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Novità sulle leucemie
Cristina Mazzantini, N. 12 dicembre 2006
Ancora una volta l'Italia è al centro dell'interesse mediatico per una scoperta che potrebbe rivoluzionare la diagnosi e la terapia della leucemia acuta mieloide. Di che si tratta? Un gruppo di ricercatori, guidati dal professor Brunangelo Falini, ordinario di ematologia e direttore del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale presso l'Università di Perugia, ha individuato i meccanismi che consentono a una proteina, la nucleofosmina (NPM), di lasciare la sua sede naturale, ovvero il nucleo dove si trova anche il DNA. Le conseguenze di tale "trasmigrazione" provocano dei danni ma soprattutto favoriscono la comparsa del "temibile" tumore del sangue. La ricerca, finanziata dall'AIRC, si è meritata la copertina della prestigiosa rivista di ematologia Blood (appena pubblicata dicembre 2006).
Presentando il lavoro alla stampa nazionale e internazionale, il professor Falini ha dichiarato: "Avevamo già capito che il gene NPM, che codifica per la nucleofosmina, era un gene chiave della leucemia mieloide acuta. Ora abbiamo chiuso il cerchio perché, utilizzando un metodo immunistochimico, abbiamo scoperto che la proteina alterata dipende da due mutazioni, ambedue poste sulla coda della proteina stessa: una le consente di slegarsi dal suo luogo di residenza normale nel nucleo, l'altra favorisce il legame con una proteina chiamata esportina, il cui compito è proprio quello di portare le altre proteine fuori dal nucleo". Il nostro esperto ha poi precisato: "In questo caso, però, il suo intervento, a causa della mutazione, è esagerato e la nucleofosmina è catapultata fuori dal nucleo nel citoplasma. Solo la presenza delle due mutazioni induce la comparsa della malattia".
Il gruppo perugino sta sperimentando in laboratorio alcune sostanze che riportano la nucleofosmina nella sua sede naturale. Purtroppo si tratta di composti molto tossici, non utilizzabili nell'uomo. "Il passo in avanti ottenuto con questi ultimi studi consiste nell'aver individuato, con estrema precisione, la parte della proteina alterata che potrà, così, diventare il bersaglio per la messa a punto di nuove cure", ha chiarito sempre il professor Falini.
Inoltre la ricerca sulla nucleofosmina è un esempio mirabile di come i risultati della biologia molecolare possano talora tradursi, anche in tempi relativamente brevi, in informazioni rilevanti sul piano clinico-diagnostico. Insomma, si va direttamente dal laboratorio al letto del paziente.
"Non sappiamo ancora come mai la nucleofosmina alterata provochi la comparsa di questa forma di leucemia, anche se abbiamo scoperto che essa attiva alcuni oncogeni e interferisce con i meccanismi di replicazione delle cellule", ha precisato l'ematologo. "In compenso, però, possiamo usare la nucleofosmina per identificare i pazienti con prognosi migliore (se il gene è mutato guariscono più facilmente), quindi per calibrare le terapie. Non solo. Se troviamo tracce di nucleofosmina mutata in un paziente già trattato con chemioterapia possiamo scoprire, rapidamente, se c'è un residuo minimo di malattia che non ha risposto alle cure, oppure se c'è una ricaduta. E intervenire con terapie più aggressive. Possiamo anche verificare attraverso questo marcatore se le chemioterapie sono utili".
In Italia la leucemia mieloide acuta colpisce quasi 3.000 persone l'anno; circa un terzo dei casi presenta la mutazione del gene NPM. "È una forma di leucemia mieloide che si manifesta a ciel sereno senza, cioè, provocare alterazioni precancerose del sangue. Per questo è particolarmente importante individuare al più presto una cura per la malattia", ha sottolineato il professor Falini. Perciò la ricerca dell'équipe perugina non potrà che essere in futuro (speriamo prossimo ma, come si sa, i tempi della sperimentazione scientifica sono relativamente lunghi per l'opinione pubblica) indispensabile, per risollevare le sorti di tutti quei malati che presentano tale mutazione genetica.
Quindi bisogna attendere ancora degli anni prima che gli studi del professor Falini e colleghi possano portare a risultati concreti. Nell'attesa è bene utilizzare le terapie diagnostiche e farmacologiche esistenti.
Se per il momento si parla di una rivoluzione futura, nel presente gli oncologi hanno a disposizione l'imatinib (il famigerato c, la molecola che ha convalidato un'efficacia senza precedenti e la tollerabilità del farmaco contro la leucemia mieloide cronica, con una percentuale di sopravvivenza superiore al 90 per cento dei pazienti trattati, con un periodo di 5 anni libero da progressione della malattia e una qualità della vita assolutamente buona.
