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Nuovi orizzonti per la cura della carcinosi peritoneale
Annalisa Cretella, N. 4 aprile 2008
Una nuova tecnica di intervento, che consiste nell’associare la chemioipertermia intraperitoneale alla chirurgia citoriduttiva,
ha modificato l’approccio terapeutico di una delle malattie con prognosi più sfavorevole: la carcinosi peritoneale.
Sono, infatti, quadruplicate, aumentando da pochi mesi fino a oltre cinque anni, le possibilità di sopravvivenza per chi
si ammala di tumore al peritoneo, tessuto che circonda e racchiude l’addome, la pelvi, il fegato, la milza, lo stomaco, l’intestino
tenue, l’appendice, il colon, il retto, l’utero e le ovaie.
A cambiare la tendenza di una prognosi tra le più infauste, per i malati con una neoplasia dello stomaco, del colon, dell’appendice
e dell’ovaio, è stata la sperimentazione di questa nuova tecnica di intervento, diffusa in alcuni centri italiani,
meno di dieci, tra i quali la Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, dove il Responsabile per i tumori peritoneali,
Marcello Deraco, la utilizza fin dal 1994. Con il suo aiuto abbiamo approfondimento l’argomento.
Prima approcciare la nuova metodica è necessario, però, fare un accenno alla carcinosi peritoneale (CP). Si tratta
di un evento che interessa in particolare l’evoluzione delle neoplasie degli organi dell’area addomino-pelvica. Questi
tumori tendono a crescere progressivamente arrivando a infiltrare la “membrana di rivestimento”, il peritoneo appunto.
Quando questo accade, le cellule neoplastiche si distaccano dalla massa tumorale e cadono libere nell’addome dando origine
alla formazione della CP, con conseguenze molto gravi e una prognosi spesso sfavorevole.
La CP è stata considerata per anni una patologia non curabile. L’intervento chirurgico d’asportazione della neoplasia
spesso falliva a causa della presenza di una recidiva o a livello locale o sulla superficie peritoneale.
Le sperimentazioni dell’ultimo decennio dimostrano che utilizzando questo approccio innovativo che combina la chirurgia citoriduttiva
con la chemioipertermia intraperitoneale, è possibile fermare la progressione della malattia a livello del peritoneo.
Dottore, parliamo di questa nuova metodica, la peritonectomia.
"La peritonectomia è senza dubbio il trattamento più innovativo, che si sta consolidando da una quindicina di
anni. Fino a questo momento, non c’è nulla di più vantaggioso. Dopo anni di ricerche è stato possibile
individuare i pazienti che rispondono in maniera più soddisfacente alla cura.
I risultati più recenti in questo ambito consentono di selezionare meglio i pazienti che possono essere curati. Un punto
di svolta è il meeting che si è tenuto a Milano lo scorso anno, dove 350 esperti mondiali di questa metodica si sono
riuniti e hanno trovato un “linguaggio comune”. Prima c’erano vari modi di interpretare sia la cura in sé,
sia l’applicazione della stessa alle patologie. Adesso invece, c’è un agreement su “come” e “quando”
si utilizza. E tutto questo grazie all’esperienza, che ci conduce verso una sempre più facile selezione dei pazienti.
Stiamo trattando di patologie neoplastiche che al peritoneo arrivano da altri organi, oppure che nascono dallo stesso peritoneo.
Il concetto vecchio è che il peritoneo è un foglietto. Il concetto nuovo che si è affermato è che il
peritoneo ha davvero una funzione di organo e come tale, come tutti gli altri organi, può avere dei tumori primitivi e dei
tumori secondari
Tra i primitivi, il più frequente è il mesoteliona, tumore che colpisce la pleura e il peritoneo. E’ raro ma
anche in continua crescita: a causa dell’esposizione all’amianto nel secolo scorso, da qui ad una decina di anni sarà
4 volte maggiore il numero di ammalati di mesotelioma rispetto alla situazione attuale (in una ricerca effettuata fra i lavoratori
delle ferrovie italiane, per esempio, i casi sono passati da 31 nel 1989 a 186 nel 1999).
I tumori secondari, i metastatici, si chiamano carcinosi. Quasi tutti i tumori del nostro corpo possono arrivare al peritoneo. Quelli
che ci arrivano più facilmente sono quelli che originano da organi che sono localizzati nella cavità addominale. Però
anche gli altri organi possono dare delle metastasi al peritoneo, attraverso il sangue, per esempio".
Per quali tumori si può ricorrere a questa tecnica?
"La cerchia si restringe ai tumori gastro-intestinali e ovarici, tra i secondari. Mentre tra i primitivi il mesotelioma, rimane
quello curato nella quasi totalità dei casi.
Ci occupiamo principalmente di quelli che originano nella cavità addominale perché gli altri sono troppo aggressivi
per essere trattati con questa metodica. Per esempio, un tumore della mammella che metastatizza al peritoneo non lo trattiamo. Da
escludere anche alcuni tumori che, seppure locati nella cavità addominale, sono molto aggressivi: tra questi quelli alle
vie biliari, al pancreas e al fegato con metastasi al peritoneo".
