabile una certa difficoltà
di diagnosi- conferma il professor Marco Bregni, direttore Programma Strategico
Oncologia all’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano- , e in genere
si arriva a diagnosticarlo tardi, quando ormai è già in fase metastatica”.
Il carcinoma renale origina prevalentemente dalle cellule dell’epitelio
del tubulo prossimale e la sua diffusione può essere:
- diretta: per infiltrazione dei tessuti limitrofi e della vena renale;
- linfatica attraverso le stazioni linfonodali regionali;
- ematica con interessamento di organi a distanza (polmone, osso, fegato,
surreni, rene controlaterale, pancreas, tiroide).
Attualmente sono stati individuati diversi fattori correlati
al carcinoma renale.
Fattori genetici:
- Storia familiare: aumento del rischio di sviluppare tale neoplasia nei parenti
di primo grado di pazienti portatori di carcinoma renale, rispetto alla popolazione
generale;
- ereditarietà: carcinoma papillare ereditario associato a mutazioni
di un protoncogene;
- tumori renali associati alla sindrome di Von Hippel-Lindau (VHL): per mutazione
di un gene oncosoppressore si manifesta associato ad altre patologie neoplastiche;
- carcinoma a cellule chiare non associato a manifestazioni della sindrome
di VHL: dovuto ad una mutazione a livello del cromosoma 3.
Per quanto riguarda le patologie renali vere e proprie, possiamo
distinguere in
- malattia cistica acquisita: in pazienti sottoposti ad emodialisi per insufficienza
renale;
- nefropatia da analgesici: associata all’abuso di fenacetina;
- alcune patologie renali, come il “rene policistico”, la glomerulopatia
familiare, il cosiddetto rene a ferro di cavallo, che sono state per l’appunto
associate al carcinoma renale.
“Inoltre- aggiunge il professor Bregni- sullo sviluppo
di questa neoplasia possono influire, anche se in maniera molto minore, elementi
quali: ipertensione arteriosa, obesità, alimentazione, tabacco e alcuni
fattori occupazionali che prevedono l’esposizione all’asbesto o
ai derivati del petrolio. A rischio, infine, i lavoratori del pellame e chi
ha a che fare regolarmente con metalli pesanti come il cadmio”.
Diagnosi
In genere questo tumore si presenta con la triade sintomatologica costituita
dall’ematuria, dolore e massa addominale, associate a calo ponderale,
astenia e febbre.
Con l’aiuto degli esperti, veniamo a sapere che oggi la diagnosi si avvale
di esami ematochimici (emocromo completo, azotemia, creatinina, transaminasi,
LDH, fosfatasi alcalina) e soprattutto strumentali che descrivono l’estensione
della neoplasia. Questi sono: l’ecografia, utile nel differenziare una
lesione solida da una cistica e nella valutazione dei linfonodi locoregionali;
la TC torace, addome e pelvi che valuta la natura e l’estensione della
malattia; la RMN particolarmente utile per la definizione dell’interessamento
della vena renale; la PET (tomografia ad emissione di positroni) predittiva
per lo studio di metastasi a distanza; l’urografia per valutare lo stato
funzionale del rene controlaterale in pazienti candidati a nefrectomia radicale;
la scintigrafia renale con DTPA che studia il parenchima renale non interessato
dalla neoplasia qualora sia necessario eseguire una chirurgia conservativa (nefrectomia
parziale), o in presenza di neoplasie bilaterali; la scintigrafia ossea per
valutare la presenza di metastasi scheletriche.
Gli stadi della malattia
Dal punto di vista patologico il carcinoma a cellule renali (RCC) può
essere classificato secondo il classico approccio TNM (tumor nodes and metastasis
staging system) in quattro stadi. L’ultimo stadio (stadio 4 o avanzato/metastatico)
rappresenta il 25-30 percento dei casi alla diagnosi.
- I stadio: tumore confinato alla capsula renale.
- II stadio: tumore che infiltra la capsula ma resta confinato entro la fascia
renale.
- III stadio A: tumore che infiltra la vena renale o la cava inferiore.
- III stadio B: tumore che infiltra i linfonodi regionali.
- III stadio C: invasione sia della vena renale o della cava inferiore, sia
dei linfonodi regionali.
