Esegui una ricerca

Informativa privacy

L'umanizzazione dell'ospedale: non solo scienza

Lara Bettinzoli, N. 6/7 giugno/luglio 2008

Combattere l'indifferenza degli spazi ospedalieri, troppo spesso ambienti incolori ed austeri che riflettono la paura interiore e comunicano una sensazione di abbandono a se stessi e proporre un ambiente articolato aperto alla comunicazione, che aiuti a distrarsi ma anche a raccogliersi in se stessi. C'è questo intento nel progetto di umanizzazione in oncologia 'Si cura insieme', un segno concreto di sensibilità e attenzione verso i pazienti che affrontano una grande e difficile prova qual è la cura della patologia oncologica.
Ma cosa significa umanizzare una struttura ospedaliera? Lo abbiamo chiesto a Sergio Marsicano, psicoanalista, docente di psicologia presso la Facoltà di Sociologia, Corso di laurea in Servizio Sociale, dell'Università Statale Milano-Bicocca e coordinatore del Progetto di Umanizzazione presso il Dipartimento di Oncologia Medica dell'Azienda ospedaliera San Carlo Borromeo di Milano.

Cosa significa umanizzare una struttura ospedaliera?
Umanizzare l'ospedale significa, banalmente, costruire un ospedale secondo le necessità di chi lo utilizza, cioè, gli uomini. Uomini che si incontrano tra loro, ciascuno con i propri caratteri individuali e differenziati, ma con alcuni tratti che sono tuttavia comuni: le donne e gli uomini, i bambini e gli adulti che si sono costruiti fino a quel momento in un sistema culturale e sociale.
L'antenato dell'ospedale è l' Aesclapeion di Kos, in cui erano ricoverati i malati che si recavano dall'oracolo nel tempio d'Apollo, ma dove è nata anche la scuola di Ippocrate fondatore della medicina moderna. In 2500 anni, l'ospedale è cambiato ed ha subìto, specie negli ultimi tre secoli, trasformazioni legate innanzitutto allo sviluppo del sapere scientifico.
Dalla metà dello scorso secolo, lo sviluppo scientifico è stato sempre più intenso, permettendo la produzione di apparecchiature per diagnosi precoci, l'individuazione di nuovi e più efficaci farmaci, la messa a punto di tecniche chirurgiche meno invasive e demolitrici. In concomitanza di ciò, la vita media della popolazione è aumentata nel nostro Paese e anche il grado culturale e di consapevolezza degli uomini è di molto incrementato.
L'ospedale è in gran parte rimasto però il luogo di relazioni forgiate dal passato, prima che la riforma sanitaria della fine anni '70 cambiasse il panorama della cura. Mutamento che ha incrementato la prevenzione, ha spostato diagnosi e cura dal territorio agli ambulatori ospedalieri, che ha ridotto gli interventi in degenza allo stretto necessario. A tali varianti strutturali sono corrisposti pochi mutamenti degli ambienti o della formazione degli operatori sanitari o del tipo di rapporto tra operatore sanitario-paziente.
In qualsiasi specialità ospedaliera, viene svolto un lavoro che, unico tra le attività umane, non metaforizza la sola relazione esistenziale certa e comune: quella tra vita e morte. Negli enti finanziari si gioca tra il guadagno e la perdita, in quelli formativi tra l'istruzione e l'ignoranza, nel campo psicologico tra la salute mentale e la follia, nel mondo dei sentimenti tra il piacere e la frustrazione. In ospedale ciò non può avvenire, poiché la malattia fa irrompere nella vita l'unica certezza umana, di solito scotomizzata: la mortalità dell'uomo. M.Foucault affermava: l'uomo non muore perché s'ammala ma s'ammala perché è mortale .
Nel senso comune idealistico (il primo) la malattia diventa il campo che annuncia la morte, nel senso reale foucaultiano (il secondo) la malattia fa parte della vita. In base al primo principio, l'ambiente ospedaliero è come se rinunciasse alle cose, ai fatti, agli stati mondani quotidiani, quelli che compongono la vita di ciascuno: lavoro, sentimenti, incertezze, lotte, svaghi, giochi, etc. Gli utenti si rivolgono al personale sanitario come a moderni dei affinché li salvino dalla morte. La religione di medici e infermieri è la medicina scientifica, la liturgia è l' evidence based medicine . Non vorrei esser fraiteso: i progressi della medicina moderna sono stati enormi, ma il processo di diagnosi resta indiziario ed empirico (situazione di cui molti non vogliono sapere) e il processo di cura un evento di cui il medico sa sempre meno, affidandosi ai grandi e concentrati centri di ricerca e produzione delle tecnologie.
Nell'elevare a scienza esatta la medicina si chiede al personale sanitario una risposta certa, costringendolo in un ruolo sacerdotale al quale è formato da un percorso di studi in cui le conoscenze scientifiche necessarie sono talmente in quantità elevata da lasciare sullo sfondo le scienze umane. In tale trappola, i sanitari subiscono un contraccolpo complementare al paziente, poiché, in assenza di una distanza tra la propria identità e il ruolo, ogni difficoltà viene vissuta come un proprio fallimento: il sentimento derivante viene oggi chiamato burn-out e l'insieme delle azioni fallite in buona fede, malasanità.
Umanizzare significa quindi aver a che fare coi confronti tra i caratteri umani, restituendo all'ospedale, ambulatorio o degenza, i tratti del luogo di una cura che non confonda il curare col guarire e consista perciò in un prendersi cura di una fase del percorso esistenziale.

