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Convegno Linfomi
Annalisa Cretella, N. 5 maggio 2008
Le leucemie e i linfomi rappresentano i tumori più frequenti nella popolazione giovanile dai 14 ai 40 anni e, soprattutto,
sono quelli gravati dalla maggiore mortalità. Per discutere e creare un’occasione di confronto e aggiornamento, partendo
da questo preoccupante dato, l’Istituto di Ematologia dell’Università Cattolica di Roma ha promosso nel febbraio
scorso un convegno dal titolo “I tumori ematologici nell’adolescente e nel giovane adulto”.
Durante il simposio sono stati resi noti i risultati di un recente studio, realizzato da Istat e Istituto Superiore di Sanità,
supportato dalla Associazione onlus Alteg, dedicato proprio all’incidenza di tutti i tumori nella fascia di età tra
i 14-40 anni.
Ematologi, bioeticisti, esponenti del mondo politico e del sindacato, dirigenti sportivi si sono confrontati durante il convegno
multidisciplinare voluto fortemente dal Professor Giuseppe Leone, Ordinario di Ematologia della Cattolica, promotore dell’iniziativa.
Professor Leone, ci può raccontare cosa è emerso durante il convegno?
"E' emerso che, mentre per gli uomini italiani il tumore più frequente è quello polmonare seguito dai tumori
gastrici, nei giovani la situazione è molto diversa. Dai 14 ai 40 anni i tumori prevalenti sono quelli ematologici: le malattie
più importanti sono le leucemie e i linfomi, che sono il 39%.
Nella popolazione generale, tra i maschi il cancro del polmone rappresenta il 28% delle morti. Poi c’è quello della
prostata, dello stomaco. Nelle donne invece il tumore della mammella, poi quello del polmone e dello stomaco. I tumori dell’encefalo
sono il 14% e poi vengono i tumori delle vie respiratorie, il melanoma e i tumori dell’intestino".
Cosa si evince dallo studio congiunto realizzato dall’Istat e dall’Istituto Superiore di Sanità?
"Tra le risultanze di questa ricerca emerge che nei soggetti tra i 14 e i 40 anni prevalgono i tumori ematologici come leucemie,
mielomi e linfomi: 2.612 casi su un totale di 13.849, pari al 27% di tutti i tumori di questa fascia di età. Il dato è
ancora più evidente se si considera che nella fascia di età superiore ai 40 anni prevalgono, secondo i dati più
aggiornati riferiti al 2005, i tumori della prostata (42.000 casi), della mammella (39.000), del polmone (25.000), del colon (24.000),
dello stomaco (8.200).
Ogni anno, in Italia, il numero di pazienti a cui viene fatta diagnosi di tumore è di circa 250.000 (135.000 uomini e 115.000
donne). Questi numeri nella fascia di età 14-40 anni corrispondono a una incidenza di tumore per 100.000 abitanti/anno di
77 tra le donne e 54 tra gli uomini, inferiore all’incidenza nella popolazione generale che, secondo i dati Istat 2005, è
di 409 (femmine) e 492 (maschi)".
La malattia è abbastanza rara, per fortuna, anche se è pur sempre la causa principale di morte naturale nei giovani,
a parte ovviamente gli incidenti automobilistici. Eppure la percentuale di guarigione, che secondo l’Istat, si aggira intorno
al 60% dei casi di leucemia, è piuttosto alta.
"Per quanto riguarda i risultati della cura, i registri dei dati Istat non sono del tutto attendibili, sinceramente trovo che
siano risultati troppo “brillanti”.
Secondo i dati del GIMEMA, il Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto, la percentuale di guarigione per i pazienti
ammalati di leucemia acuta in questa fascia di età, quindi tra i 14 e i 40 anni, è ben più bassa e raggiunge
solo il 40%".
Rispetto al passato?
"C’è un aumento dell’incidenza dei tumori, in particolare dei linfomi".
A cosa potrebbe essere dovuto questo aumento?