- IV stadio: invasione degli organi adiacenti (IV A) o metastasi a distanza
(IV B)
Le cure
Chirurgia
- nefrectomia radicale negli stadi I, II, III associata o meno a linfoadenectomia
regionale;
- nefrectomia semplice nel IV stadio con finalità palliative;
- nefrectomia parziale per tumori piccoli o in pazienti monorene o con neoplasia
bilaterale.
Radioterapia
Adiuvante o postoperatoria nei tumori infiltranti la fascia renale o con linfonodi
regionali positivi. E’ utile nel controllo delle recidive locali, ma non
sembra dare un vantaggio nella sopravvivenza, come sottolinea il professor Camillo
Porta: “La radioterapia sul rene non si usa in quanto non efficace”.
Chemioterapia
Nessun agente chemioterapico può essere considerato standard a causa
dell’elevata chemioresistenza della neoplasia.
Immunoterapia
L’uso dei modificatori della risposta biologica rappresenta attualmente
il trattamento di scelta nel tumore del rene avanzato e consiste nella somministrazione
di farmaci che stimolano il sistema immunitario. L’impiego di alfa interferone
e/o di interleuchina 2 sono stati in grado di determinare regressioni parziali
della malattia con un aumento della sopravvivenza libera da malattia ad un anno,
ma purtroppo non hanno sostanzialmente modificato la sopravvivenza globale dei
pazienti, comportando inoltre effetti tossici alquanto severi.
Nuove terapie
Attualmente sono state introdotte nuove terapie più specifiche e mirate
verso questo tipo di tumore con un profilo di tollerabilità migliore.
In particolare, è stata evidenziata una serie di processi complessi che
sono alla base della cancerogenesi, cioè della formazione dei tumori
sui quali è possibile intervenire bloccando sia lo sviluppo diretto del
tumore, sia la formazione di nuovi vasi ematici (angiogenesi) che veicolano
al tumore le sostanze nutritive utili alla loro crescita.
Le nuove molecole sono in grado di colpire selettivamente particolari processi
della cellula tumorale e sono dette terapie molecolari mirate.
L’importante ruolo dell’mTOR
Premette il professor Camillo Porta, Oncologia Medica, Fondazione IRCCS presso
il Policlinico San Matteo di Pavia: “ Con “mTOR” (mammalian
target of rapamycin) definiamo una proteina chiave nella regolazione della proliferazione,
crescita e sopravvivenza cellulare, che svolge un importante ruolo come modulatore
della trasduzione del segnale di proliferazione.
È stato infatti osservato che numerosi componenti, sia a monte sia a
valle di mTOR, risultano alterati in differenti tipologie di tumori. Lo sviluppo
di molecole in grado di inibire mTOR rappresenta una strategia terapeutica razionale
per i tumori caratterizzati da alterazioni dei sistemi di trasduzione del segnale
che coinvolgono mTOR.
La via di trasduzione del segnale che coinvolge mTOR può essere di particolare
rilevanza nell’RCC dal momento che la sua attivazione ha dimostrato di
aumentare l’espressione genica di HIF-1? sia in termini di traslazione
dell’mRNA sia in termini di stabilizzazione della proteina. L’inibizione
di mTOR, inoltre, sembra avere anche un effetto antiangiogenetico probabilmente
dovuto a inibizione sull’attività di HIF e conseguente riduzione
dei livelli di citochine proangiogenetiche (quali VEGF).
In conclusione, l’inibizione di mTOR può risultare efficace in
pazienti affetti da carcinoma a cellule renali sia per inibizione diretta degli
effetti a valle dell’attivazione del sistema PI3K-Akt-mTOR all’interno
della cellula tumorale, sia per inibizione indiretta dell’effetto pro-angiogenetico
di HIF sulle cellule endoteliali”.
La novità positiva del nuovo farmaco oggi a disposizione- il nome della
molecola è temsirolimus- consiste innanzitutto nel fatto che si allunga
(passando da 6 fino 11-12 mesi in più) l’aspettativa di vita del
paziente. “Inoltre- continua il professor Porta- si tratta di un farmaco
non tossico, che si è dimostrato estremamente tollerabile: e la qualità
di vita in tale tipo di pazienti è un elemento fondamentale. Infatti,
abbiamo riscontrato effetti collaterali lievi e comunque facilmente gestibili”.