Questa umanizzazione avviene sia nella struttura architettonica dell'ospedale, sia nell'aspetto organizzativo volto a rendere la vita dei pazienti più "normale". Cosa è stato fatto al San Carlo Borromeo di Milano?
Dal punto di vista architettonico, le strutture ospedaliere sono obsolete, poiché lo sviluppo dell'assistenza sanitaria è ubicata in costruzioni che rispondevano ad altre possibilità e concezioni della cura. L'apertura di ambulatori e la territorializzazione della cura durante la fase acuta ha mutato il ritmo dell'assistenza ospedaliera, rendendo necessari ambulatori visita e day-hospital in ambienti costruiti invece per ricoverare a breve e medio termine i pazienti. I percorsi ambulatoriali attraversano le degenze, che hanno esigenze di asetticità elevate. Nei reparti di degenza lo spazio riflette concetti di passività del paziente: le parti giorno sono inesistenti, le parti notte (letto, armadietto e bagno comune) sono collocati in ambienti promiscui che non consentono alcuna privacy. Lo sbalzo tra la vita da sani a quella da malati è grande, proprio nel momento di maggior fragilità dei cittadini.
L'Ospedale S. Carlo Borromeo, pur progettato a metà del secolo scorso, risente di tali contraddizioni e rispecchia criteri ingegneristici in voga all'epoca: plastica, metallo e vetro, per consentire una maggior igenizzazione ambientale; camere da letto, un bagno a sezione, un soggiorno (spesso usato per altri scopi) ogni due sezioni, cioè, 32 degenti.
Ferme restando alcune strutture non modificabili e le esigenze della cura, in Oncologia Medica abbiamo introdotto il legno di ciliegio, librerie nelle stanze, fotoingrandimenti di dettagli di quadri del '400 alle pareti. Il soggiorno è stato attrezzato per vari usi, come sala tv, sala giochi, salottini per colloqui tra pazienti e parenti, etc. La sala da pranzo è stata arredata per contenere i pazienti e, se desiderato durante i pasti, i loro parenti. Le porte d'accesso sono state messe in sicurezza, per impedire il libero accesso in una zona degenza che richiede vengano rispettati criteri di asetticità. In ambulatorio/day-hospital è stata predisposta un'accoglienza e sale d'attesa confortevoli con tv.