"Al di là delle cause già note, nel caso dei linfomi, un ruolo lo gioca l’Hiv a causa dell’immuno
depressione che comporta. Nel caso dei melanomi, questi continuano ad aumentare per la cattiva abitudine di esporsi troppo al sole".
Che possibilità di cura ci sono per i tumori giovanili?
"Parte dell’incontro è stata dedicata all’epidemiologia, di cui sono stati forniti dati aggiornati non solo
su incidenza e prevalenza dei tumori del sangue, ma anche sulle guarigioni. In proposito va ricordato un solo dato: nel 2000 la
mortalità per tumore nella fascia di età tra i 14 e i 40 è stata in totale di 1.176 uomini, di cui il 39% per
tumori ematologici, e di 1.195 donne, il 26% per tumori del sangue. Ma a distanza solo di qualche anno la mortalità per tutti
i tipi di tumori giovanili, anche ematologici, è fortunatamente in riduzione grazie alle nuove terapie a disposizione.
Abbiamo un dato positivo. Sebbene in questa fascia di età i tumori sono circa il 6% di tutta la popolazione, solo 1,5 % porta
alla morte. Significa che la maggior parte dei tumori giovanili sono curabili, neoplasie che non portano alla morte".
I problemi connessi a un tumore che insorge in giovane età riguardano anche il reinserimento sociale delle
persone guarite.
"Sì, anche perché, senza dubbio, questa percentuale è molto incoraggiante, ma vuole anche dire che c’è
un gran numero di giovani, guariti da un tumore, che va aiutato realmente ad avere una buona qualità di vita, a ritornare
ad una attività lavorativa, in poche parole a reinserirsi nella società. Questo problema, che riguarda tutte le persone
che hanno avuto una lunga e dolorosa malattia, si acuisce nel caso in cui i pazienti sono giovani.
C’è chi perde il posto di lavoro a causa della malattia e poi ha difficoltà a trovarne un altro e chi, magari
studente, deve ancora accedere al primo impiego. Per loro le difficoltà sono maggiori. Questo è un problema reale
e va affrontato".
A conclusione del convegno c’è stata una tavola rotonda proprio sul tema del reinserimento dei pazienti,
nella vita attiva, dalla scuola al lavoro, dallo sport alla famiglia. Si è parlato delle nuove cure, ma anche delle problematiche
etiche, sociali e psicologiche. Al di là del ruolo dei medici, dell’assistenza pubblica e della tenacia individuale
del paziente, che cosa si potrebbe fare?
"Ci dovrebbe essere la possibilità, per esempio, per gli studenti, di fare delle assicurazioni, che coprano non
solo l’attività sportiva, come avviene adesso, ma anche la malattia. A questo proposito, sto proponendo alla mia Università,
la Cattolica, di assicurare i giovani che si iscrivono. Così in caso di malattia, potrebbero avere una sorta di “bonus”
di denaro che gli permetta di restare “fermi” per un anno e pensare solo a guarire dalla malattia. Quando i giovani
si ammalano è una perdita per tutta la società. In particolare, nella fascia tra i 14 e i 30 anni esiste una maggiore
instabilità nel lavoro, quindi diventa più difficile riprendere una vita normale una volta sconfitta la malattia.
Fortunatamente i tumori nel giovane hanno un tasso di guarigione molto elevato, nella maggior parte dei casi superiore al 40%. È
quindi interesse non solo della persona malata e della famiglia, ma dell’intera società aiutare i giovani non solo
nel fornire loro le cure più appropriate, che spesso sono estremamente costose e impegnative, ma anche aiutarli nel reinserimento
pieno nella società".
Durante il convegno romano, si è affrontato anche un altro tema delicato e di grande impatto sociale, quello della conservazione
della fertilità, che è stato affrontato in modo specifico dalla Dottoressa Federica Sorà e dal Professor Paolo
Scirpa.