Sono questi i dati che emergono dallo studio internazionale IRIS (International Randomized study of Inteferon and STI571). Dati sorprendenti in quanto, prima dell'avvento del Glivec, oltre la metà dei pazienti progrediva verso le fasi avanzate della malattia entro i primi tre anni, con percentuali di sopravvivenza molto basse.
Si è confermata , quindi, la grande svolta nella cura delle leucemie, che è stata celebrata a Roma in Campidoglio, in occasione della presentazione della "Giornata Nazionale per la lotta contro leucemie, linfomi e mieloma" che si è celebrata in tutta Italia. L'iniziativa, indetta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri su proposta del ministero della Salute, aveva l'obiettivo di far conoscere i progressi compiuti nella terapia dei tumori del sangue. Progressi che hanno reso queste malattie sempre più curabili e che, oggi, consentono a moltissimi pazienti di avere un futuro: grazie ai trapianti di cellule staminali e all'avvento dei farmaci intelligenti
Si è trattato di un'iniziativa realizzata con il coinvolgimento dell'AIL, per ricordare ai cittadini l'importanza che la ricerca scientifica riveste nel campo dei tumori del sangue e i grandi risultati ottenuti. "Celebriamo il "momento magico" che sta attraversando la cura di leucemie, linfomi e mieloma", ha sottolineato il professor Franco Mandelli, presidente dell'AIL nazionale. "Negli ultimi anni i risultati straordinari della ricerca, con terapie sempre più efficaci - compreso il trapianto di cellule staminali - e i farmaci "intelligenti", hanno reso queste malattie sempre più curabili". In particolare, l'avvento dell'imatinib non solo ha ridato un futuro alle persone affette da leucemia mieloide cronica, ma ha aperto una prospettiva radicalmente nuova nell'approccio a tali patologie.
"L'impiego di questa molecola nella terapia della leucemia mieloide cronica", ha aggiunto il professor Michele Baccarani, direttore del Dipartimento di Ematologia e Oncologia "L. e A. Seràgnoli" dell'Università di Bologna, "è diventato in questi anni un modello di riferimento, quasi una bandiera, nella lotta contro il cancro e le leucemie. Perché dimostra che quando conosciamo le basi molecolari dei tumori, e riusciamo a sintetizzare dei farmaci che agiscono specificamente contro queste basi molecolari, possiamo ottenere risposte eccellenti nella maggior parte dei pazienti, con una tossicità molto bassa".
La molecola è stata approvata nel 2001 dalla FDA (Ente federale americano di controllo sui farmaci) con una procedura di registrazione accelerata conclusasi in sole 11 settimane. La peculiarità di questo farmaco è la capacità di colpire in modo selettivo "come bersaglio" una specifica proteina cellulare che si esprime solo nelle cellule leucemiche, risparmiando le cellule non neoplastiche, con un'efficacia mai ottenuta prima con altri farmaci. E con una tossicità molto bassa. "Un'altra cosa che sappiamo adesso, dopo i primi cinque anni di terapia, è che la somministrazione prolungata di imatinib non dà luogo a complicazioni inattese di tipo cardiovascolare, metabolico o di altra natura"", ha osservato il professor Baccarani.
Comunque si stanno sperimentando altre molecole che potrebbero sia migliorare l'efficacia della terapia che trattare i pazienti che hanno manifestato resistenze al farmaco (circa 10% dei malati) . Insomma, la ricerca rende ogni giorno più concreta la possibilità di considerare i tumori del sangue come malattie sempre più curabili. Un risultato che deve moltissimo anche alle iniziative di un'associazione come l'AIL che ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo dell'ematologia italiana e che, da oltre 30 anni, è impegnata a raccogliere fondi per migliorare la qualità di vita dei malati e sostenere la ricerca."Purtroppo ci sono ancora molti, troppi pazienti, che non hanno una buona risposta alle terapie e che muoiono a causa di queste malattie", ha ricordato amaramente il professor Mandelli. "Dobbiamo mobilitarci, sostenendo ancora di più i grandi sforzi della ricerca, per assicurare anche a loro un futuro. Il futuro di tutti, non solo dei malati, ma anche il nostro, dipende dai risultati della ricerca".
