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I danni del fumo passivo
Alessandra Necchi, N. 10 ottobre 1998
Sebbene un giudice americano abbia sentenziato di ricente che non è cancerogeno, il fumo passivo contiene ben 43 cancerogeni noti ed è considerato il principale dell'inquinamento indoor, specie sul lavoro. "Non si è mai dimostrato che esista un legame di causa ed effetto statisticamente significativo tra il fumo passivo e il cancro". É la sentenza con cui, a luglio, il giudice federale Thomas Osteen della Carolina del Nord ha chiuso 5 anni di liti giudiziarie fra l'industria del tabacco e l'Ente per le protezione dell'ambiente (EPA). Se la sentenza verrà confermata in Appello, il decreto di fumare nei locali pubblici, in vigore quasi ovunque negli States, sarà revocato. L'industria del tabacco è già entrata in fibrillazione. Per bocca di uno dei suoi brilalnti avvocati ha affermato che entro breve molti comuni e regioni dovranno revocare il divieto di fumare nei locali pubblici. Di diverso parere la controparte. L'EPA ha infatti dichiarato che al momento il decreto non corre alcun rischio, ed è pronta a riaffilare le armi in sede giudiziaria per difenderlo contro una sentenza che considera un sopruso. Il fumo passivo è cancerogeno, negarlo vuol dire violare un diritto civile, sostengono quelli dell'EPA. E citando la letteratura scientifica contro le manipolazioni che ne hanno fatto i fautori della sentenza, ribadisce che il fumo passivo, oltre a contenere ben 43 cancerogeni noti, è responsabile di un sensibile aumento dei rischi di cancro. Secondo gli studi citati dall'EPA il fumo passivo ha un'incidenza del 20% su tutti tumori respiratori. Nel tumore del polmone questa evidenza è diretta, mentre per i tumori respiratori più rari la stima è solo plausibile, in mancanza di studi epidemiologici sufficientemente ampi. E' certo invece che il fumo passivo non è responsabile del tumore della vescica, sebbene più del 40% dei casi di tumore della vescica siano associati al fumo attivo. Ma è bene non fermarsi soltanto ai danni cancerogeni. In termini più generali, infatti, il fumo passivo provoca una diminuzione delle capacità polmonari, caratteristica in malattie respiratorie croniche di tipo ostruttivo, quali bronchiti e polmoniti, asma ed enfisemi. Il fumo passivo è inoltre portatore di malattie cardiovascolari, sulle quali ha un'incidenza del 20%. Ciò si spiega con il fatto che, in condizioni di esercizio, più del 90% dell'ossigeno è prodotto dal cuore, la cui funzionalità è compromessa anche in presenza di una bassa percentuale di ossido di carbonio, come quella, appunto, sprigionata nell'ambiente dalla sigaretta. E ancora, il fumo passivo aumenta la probabilità di trombosi, per la funzione attiva esercitata sull'aggregazione delle piastrine del sangue. Disfunzioni delle arterie e aterosclerosi sono altre malattie sulle quali il fumo passivo esercita un ruolo diretto. Se gli effetti del fumo passivo sono così tanti e pericolosi, è perciò normale che esso sia considerato il più importante inquinante dell'aria in ambienti chiusi. A rigore di definizione, per fumo passivo (FP) si intende la contaminazione dell'ambiente e la conseguente esposizione al fumo dei fumatori e al fumo derivante dalla combustione dell'estremità della sigaretta ("fumo laterale"). Secondo uno studio condotto fra il 1988 e il 1991 negli Stati Uniti, i fumatori passivi sono al 40% bambini e adolescenti, al 37% adulti, di cui il 44% maschi e 33% femmine. In Italia la portata del fenomeno è ancora ignota. Si conosce soltanto la percentuale dei fumatori attivi: 38% uomini e 26% donne. L'esposizione a FP è estremamente frequente in casa di fumatori, negli ambienti di lavoro e nei locali pubblici dove non sono in vigore divieti. L'esposizione più insidiosa avviene senza dubbio al lavoro. In ufficio o in fabbrica chi non fuma oltre a essere in netta minoranza, è sottoposto a un'esposizione continua che si protrae per tutta la giornata lavorativa. Secondo uno studio del 1992 il valore di nicotina assunto dai non fumatori sul lavoro passa da un minimo di 0,3 microgrammi per m3 nelle aziende dove è vietato fumare, a un massimo di 8,6 nelle aziende senza divieto. Il che porta a concludere che là dove sono state introdotte norme antifumo, il personale, volente o nolente, si adegua. In Italia, le principali novità a livello legislativo contro il fumo sono contenute nella 626/94, che è una legge sulla tutela dell'igiene e della sicurezza nei luoghi di lavoro. La legge stabilisce, con vari decreti a integrazione, che negli ambienti di lavoro è necessario un ricambio d'aria adeguato ai metodi di lavorazione e agli sforzi degli occupati. Contro i cancerogeni ciascuna azienda deve, per legge, emettere un documento sulla valutazione del rischio specifico e delle misure di prevenzione e protezione che intende adottare. La misurazione delle sostanze cancerogene, comprese quelle dei composti del tabacco, viene effettuata con apposite apparecchiature. Se il datore di lavoro non rispetta gli obblighi della 626/94 in materia di igiene e sicurezza previste dal settore produttivo di appartenenza, incorre in reati penali. Ai servizi di Prevenzione e Sicurezza delle Aziende sanitarie locali spetta il compito di vigilare che gli obblighi di legge vengano rispettati. Contro l'inquinamento indoor le aziende devono garantire un adeguato ricambio d'aria, all'occorrenza attraverso sistemi di aerazione artificiale. In particolare, devono assicurare che l'aria nei locali chiusi sia priva di inquinanti cancerogeni, tra i quali i derivati dal fumo di tabacco. A tutela dal fumo passivo, l'articolo 33 comma 10 prescrive che nei locali adibiti al riposo - obbligatori quando la sicurezza e la salute dei luoghi di lavoro lo richiedono in base al tipo di attività svolta - "si devono adottare misure adeguate per la protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo". La soluzione più idonea contro i cancerogeni del fumo è senza dubbio il divieto di fumare. Vi sono poi soluzioni di tipo compromissorio, quali l'adozione di sistemi per il ricambio d'aria, che vanno bene finché il numero di fumatori o di sigarette fumate complessivamente non aumenta rispetto alle previsioni.
1988-1991 Stati Uniti i fumatori passivi sono stati: 40% bambini e adolescenti, 37% adulti, di cui il 44% maschi e 33% femmine. In Italia si conosce soltanto la percentuale dei fumatori attivi: 38% uomini e 26% donne.
Perché i giovani fumano Quali sono i motivi che spingono un giovane al fumo? Secondo statistiche effettuate proprio su questo specifico argomento, cio che spinge i giovani sulla strada del vizio del fumo risiede nelle seguenti motivazion: Minimizzazione dei rischi; esposizione alla pubblicità e alla promozione del tabacco; modello fornito dagli adulti; influenza esercitata dai coetanei.
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