Da chi o quale struttura è stato promosso il progetto di umanizzazione degli spazi ospedalieri, e quanto ammonta all'incirca questo l'investimento?
Quando nel 1994 abbiamo iniziato in Oncologia Medica, allora diretta dal prof. G. Luporini, a porci la questione che il processo di cura si era evoluto in modo tale che le strutture e le risorse non erano più adeguate a garantire il benessere dei cittadini, l'intero corpo medico-infermieristico ha sviluppato il progetto. Non avrebbe potuto esser altrimenti, poiché le modifiche apportate hanno spesso inciso sui modi della cura e, quindi, sull'organizzazione del lavoro degli operatori sanitari. Il procedimento è avvenuto partendo dalla domanda o, se si preferisce, dalle esigenze maggiormente disattese, che potevano inficiare l'efficacia della cura. Non c'è stato un canovaccio preciso, ma una struttura culturale che ha sorretto percorsi di sviluppo, man mano che le questioni venivano elevate alla sensibilità del gruppo. Le direttrici principali che hanno ispirato il lavoro sono state individuate nello stato specifico della situazione generata dalla neoplasia.
Il cancro è una malattia che modifica strutturalmente la vita di chi ne è affetto e dai suoi familiari, perché infrange il velo d'illusione dietro cui la cultura occidentale nasconde la realtà umana della finitezza dell'esistenza. Il malato tumorale vede interrompersi le principali condizioni esistenziali, in base a cui quest'illusione d'immortalità regge. I campi interessati sono: il lavoro, gli affetti, gli svaghi, la spiritualità e proprio quando la patologia avrebbe bisogno di un maggior sostegno rispetto all'angoscia di morte, questi strumenti vengono recisi e non trovano nell'ospedale tradizionale possibilità di essere rigenerati. Abbiamo messo sotto lente d'ingrandimento alcune condizioni comuni a qualsiasi individuo e abbiamo iniziato a proporre soluzioni che conciliassero la soddisfazione di queste esigenze comuni e l'imprevedibilità della composizione sociale che frequenta l'ospedale.
L'ospedale facilita l'inversione del ciclo veglia-sonno per l'allettamento anche quando non è indispensabile, spinge alla regressione, modifica i ritmi circadiani (filogenetici e sociali). La desincronizzazione è pericolosa perché aliena i ritmi abitudinari, introducendo difficoltà organiche (alterazioni ormonali -come nel jetleg- e modifiche d'umore come le ciclotimie da desincronizzazione -SAD-). Abbiamo suddiviso, nel limite del possibile, gli spazi giorno dagli spazi notte, abbiamo corretto gli orari dei pasti secondo le abitudini, abbiamo reso disponibili le attività che di solito vengono messe in atto a casa: tv, giochi, animazione, musica, feste, avvenimenti serali e nel fine settimana, orari liberi di visita parenti, etc., abbiamo sensibilizzato il gruppo sulle differenze culturali e religiose che l'immigrazione implica. Nell'ambulatorio/day-hospital abbiamo approntato sale d'attesa con minibar, tv, receptionist al fine di contenere e diluire l'ansia per l'attesa di visita o della chemioterapia.
Ai pazienti e ai loro parenti viene messa a disposizione, accanto al servizio medico-infermieristico, la possibilità di appoggiarsi a psicologi e psicoterapeuti per colloqui o cure, la possibilità di usufruire della consulenza di un assistente sociale, il sostegno di educatori professionali per attività quali musicoterapia, danzaterapia, arteterapia, giochi, feste, cene e avvenimenti vari (tra cui un'happy hour quotidiana serale). Queste figure professionali compongono il Servizio Psico-Socio-Educativo, diretto da me che sono anche responsabile del Progetto di Umanizzazione dell'Ospedale in Oncologia e fornisco terapie psicosociali, sostegno, consulenza ed effettua ricerche di vario tipo inerenti la qualità della vita dei cittadini affetti da neoplasia.

Quanto è importante il rapporto tra individuo e ambiente costruito?
Ogni individuo produce azioni che prolungano percezioni interne al corpo o innescate dal mondo esterno, secondo una mediazione che viene effettuata attraverso le memorie che costituiscono l'esperienza della specie (memoria genetica) o, successivamente, la memoria delle esperienze esistenziali, alcune delle quali sono ricordabili, altre dimenticate, ma attive. In ogni modo, le memorie sono la registrazione dell'esperienza che, geneticamente o meno, stabilisce i tempi e i modi della sopravvivenza.
E' paradossale che proprio l'ambiente preposto alla cura delle disorganizzazioni organiche non tenga conto di quest'evoluzione. Questa contraddizione è in parte generata da strutture logiche che fondano la medicina, poiché l'esperienza clinica viene raccolta in un contenitore scientifico che, per essere rappresentabile, ricorre alla stilizzazione, attorno a pochi livelli, di ciò che nel reale si distribuisce in un'infinita gamma di possibilità. Spinto al limite, tale struttura logica antepone la situazione limite alla distribuzione, perdendo di vista molti aspetti della complessità col vantaggio d'addensare l'attenzione sul singolo aspetto curabile. L'urgenza alimentata dall'alternativa vita-morte che fonda il lavoro sanitario favorisce una semplificazione che, se non ricondotta alla generalità complessa, depaupera la cura. Da questa angolazione, l'ambiente, nelle sue articolazioni architettoniche, culturali, sociali, storiche, risulta indistricabilmente decisivo nel processo di cura. Nell'impossibilità di tener tuttavia conto di ogni variabile soggettiva, la ricerca di catarreri prevalenti per una popolazione assicura un aumento di agio ai curati e di efficacia alla cura.