Tutto ciò ancora non basta. Ma non bisogna disperare. Infatti, un avanzamento verso la sconfitta definitiva della leucemia mieloide cronica è da attribuire a una nuova terapia molecolare, attualmente allesame della FDA , che promette di risolvere anche quel 10% di casi che risultavano resistenti o intolleranti allimatnib. Se ne è discusso ad Amsterdam, in occasione del Congresso dellAssociazione Europea di Ematologia (EHA). La malattia - frutto della traslocazione di un frammento del gene Abl dal cromosoma 9 al cromosoma 22 e della fusione di questo frammento col gene Brc - rappresenta il 15-20% di tutte le leucemie delladulto. Letà media della comparsa è attorno ai 55 anni, meno del 10% dei pazienti ha meno di 20 anni mentre il 30% ne ha più di 60. Ogni anno, in Italia, vengono diagnosticati circa 700 nuovi casi di questa neoplasia che fino a pochi anni fa si affidava, come unico trattatamento, alla chemioterapia. Già linterferone alfa, negli anni Novanta, ha fatto fare un passo in avanti alla cura dei tumori del sangue, sia pur con pesanti effetti collaterali.Ma migliori risultati per i malati si sono stati prodotti dal trapianto di midollo che ha consentito la guarigione definitiva nel 50-60% dei casi. La vera svolta però si è avuta nel 2001, con lintroduzione del primo farmaco biologico in grado di agire direttamente sulle cause della malattia e, in particolare, sulle proteine derivate dai geni Bcr/Abl (chiamato cromosoma Philadelphia).
"Ma anche limatnib, seppur se rivoluzionario, non riesce comunque a risolvere tutti casi della leucemia mieloide cronica", ha sostenuto il professor Michele Baccarani, docente di Ematologia allUniversità di Bologna, "perché un 10% di pazienti risulta intollerante oppure resistente alla terapia (il 90% dopo 5 anni è vivo e sta bene). La ricerca ha, così, spinto sull'acceleratore fino a ottenere altri due nuovi farmaci biologici, dasatinib e nilotnib, più attivi del primo".
In particolare, il dasatinib, sperimentato in tutto il mondo e in tre centri italiani, fra cui il SantOrsola di Bologna (che ha arruolato una cinquantina di pazienti), è stato valutato con due test. Come ha precisato sempre il nostro esperto: "Uno è biochimico e uno basato sulla proliferazione cellulare, ed l'altro è risultato da 20 a 100 volte più potente dellimatinib". Dopo aver ottenuto un responso positivo della FDA, a ottobre la nuova molecola è stata esaminata dallAgenzia Europea del Farmaco (EMEA) e nei primi mesi del 2007 dovrebbe essere introdotta anche in Italia. La seconda molecola, il nilotinib, dovrebbe arrivare successivamente.
Si sa già che i nuovi farmaci saranno costosi. Così ha concluso il professor Baccarani: "Attualmente l'imatinib costa qualcosa come 25.000 euro allanno per paziente, e si sa che i nuovi pazienti sono circa 700 ogni anno. Ma siccome ora con questi farmaci i malati sopravvivono, si calcola che ogni anno ci sarà un 20% di pazienti in più a cui somministrare il farmaco, con un aumento della spesa di circa il 25% lanno".
Un legame tra artrite reumatoide e linfoma
Alcuni pazienti sofferenti di artrite reumatoide (AR) hanno un rischio superiore alla norma di incorrere in un linfoma? Le diverse terapie per lartrite reumatoide - dai comuni antinfiammatori non steroidei (FANS) ai nuovi DMARD (disease-modifyng antirheumatic drug) fino agli ancora più recenti agenti immunosoppressori (come il TNF, tumor necrosis factor) - influiscono, nel bene o nel male, su questo rischio?
Per cercare di rispondere a queste domande che da un po' di tempo assillano reumatologi e oncologi, i ricercatori della Karolinska University Hospital di Stoccolma hanno completato una vasta ricerca su 75.000 soggetti affetti da AR e, ne sono stati pubblicati i risultati sul numero di marzo 2006 della rivista Arthritis&Rheumatism. Dallanalisi statistica risulta che esiste effettivamente un collegamento fra le due patologie e che la presenza di unattività infiammatoria molto acuta e prolungata, tipica di alcune forme di artrite reumatoide, rappresenta, quando non venga adeguatamente trattata, un notevole fattore di rischio per lo sviluppo di un linfoma.
Nel caso dellartrite reumatoide di media gravità, non trattata, laumento del rischio è di otto volte, mentre nel caso di una forma molto attiva, il mancato trattamento comporta la moltiplicazione per 70 della probabilità di incorrere in un linfoma. Quanto alle terapie, nessuna di quelle standard - a eccezione della aziatioprina, per altro poco usata per lAR - risulta comportare un aumento di rischio. Neppure il metotrexato che, recentemente, è stato sospettato di favorire lo sviluppo di linfomi sorretti dal virus di Epstein-Barr (EBV). Anzi. Il rischio di linfoma era particolarmente basso nei pazienti che avevano ricevuto farmaci corticosteroidei per iniezione locale nelle giunture infiammate. Lo studio, tuttavia, non è stato in grado di fornire risposte nel caso di trattamento con TNF, per la mancanza di un numero adeguato di pazienti che avessero assunto il nuovissimo farmaco.