"Questa sessione del convegno ha avuto una notevole importanza anche dal punto di vista etico e psicologico attraverso l’intervento
di Monsignor Ignacio Carrasco De Paula, Direttore dell’Istituto di Bioetica all’Università Cattolica".
La leucemia
La leucemia è un tumore delle cellule del sangue. Le cellule normali che si ritrovano nel sangue, globuli rossi, globuli
bianchi e piastrine, prendono origine da cellule immature, dette anche cellule staminali o blasti, che si trovano nel midollo osseo,
cioè in quella parte di tessuto spugnoso contenuto all’interno delle ossa. Nelle persone affette da leucemia vi è
una proliferazione incontrollata di queste cellule, che interferisce con la crescita e lo sviluppo delle normali cellule del sangue.
La leucemia può essere acuta o cronica. Il termine leucemia acuta si riferisce alla rapidità di insorgenza dei sintomi
e della progressione della malattia che, se non curata, può condurre a morte in breve tempo, a differenza della leucemia
cronica il cui decorso è in genere molto meno tumultuoso. Sebbene i casi di leucemia mieloide acuta siano sostanzialmente
rari, 2-3 casi per 100 mila abitanti, ha un grandissimo impatto sulla popolazione, in quanto è una malattia a prognosi altamente
sfavorevole.
Le leucemie acute e croniche
Come abbiamo detto, le leucemie vengono comunemente distinte in acute e croniche, sulla base della velocità di progressione
della malattia. Nella leucemia acuta il numero di cellule tumorali aumenta più velocemente e la comparsa dei sintomi è
precoce; nella leucemia cronica invece le cellule maligne tendono a proliferare più lentamente. Con il tempo, però,
anche queste ultime diventano più aggressive e provocano un aumento delle cellule leucemiche all’interno del flusso
sanguigno. Un’altra importante distinzione riguarda le cellule da cui prende origine il tumore. La cellula staminale, durante
le varie fasi di maturazione, da origine a cellule di tipo mieloide e cellule di tipo linfoide: da queste si differenzieranno successivamente
i globuli rossi o eritrociti, le piastrine e i globuli bianchi (leucociti e linfociti). Pertanto avremo quattro tipi comuni di leucemia:
la leucemia linfoblastica acuta (LLA), la leucemia linfocitica cronica (LLC), la leucemia mieloide acuta (LMA) e la leucemia mieloide
cronica (LMC). Esistono poi altri tipi di leucemia più rari.
Chi colpisce?
I tumori delle cellule del sangue sono molto più frequenti nell’età infantile rispetto a quella adulta. Le leucemie
acute, in particolare, rappresentano il 25 per cento di tutti i tumori dei bambini e si collocano quindi al primo posto. Tra le
leucemie acute, la leucemia linfoblastica è il tipo più frequente nei bambini, ma può anche colpire gli adulti;
anche la leucemia mieloide acuta si può presentare sia in età infantile sia in età più avanzata. Le
leucemie croniche sono invece più caratteristiche dell’età adulta.
Fattori di rischio
Gran parte delle leucemie che insorgono in età pediatrica dipendono da anomalie del DNA, sia a livello dei cromosomi, come
accade nella leucemia mieloide cronica, sia a livello di singoli geni.
Inoltre alcune malattie, come la sindrome di Down, sono collegate a un rischio da 10 a 20 volte superiore di sviluppare una leucemia
nei primi dieci anni di vita.
Per quanto riguarda gli adulti, esiste un collegamento tra l’esposizione a dosi massicce di radiazioni e alcuni tipi di leucemia.
Esiste inoltre un’associazione con l’esposizione a sostanze come il benzene e la formaldeide, utilizzate nell’industria
chimica. Infine altri fattori di rischio che sono noti con certezza sono la chemioterapia e la radioterapia, effettuate in precedenza
per curare altre forme tumorali.