E' stata promossa dall'ospedale San Carlo una ricerca su questionario per analizzare bisogni e richieste dei pazienti oncologici e dei loro familiari allo scopo di umanizzare il controllo e la gestione delle malattie neoplastiche. Come era strutturato il questionario?
Era basato su colloqui non direttivi, secondo i modi della narrazione.

Che cosa è emerso dalla lettura di questi questionari?
Una parte solo di quanto usato nell'umanizzazione. L'umanizzazione non è la risposta al solo punto di vista dei pazienti, ma l'intersezione tra le loro esigenze, quelle dei loro familiari, degli operatori sanitari, della società.

Il volume 'Si cura insieme' viene distribuito ai pazienti oncologici e ai loro famigliari? Di che cosa parla questo volume?   E' utile solo a chi è ricoverato presso l'Ospedale San Carlo, o possono trovare informazioni utili anche altri malati neoplastici?
L'Unità Operativa Complessa d'Oncologia Medica dell'Ospedale S.Carlo Borromeo, diretta dalla dott. D. Tabiadon, aveva da tempo individuato la necessità di uno strumento che informasse i pazienti, i medici territoriali e i cittadini in generale sulle prestazioni offerte dalla propria struttura. Cure, nominativi degli operatori, attività svolte, numeri di telefono e orari sono alcune delle informazioni contenute. Il costo ci aveva sempre trattenuto dall'avviare questa operazione, fino a che una casa farmaceutica, l'AMGEN, ha deciso di devolvere parte dei fondi per attività promozionali ad aspetti di pubblica utilità, senza che ciò corrispondesse, come avviene di solito, con un'attività legata alla commercializzazione d'un farmaco specifico. Abbiamo volentieri aperto la pista per l'operazione che coinvolge alcune decine di oncologie in Italia. L'AMGEN ha inoltre fornito una donazione per l'accoglienza dei pazienti ambulatoriali, nell'ambito di una prossima ristrutturazione logistica dell'intera Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica.

Di che cosa hanno veramente bisogno i pazienti oncologici?
Di speranza.

I bisogni cambiano in base all'età del paziente. In che modo?
I bisogni non cambiano in base all'età, ma cambia l'espressione del desiderio che promette la sua soddisfazione. Altrimenti il lavoro di umanizzazione sarebbe impossibile, perché troppo dispersivo. Gli universali garantiscono un referente base per la scelta delle priorità comuni a tutti, mentre le forme espressive possono variare a secondo dei mezzi disponibili e delle distribuzioni dei pazienti.

E' stato attuato un progetto regionale di stesura di linee guida per l'Umanizzazione in Ospedale. Quali sono queste linee guida?
Si e sono in fase di presentazione alla Regione. L'umanizzazione è un processo culturale e perciò non è possibile fornire linee guida rigide, poiché ogni insieme di operatori e utenti dovrà costruire secondo le proprie possibilità. Le linee guida sono pertanto un mezzo strutturale per rilevare le singole esigenze da porre in progettazione.

L'équipe del Servizio psico-socioeducativo è impegnata in nuove iniziative, focalizzate sull'accoglienza, sull'assistenza ai pazienti terminali e sul sostegno agli operatori. Di che cosa si tratta?
La ristrutturazione logistica dell'Oncologia Medica del S. Carlo permetterà di massimizzare e razionalizzare le linee già attualmente in atto per l'accoglienza e le cure palliative per mezzo della costruzione di una moderna e articolata accoglienza pre e post intervento ambulatoriale, di una struttura di degenza tipo hospice che affianca l'esistente assistenza domiciliare per malati terminali, in convenzione con la Fondazione Floriani, diretta dalla dott. M. Vinci.

Perché in oncologia l'aspetto umano è importante tanto quello della cura?
Il prendersi cura con attenzione umanizzante, accanto al curare scientificamente, è importante per ogni relazione diagnostico-terapeutica in medicina. In Oncologia, la cronicità della malattia, il tasso di mortalità del 50%, il grado di sofferenza fisica, psichica e sociale esige un'attenzione congiunta e paritetica ai due aspetti della cura.