“Insomma, si tratta di un farmaco unico nel suo genere, che fa da apripista
a tutta una nuova famiglia di farmaci. Per quanto riguarda le indicazioni pratiche,
esso viene somministrato in day hospital per via endovenosa, una sola volta
la settimana”.
Frutto della ricerca Wyeth, il farmaco (in attesa della sua approvazione) attualmente
viene utilizzato per il cosiddetto “uso compassionevole”. La sua
molecola, scoperta nel 1975 nella lontana Isola di Pasqua, ha iniziato ad essere
oggetto di ricerca solo agli inizi degli anni ’90. Comunque oggi il farmaco
da Catania (che assieme ad Aprilia, vicino a Roma, è uno dei due Centri
di ricerca Wyeth) viene spedito in tutto il mondo (ad eccezione dell’America).
I “farmaci orfani”
Vale la pena, per finire, ricordare che cosa sono I cosiddetti “farmaci
orfani”, dei quali finalmente si comincia a sentir parlare. Sono prodotti
medicinali destinati alla diagnosi, prevenzione o cura di malattie o disturbi
rari che mettono in pericolo la vita dei pazienti, o che sono comunque molto
gravi. Le malattie rare sono quelle patologie che interessano un numero limitato
di persone su un’intera popolazione, definite meno di 1 caso su 2000 persone.
Un numero solo all’apparenza piccolo: infatti, si stima che oggi esistano
5000-8000 distinte malattie rare che colpiscono tra il 6 e l’8 percento
della popolazione in totale. In altre parole: circa 24- 36 milioni di persone
nella Comunità Europea.
I farmaci sono detti “orfani” perché l’industria farmaceutica
in condizioni normali di mercato è poco interessata a produrre e a commercializzare
prodotti destinati solamente ad un ristretto numero di pazienti affetti da patologie
assai rare. Per le aziende farmaceutiche introdurre nel mercato un prodotto
farmaceutico per una malattia molto rara avrebbe un costo presumibilmente superiore
al guadagno derivato dalla vendita del prodotto. Proprio per questo motivo,
Il 16 dicembre 1999, il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno adottato un
regolamento con l’obiettivo di sollecitare le industrie farmaceutiche
e biotecnologiche a sviluppare e a commercializzare i farmaci orfani.
Anche perché la rarità di tali malattie incide sulle possibilità
della ricerca clinica, in quanto la valutazione di nuove terapie è spesso
resa difficoltosa dall'esiguo numero di pazienti arruolabili nei trial clinici.
Infatti la sperimentazione clinica per lo sviluppo di farmaci destinati alla
cura delle malattie rare pone problemi del tutto particolari, in quanto si tratta
di malattie poco conosciute e afferenti a diversi gruppi nosologici, con conseguente
difficoltà a costituire gruppi sperimentali omogenei, nonchè di
malattie che hanno un’ ampia dispersione territoriale con grandi difficoltà
al reclutamento delle popolazioni sperimentali
Secondo la normativa europea i criteri per definire un medicinale "orfano"
sono:
- che il prodotto sia destinato alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia
di un'affezione che comporta una minaccia per la vita o la debilitazione cronica
e che colpisce non più di cinque individui su diecimila nella Comunità;
- che il prodotto sia destinato alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia
nella Comunità di un’ affezione che comporta una minaccia per
la vita, di un'affezione seriamente debilitante, o di un'affezione grave e
cronica, e che è poco probabile che, in mancanza di incentivi, la commercializzazione
di tale medicinale all'interno della Comunità sia tanto redditizia
da giustificarne l'investimento necessario.
Indirizzi utili
I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo
Viale Golgi, 19 - 27100 Pavia
Centralino: 0382 5011
Prenotazioni/informazioni: 0382 503.878-879-151
www.sanmatteo.org
Medicina e Oncologia medica – prof. Camillo Porta - tel. 0382 5011
Istituto Scientifico Universitario San Raffaele
Via Olgettina, 60 - 20132 Milano
Centralino: 02 26431
Prenotazioni/informazioni: 02 26432643
www.fondazionesanraffaele.it
Oncologia medica – Prof Marco Bregni – tel. 02 2643.7620 - 7609
Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi
Viale Pieraccini, 17 - 50139 Firenze
Centralino: 055 794111
Prenotazioni/informazioni: 840 003003
www.ao-careggi.toscana.it
Oncologia medica - Prof. Francesco Di Costanzo – tel. 055 7947251
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