I sintomi
La leucemia cronica può non dare sintomi nelle fasi iniziali mentre nella leucemia acuta i sintomi si presentano precocemente
e possono peggiorare con rapidità. I disturbi dipendono innanzitutto dalla diminuzione delle cellule mature nel sangue, cosicché
si potranno avere: astenia, palpitazioni, difficoltà di respiro, febbre ed infezioni, sudorazioni notturne, stanchezza e
affaticamento, mal di testa, dolori ossei e articolari, perdita di peso, ecchimosi ed altre manifestazioni emorragiche da mancanza
di piastrine, rigonfiamento di linfonodi, in particolare del collo e sotto le ascelle.
Possono esserci disturbi dovuti anche all’accumularsi dei linfoblasti anomali nel midollo, nel sangue o in altri organi. Talvolta
la leucemia può coinvolgere anche lo stomaco, l’intestino, i reni e i polmoni. I disturbi e i sintomi sono variabili
da paziente a paziente e possono essere variamente combinati, perché il tipo di cellule mancanti e la gravità del
deficit sono molto diversi da caso a caso.
I linfomi
I linfomi, ovvero tumori maligni che hanno origine da una degenerazione dei globuli bianchi o linfociti nel sistema linfatico, a
sua volta parte del sistema immunitario, sono oggi al terzo posto nella classifica dei tumori con la più rapida crescita
annua. I dati dell’Oms palano di un trend di crescita, a livello mondiale, che supera il 5 per cento annuale con un’incidenza
di 10-18 nuovi casi ogni 100mila abitanti. Quando parliamo di linfomi vanno però distinte due diverse categorie: i Linfomi
di Hodgkin e i Linfomi non Hodgkin. Quest’ultimo tipo, il più diffuso, e' attualmente al quarto posto tra tutti i tumori,
con 12.000 nuovi casi ogni anno solo in Italia.
A loro volta i Linfomi non Hodgkin si distinguono in una serie di altre varianti molto diverse anche le une dalle altre. Tra queste
le due più caratteristiche e più importanti sono i linfomi a bassa malignità e quelli ad alta malignità.
Ci sono stati in questi ultimi anni progressi interessanti.
Linfomi di Hodgkin
È una forma di neoplasia del sistema linfatico. Si caratterizza per la presenza nel contesto della massa linfonodale di alcuni
elementi neoplastici, peculiari di questa forma (cellule di Reed-Sternberg e cellule di Hodgkin) accanto a normali cellule di verosimile
natura reattiva.
Negli ultimi anni c’è stato uno stimolo sempre maggiore nel cercare di ridurre quelli che erano gli effetti collaterali
delle terapie. Un fatto confermato negli stadi iniziali, dove si è visto che due o tre mesi di una chemioterapia associata
a un brevissimo trattamento radiante è in grado di guarire oltre il 95% de casi. Rispetto al passato questo risultato si
è ottenuto riducendo la durata del trattamento. Per quanto riguarda la malattia avanzata, più estesa, dove si otteneva
già la guarigione ma solo nel 70-80% dei casi, in questi ultimi anni l’atteggiamento è ricorrere a chemioterapia
più intensiva per cercare di ottenere il miglioramento della probabilità di guarigione. Arrivare anche nelle malattie
degli stadi più avanzati a una probabilità di guarigione che raggiunga l’80-90%. E alcuni risultati preliminari
di diversi schemi chemioterapici sembrano orientati sulla possibilità di ottenere questo tipo di risposte, mediante l’utilizzo
di chemioterapie un po’ più aggressive.
Sono cambiati, dunque, gli schemi di chemioterapia: ci sono farmaci nuovi e vengono somministrati in maniera diversa rispetto agli
schemi standard (si sono cioè accorciati i tempi di somministrazione della chemioterapia per ottenere una maggiore intensità
e un risultato più valido in termini curativi). Contemporaneamente a questo si è visto che adoperando una chemioterapia
più aggressiva probabilmente si può ridurre l’entità della radioterapia se non addirittura evitarla.
E siccome la radioterapia può avere degli effetti collaterali importanti a lunga distanza, innegabilmente si è ottenuto
un miglioramento dal punto di vista degli effetti collaterali.