Quali sono i Centri interessati dal progetto di "umanizzazione"?
Spero tutti. Da tre anni, il Progetto d'Umanizzazione dell'Ospedale in oncologia è stato fatto proprio dall'AIOM, l'associazione italiana dei medici oncologi. In particolar modo, la dott. L.Tedeschi, responsabile Ambulatorio/day-hospital, Responsabile dell'Unità Semplice di Trapianto di Midollo, membro medico dell'Umanizzazione dell'Ospedale in oncologia dell'Ospedale S. Carlo e tesoriera dell'AIOM Lombardia ha realizzato l'apertura che sollecita le oncologie ad ampliare l'orizzonte del lavoro medico-infermieristico, attraverso l'inserimento di nuove ottiche professionali che stanno entrando nella sanità: lo psicologo e psicoterapeuta, l'assistente sociale, l'educatore professionale, il mediatore culturale, il manager della sanità, etc.

L'umanizzazione dell'ospedale. Riflessioni ed esperienze
a cura di Antonella Delle Fave e Sergio Marsicano. - Milano : FrancoAngeli Editore, 2004. - 246 pagine - (Collana Scienza e salute. Formazione). - Scritti di vari. --Euro 20,50

Umanizzazione dell'ospedale è una locuzione che include parecchi aspetti, come si conviene a un argomento che non rientra in una specifica disciplina, ma costituisce un campo di discussione per affrontare difficoltà vecchie e nuove che emergono nella medicina, a seguito delle profonde trasformazioni demografiche, epidemiologiche e di stile di vita della società post-industriale. Gli uomini si sono da sempre posti il problema della promozione della salute e della cura delle malattie; l'ospedale è un'istituzione d'antica origine, declinata secondo concezioni diverse di salute e malattia, di diagnosi e cura, ma presente in tutte le società. Non c'è tuttavia nulla di più naturale e comune delle patologie e della fine di una vita, poiché, come affermava M. Foucault, l'uomo non muore perché si ammala, ma si ammala perché è mortale . I progressi scientifici e tecnologici hanno però aperto nuovi orizzonti di cura e prevenzione nei confronti di patologie altrimenti non trattabili; la crescente consapevolezza dei cittadini del proprio ruolo attivo nella gestione della salute ha fatto uscire la medicina e le sue strutture dall'ambito strettamente diagnostico-terapeutico e ha modificato le richieste e le aspettative degli utenti. I cittadini malati si aspettano dagli operatori sanitari prestazioni che conducano alla guarigione. L'Ospedale diviene pertanto un crocevia di interazioni caricate di valenze e di attese non sempre reali: la negazione sociale della morte trasforma la medicina in magia per produrre l'immortalità o la sopravvivenza ad oltranza. Spesso gli operatori medesimi colludono inconsciamente con questa prospettiva, rendendo quest'utopia l'obiettivo della propria formazione e lavoro. La realtà ospedaliera è forgiata da quest'immaginario che riflette le procedure, le richieste economiche, i linguaggi verbali e metaverbali che i pazienti e i loro parenti scambiano con gli operatori sanitari. Si è così spostata l'attenzione dalla relazione con la persona malata a quella con la malattia: questa prerogativa della medicina occidentale ha stravolto il ruolo tradizionale del terapeuta, sostituendolo con quello del tecnico e dello specialista. Ciò ha mutato la componente relazionale della medicina, imprescindibile in ogni attività che preveda l'interazione tra individui, e ha costretto a riflettere sulla necessità di sviluppare nuovi modelli di intervento che promuovano la sua umanizzazione . Il volume rappresenta problemi che operatori, studiosi e amministratori affrontano ogni giorno nella complessa realtà delle relazioni con gli utenti, sia soluzioni e strategie di intervento messe in atto in risposta a tali problemi. I contributi sono suddivisi in quattro parti: nella prima, si analizzano aspetti teorici e difficoltà sociali, culturali e istituzionali che sottendono il processo di cura ed evidenziano un evidente scarto tra le esistenti strutture cliniche e le esigenze della popolazione. L'enfasi sulla centralità del paziente nel processo di diagnosi e cura solleva difficoltà in ambito organizzativo, deontologico e sociale che vengono affrontate nella seconda parte del volume. La terza parte descrive esperienze di Umanizzazione presso alcune strutture ospedaliere del territorio milanese. La quarta parte affronta il tema della formazione degli operatori sanitari, alla luce delle nuove esigenze dei cittadini e delle trasformazioni sociali.

Links utili

Servizio Psico-Socio-Educativo, U.O.C. di Oncologia Medica, A.O. San Carlo Borromeo di Milano
E-mail: umanizzazioneospedale@hotmail.it
Tel. 02.40222118
www.umanizzazione.com

A.N.D.O.S
Associazione Nazionale Donne Operate al Seno
Tel. 06-3297479

Torna ai risultati della ricerca