Quali sono i risultati?
"I risultati sono eccellenti, in particolare per due tipi di tumori: per il mesotelioma e i tumori dell’appendice. E’
ormai consolidato il concetto che si trattano con questa metodica.
Il MESOTELIOMA è raro, ma temibile. Grazie a nuove tecniche chirurgiche e a particolari trattamenti chemioterapici
“locoregionali”, quando il mesotelioma colpisce il peritoneo è oggi curabile in circa i due terzi dei casi.
Il trattamento che viene proposto per il mesotelioma è molto “aggressivo”. Secondo i primi dati, con il trattamento
che combina l’intervento chirurgico con un particolare tipo di chemioterapia, la “chemioipertermia intraperitoneale”,
si è passati a più del 50% di sopravvivenza a 5 anni (questo significa che è cambiata la storia naturale del
mesotelioma peritoneale con questa metodica). Prima, con la chemioterapia, i pazienti avevano una mediana di sopravvivenza di dodici
mesi, adesso il 50% guarisce. Queste persone, se trattate con la terapia tradizionale, non avrebbero avuto alcuna speranza.
Per l’APPENDICE e per alcuni tipi di tumore che danno una sindrome pseudomixoma peritonei avevamo una mediana
di vita di 3 anni circa, perché sono a lenta evoluzione anche quando la prognosi non da scampo. Con la metodica si è
passati a sopravvivenze dell’80% a 10 anni. E quindi anche in questo caso la storia naturale della malattia è cambiata.
Comunque, siamo nell’ambito dei tumori rari, con numeri piccoli: la vera “partita” si gioca nelle carcinosi del
colon e su quelle dell’ovaio.
Sul COLON ci sono studi che confermano un passaggio da mediane di sopravvivenza di 12 mesi con la chemioterapia,
fino a 32 mesi con la metodica. Sopravvivenze, dunque, doppie o triple con il trattamento di peritonectomia e chemioipertermia.
E’ un vantaggio enorme che interessa un numero significativo di persone: in Italia i tumori del colon sono circa 40 mila.
Sull’OVAIO i risultati sono buoni sia sul medio stadio di avanzamento sia sui pazienti molto avanzati. Questo
ha indotto la comunità scientifica a introdurre il trattamento anche nella fase iniziale.
Riguardo allo STOMACO i risultati per ora non sono molto incoraggianti. Questo anche perché spesso si arriva
tardi, in stadio avanzato, alla diagnosi. Attualmente sappiamo che ci sono buoni risultati sui pazienti con tumore dello stomaco
con pochissima carcinosi peritoneale, cioè poca malattia. Un paziente con tumore avanzato ha scarse probabilità di
rispondere a questa metodica".
Quali pazienti è meglio curare?
"I pazienti che meglio potranno beneficiare di questo trattamento sono quelli che hanno un grado istologico non molto aggressivo.
Quindi, una buona biologia del tumore, non eccessivamente aggressiva e nei quali è possibile citoridurre coloro che non hanno
tantissima malattia: sto parlando di quelle persone che, in un range da zero a 40, hanno un indice di carcinosi peritoneale di 20
al massimo.
Per l’ovaio, visto che i risultati per gli stadi medi e avanzati sono buoni, c’è un consenso internazionale per
portare questo tipo di trattamento in prima battuta, facendolo diventare il primo intervento. Però dobbiamo ancora dimostrarne
l’efficacia per questi casi. Stiamo proponendo uno studio randomizzato che ci porti a capire se effettivamente questo trattamento
funziona anche in prima battuta.
Un gruppo di pazienti sarà trattati con la peritonectomia, con la citoriduzione completa e con la chemiotertermia intraperitoneale.
Un altro gruppo verrà sottoposto al trattamento classico, caratterizzato da chirurgia ginecologica più chemioterapia
sistemica, pratica, quest’ultima, al quale sarà sottoposto anche il primo gruppo".
Per chi non è indicata la nuova tecnica?
"Il paziente deve essere in buone condizioni perché deve sopportare un intervento pesantissimo.
E non deve avere metastasi al di fuori dell’addome, ad esempio polmonare. Dunque, sono esclusi i pazienti in cui la malattia
è molto avanzata e quelli che non sono valutati completamente come citoriducibili, nei quali cioè non è possibile
portare via tutta la malattia".
Come si svolge l’intervento?
"L'intervento, che occupa un’intera giornata (in media dura 10 ore in un team già ben allenato), prevede l’asportazione
di tutto il peritoneo parietale e di diversi organi addominali. Può essere necessario togliere lo stomaco, la milza, parte
del colon, il retto, la cistifellea e, nella donna, l’utero e le ovaie.