Linfomi Non Hodgkin
Sono un gruppo eterogeneo di neoplasie che hanno origine dai linfociti B e T.
Questa eterogeneità dipende dai diversi aspetti istologici, dalla diversa sede di localizzazione, dall’età del
paziente, e dalla tendenza del linfoma a rimanere localizzato o a disseminarsi nell’organismo.
Il problema è diverso se si parla di Linfomi non Hodgkin ad alta malignità o a bassa malignità.
Per i linfomi a bassa malignità ancora oggi vale la regola che il primo trattamento non deve essere un trattamento aggressivo.
Sono malattie in cui è difficile ottenere la guarigione e che sono tendenzialmente croniche. Si tende, dunque, almeno all’inizio,
a somministrare una cura relativamente blanda riservando eventuali procedure più aggressive, compreso il trapianto autologo
o allogenico, solo ai casi di pazienti giovani in ricaduta.
C’è un protocollo internazionale, basato sull’utilizzo dei radioimmunoconiugati: consiste nella somministrazione
di un anticorpo (Zevalin) composto da elementi che hanno il compito di riconoscere le cellule ammalate e da altri, radiomarcati,
che si legano alle cellule malate e, con un meccanismo radiante, le uccidono insieme alle cellule circostanti in un raggio di 10
millimetri. Da qui l’efficacia della terapia anche sulla “malattia residua minima”, probabilmente responsabile
delle recidive di malattia.
Per quanto riguarda l’ultima categoria, quella dei linfomi ad alto grado di malignità, le novità principali
consistono nell’utilizzo di un anticorpo monoclonale (il Mabthera) che unito alla classica chemioterapia dei linfomi follicolari
permette di guarire un 5-10% in più di pazienti. I Linfomi non Hodgkin hanno una serie di dieci, quindici varianti (tra cui
il linfoma mantellare, quello di Malt, il linfoma linfoblastico) che richiedono dei trattamenti altamente specifici. Queste varianti
complessivamente non rappresentano più del 10-15% di tutti i Linfomi non Hodgkin, ma bisogna tener presente che i linfomi
per ragioni metodiche e diagnostiche, sono una patologia da dover essere seguita presso strutture specialistiche.
Chi colpisce?
Ogni anno in Italia circa 3000 persone contraggono il linfoma di H, mentre il linfoma Non H colpisce 11mila persone in particolare
anziani. Il linfoma di Hodgkin (LH) è un tumore relativamente raro, ma la sua incidenza è in aumento. Rappresenta
il 30-40 per cento di tutti i linfomi maligni. Sono considerati più a rischio di malattia i giovani fra 20 e 30 anni e gli
anziani con età superiore a 70 anni, ma esistono casi anche nell’infanzia. I linfomi non Hodgkin sono un gruppo eterogeneo
di tumori, che può derivare dalle ghiandole linfatiche, ma anche al di fuori di esse; nel 30 per cento dei casi, infatti,
questa malattia può insorgere in organi quali stomaco, intestino, cute e sistema nervoso centrale.
Sono tumori tipici dell’età adulta: la possibilità di ammalarsi aumenta con l’età e arriva quasi
a una frequenza di 1 su 1.000 nelle persone con età superiore ai 70 anni. Esistono comunque casi in età pediatrica
e giovanile. L’incidenza è in aumento in varie parti del mondo, in seguito ai progressi diagnostici e alla diffusione
dell’Aids, che è una causa importante di linfoma non Hodgkin.
I sintomi
A volte il linfoma è asintomatico, così che è difficile formulare in tempi rapidi una diagnosi. E’ consigliabile
rivolgersi ad un medico nel caso ad esempio, di un ingrandimento linfonodale o della comparsa di una tumefazione a carico di organi
diversi. Va tenuto presente che nei casi dubbi l’unica possibilità diagnostica è rappresentata dalla biopsia
della tumefazione sospetta.
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