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Diabete: quanta confusione
Cristina Sampiero, N. 1/2 gennaio febbraio 2000
La storia del diabete si è via via costellata di forzature dietetiche anche empiriche ed irrazionali. La proibizione assoluta del saccarosio (comune zucchero da cucina) ha assunto caratteri dogmatici fino al punto che, ancora oggi, molti diabetici e non pochi medici identificano in questa specifica limitazione tutto il problema dietetico, incorrendo poi in una serie di errori che si ripercuoteranno, in maniera ben più grave, sull'equilibrio metabolico e, indirettamente, sulla comparsa ed aggravamento delle tipiche complicanze di questa malattia. Già agli inizi del '900 si era dimostrato che la sola riduzione della quota glucidica , senza correzione dell'apporto calorico, non migliora ma semmai peggiora la tolleranza glucidica. E' utile quindi riassumere presupposti e conclusioni che consentano la redazione, ma soprattutto l'attuazione di regimi alimentari corretti in caso di diabete. Per prima cosa è necessario stabilire la quota proteica che deve essere intorno al 10 - 15%. Un apporto maggiore determinerebbe un sovraccarico renale che potrebbe essere giustificato solo per periodi temporanei di regimi particolarmente ridotti in calorie. Una volta normalizzato il peso è però necessario riportare entro i suddetti limiti l'apporto proteico visto che proprio i pazienti diabetici hanno un elevato rischio di nefropatia. Dal punto di vista della qualità delle proteine vanno via via assumendo sempre maggiore importanza quelle vegetali che risultano avere meno responsabilità aterogene rispetto a quelle animali. Una volta stabilita la quota proteica tocca ai grassi che devono aggirarsi prudenzialmente intorno al 25 - 30% anche perché al di sotto di questa quota percentuale la fattibilità della dieta si riduce drasticamente portando all'abbandono del regime in tempi brevi. All'interno della categoria dei grassi bisogna privilegiare gli oli nei confronti di burro e margarine, come pure il pesce nei confronti di carne uova e formaggi. Stabiliti i primi due obiettivi rimane il terzo (i tanto controversi zuccheri) che, a conti fatti, non possono non essere meno del 50 - 55% dell'apporto energetico totale. Fino a pochi anni fa la quota glucidica nel diabete era ristretta esclusivamente a cibi amidacei con esclusione degli zuccheri semplici detti "a rapido assorbimento", con tolleranza per qualche frutta (generalmente mele) e verdure a foglia. La proibizione era assoluta, come già accennato, per saccarosio e dolciumi. Oggi la suddivisione tra zuccheri semplici e complessi ha perso gran parte del suo significato grazie alle nuove conoscenze sull'indice glicemico inteso come diverso impatto dei singoli cibi sulla glicemia e sull'insulinemia. Questo diverso impatto è determinato da molteplici fattori quali manipolazioni tecnologiche dei cibi, influenza della cottura, la presenza di fibre, la presenza di antinutrienti e le interazioni con grassi, proteine e sodio. Gli studi sull'indice glicemico hanno ampliato le conoscenze sulle interazioni dei nutrienti e da qui nasce la maggiore liberalizzazione alimentare che ha portato ad esempio alla concessione di piccole quantità di zuccheri semplici purché assunti nell'ambito di un pasto misto. Infatti, i grassi rallentano lo svuotamento gastrico e quindi modulano l'assorbimento anche dei carboidrati semplici assunti contemporaneamente ma è però anche vero che sia grassi che proteine aumentano la risposta dell'insulina rispetto a quanto avrebbe fatto lo stesso cibo assunto da solo. Quindi bisogna comunque muoversi con cautela tra le concessioni evitando che i diabetici poco informati confondano una concessione ragionata con pericolose semplificazioni del problema alimentare. Quindi zuccheri semplici sì, ma senza superare il 15 - 20% degli zuccheri totali perché questo significherebbe innescare ripercussioni metaboliche quali ad esempio l'ipertigliceridemia che è quasi sempre indicativa di obesità e diabete scompensato. Altro aspetto rilevante è quello del frazionamento dei pasti per un'adeguata ripartizione calorica nella giornata in modo che gli alimenti a più alto contenuto glucidico non vengano assunti isolatamente. In linea generale si consigliano tre pasti e due spuntini ai diabetici insulino-dipendenti e solo tre pasti ed uno spuntino ai diabetici non insulino-dipendenti. Tale strategia dovrà essere adattata agli stili di vita dei singoli individui ma è un'importante traguardo da raggiungere per evitare sovraccarichi e/o ipoglicemie. Sono sconsigliabili bibite e succhi di frutta che in genere hanno abbondanti quantità di zuccheri semplici; sono noti i pericoli legati all'alcol per le crisi ipoglicemiche ma ai diabetici non in sovrappeso è consentita l'assunzione di modeste quantità di vino secco ai pasti. La birra, diversamente dal vino ha un discreto contenuto di zuccheri semplici (circa il 3%) di cui il paziente deve essere consapevole per regolarne l'assunzione (preferibilmente ai pasti e non a digiuno). La prescrizione della frutta va sempre fatta nei limiti prefissati degli zuccheri semplici ma non deve essere ristretta a poche specie, come in passato è avvenuto per le mele; non si devono neanche demonizzare frutti quali le banane poiché una banana media una volta sbucciata non apporta più zuccheri di una grossa mela. Inoltre, se non è troppo matura, la banana contiene una discreta quantità di amido non ancora trasformato in zuccheri e quindi non assorbibile se non dopo cottura. E' opportuno aumentare le fibre perché un'alimentazione tendenzialmente vegetariana è certamente vantaggiosa per i diabetici sia per la presenza di fibre che per il ridotto quantitativo di proteine animali. L'apporto di sale deve essere ridotto in tutta la popolazione secondo le raccomandazioni delle linee guida ma non ci sono fondate ragioni per esasperare questa indicazione nei diabetici. Infine non vi è alcun bisogno di proporre ai diabetici degli alimenti speciali come la cioccolata, i biscotti o altri dolci "per diabetici" che alla riduzione o sostituzione dello zucchero con prodotti non meno discutibili associano il difetto di avere talvolta un più alto tenore di grassi oltre all'ingiustificato sovrapprezzo. Nessun problema per l'aspartame in quantità ragionevole ma se l'uso di normale zucchero rientra nel computo adeguato degli zuccheri semplici e delle calorie totali non c'è ragione di rinunciarvi.
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