La peritonectomia consente di togliere tutto il tumore o di lasciarne un minimo residuo, che può essere poi aggredito con
la chemioipertermia intraperitoneale, il cui scopo è appunto quello di eliminare eventuali cellule tumorali libere in addome.
La metodica, dunque, si compone di una parte chirurgica, che consiste nella citoriduzione macroscopica, ossia nell’asportazione
di tutta la malattia visibile, e di una parte medica, che implica la chemiopertermia peritoneale. Dopo l’intervento il paziente
viene trattato con chemioterapici sciolti in una soluzione riscaldata ad elevata temperatura (il calore aumenta l’azione del
farmaco).
L’intervento presuppone decisioni da adottare mentre si procede nel progressivo avvicinamento ai vari organi. Si fa una prima
valutazione per determinare “quanta” malattia tumorale è presente, un calcolo che serve a definire l’indice
di carcinosi peritoneale. La seconda parte dell’operazione prevede la chemio-ipertermia intraperitoneale: l’ipertermia
ha un effetto diretto contro il tumore, mentre i chemioterapici oltre ad agire sul tumore, esercitano un’azione maggiore grazie
all’ipertermia che facilita l’accesso del farmaco all’interno delle cellule.
Con la cito riduzione microscopica, si uccidono le cellule che sono libere nell’addome e che non sono visibili. Con la chemiotertermia
si va proprio a sterilizzare queste cellule libere che rimangono nell’addome alla fine dell’intervento. La chemioipertermia
offre la possibilità di sfruttare da un lato l’effetto del calore che, oltre ad essere di per sé attivo sulle
cellule neoplastiche, favorisce l'ingresso nelle cellule di alcuni farmaci e la loro attività antitumorale, dall'altro consente
di utilizzare i farmaci antitumorali a dosi centinaia di volte (in qualche caso mille) superiori a quelle utilizzabili quando le
stesse medicine sono somministrate per endovena. Il tutto con una minima incidenza di effetti indesiderati generali. Le complicanze
sono ridotte al minimo arrivano a circa il 12% dei casi, e la mortalità conseguente all’intervento si riduce a meno
dell’1%.
L’intervento richiede mediamente 23 giorni di ricovero, di cui 2 o 3 in terapia intensiva, con un costo per l’ospedale
intorno ai 35 mila euro. Altro aspetto importante da sottolineare è che questa metodica non si pone in contrapposizione con
la chemioterapia tradizionale: le due metodiche vanno a braccetto, dunque questa terapia è un valore aggiunto.
Quando la patologia tumorale è localizzata al colon, allo stomaco e all’ovaio, non sempre occorre la peritonectomia
completa, mentre è particolarmente indicata per il mesotelioma peritoneale e lo pseudomixoma dell’appendice, situazioni
in cui viene asportato tutto il peritoneo. Si procede, cioè, a quell’intervento che in gergo tecnico si definisce “stripping”:
si utilizza un bisturi elettrico dotato, nella parte terminale, di una pallina che consente di individuare il cosiddetto piano di
clivaggio tra il peritoneo e la fascia, senza il rischio di tagliare più del dovuto".
Per informazioni: telefonare al numero 0223902362
O consultare il sito www.marcelloderaco.it
I numeri
Sono circa 60 mila all’anno i casi di tumori gastro intestinali e ovarici in Italia.
Di questi, possono essere condotti al trattamento più o meno il 10%. Ciò significa che ogni anno in Italia potremmo
curare circa 5 mila pazienti.
Con questa tecnica, che è attualmente impiegata in circa 130 centri europei, 20 italiani e 35 statunitensi, la rimozione
chirurgica dei tessuti colpiti dal tumore (mesotelioma o carcinosi peritoneale) viene affiancata dalla “chemioipertermia intraperitoneale”,
una sorta di chemioterapia che unisce ai farmaci l’azione del calore. La temperatura aggiunge la possibilità di far
penetrare il chemioterapico più in profondità nel tessuto malato; in più, aumenta la capacità del medicinale
di uccidere le cellule del tumore. Un trattamento di questo tipo, ha una durata media di circa 12-14 ore, ma può andare oltre.
Ed è pesante sia per l’equipe di medici sia per il malato, che per questo deve essere in buone condizioni. Il paziente
ha poi bisogno di una degenza di tre settimane.
Il costo di questa metodica è alto, intorno ai 35 mila euro. Di questi solo una parte viene rimborsata dal Sistema sanitario
nazionale. Anche quest’ultimo, purtroppo. è un aspetto che limita l’estensione della metodica a tutti i centri
italiani.
Inoltre, a causa del fatto che non esiste ancora un adeguato sistema di rimborso per le strutture ospedaliere che vogliono mettere
in pratica la nuova tecnica, i centri che la adottano arrivano a lavorare in perdita. La Regione Lombardia risulta, al momento,
l’unica ad essersi mostrata disponibile quanto meno a valutare la possibilità di raggiungere un accordo su questo tipo
di intervento, per conferire un rimborso ragionevole e proporzionato ai costi.
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