Una speranza per i bambini affetti da neuroblastoma
I ricercatori dellIstituto Giannina Gaslini di Genova hanno messo a punto un trattamento farmacologico sperimentale per la cura dei bambini affetti da neuroblastoma, basato sullutilizzo di un farmaco innovativo. Lo studio è stato pubblicato su Journal of the National Cancer Institute.
Il neuroblastoma è uno dei tumori più frequenti nellinfanzia. Tuttavia i pazienti sviluppano chemioresistenza nel tempo e la malattia diventa spesso fatale.
Il farmaco in questione, che possiede una potente attività antitumorale verso differenti neoplasie delladulto, è stato recentemente introdotto in un protocollo terapeutico americano di fase I per definirne la tossicità in bambini affetti da tumori solidi. Tuttavia il suo meccanismo di azione e la sua reale efficacia nel neuroblastoma infantile rimangono ancora oscuri. Gabriella Pagnan e Fabio Pastorino della Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma, Chiara Brignole, ricercatrice della Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, e Danilo Marimpietri, coordinati dal professor Mirco Ponzoni del Laboratorio di Oncologia del Gaslini di Genova, hanno esaminato gli effetti farmacologici del prodotto sulla proliferazione e sulla morte delle cellule di neuroblastoma. Le ricerche hanno portato alla scoperta che il farmaco è un efficace inibitore della crescita del neuroblastoma e dellangiogenesi tumorale ed è anche in grado di aumentare la sopravvivenza in topi rappresentanti modelli animali di neuroblastoma umano.
"È doveroso sottolineare che ulteriori investigazioni cliniche saranno necessarie affinché questo farmaco possa essere utilizzato nel trattamento terapeutico del neuroblastoma", ha spiegato il professor Ponzoni. "Attualmente sta proseguendo liter burocratico nazionale e internazionale che dovrebbe consentirci, tra circa un anno e mezzo, di usare il farmaco nel trattamento dei piccoli affetti da neuroblastoma".
Linfoma. Approvata in Europa una terapia di mantenimento
La Commissione Europea ha approvato il rituximab come terapia di mantenimento per pazienti affetti da linfoma non-Hodgkin (NHL) follicolare recidivato o refrattario, che è la forma più comune di NHL indolente. La terapia di mantenimento con rituximab riduce di quasi la metà (48%) il rischio di morte dei pazienti affetti da questa forma di NHL, rispetto alla gestione standard della malattia.
"Rituximab è un anticorpo terapeutico che si lega a una particolare proteina, l'antigene CD20, che si trova sulla superficie delle cellule B normali e maligne", ha sottolineato il professor Mario Lazzarino,ordinario di Ematologia all'Università di Pavia e direttore della Clinica Ematologica, Istituto Scientifico Policlinico San Matteo di Pavia. "Esso poi recluta le difese naturali dell'organismo ad attaccare e uccidere le cellule B marcate. Le cellule staminali (progenitrici delle cellule B) nel midollo osseo sono prive dell'antigene CD20, consentendo alle cellule B sane di rigenerarsi dopo il trattamento e di tornare a livelli normali entro alcuni mesi".
"Date la buona tollerabilità e l'assenza di effetti collaterali significativi, l'anticorpo monoclonale anti-CD20, il rituximab consente il suo impiego nel trattamento iniziale del linfoma follicolare e come mantenimento della risposta ottenuta", ha evidenziato la dottoressa Enrica Morra, direttore di Struttura Complessa Ematologia e Dipartimento Oncologico presso l'Ospedale Niguarda di Milano. "Il paziente ideale per la terapia di mantenimento", ha proseguito la dottoressa Morra, "è quello che ha raggiunto una risposta clinica parziale o completa dopo l'immuno-chemioterapia iniziale".
NHL è uno dei tumori a più rapida crescita, la cui incidenza è aumentata dell'80% a partire dai primi anni '70. "I linfomi non-Hodgkin rappresentano la forma più frequente di linfoma e costituiscono il 5% di tutte le neoplasie maligne. Circa l'80% deriva da cellule linfoidi di tipo B", ha dichiarato il professor Maurizio Martelli, direttore Medico presso l'Istituto di Ematologia e Biotecnologia Cellulare del Policlinico Umberto I di Roma. "In Italia, ogni anno, vengono diagnosticati oltre 10.000 nuovi casi di linfoma, di cui circa 9.000 appartengono al tipo non-Hodgkin".
Il NHL indolente è un tumore a sviluppo lento e i pazienti possono vivere molti anni con la malattia. Ma i trattamenti standard non possono guarirlo. "Le cause sono ancora poco definite", ha proseguito il professor Martelli. "Tuttavia l'insorgenza può essere più frequente nei soggetti con un'alterazione del sistema immunitario acquisita o congenita". L'estensione delle indicazioni si basa sugli impressionanti risultati dello studio 20981 dell'EORTC (European Organization for Research and Treatment of Cancer), eseguito in 18 Paesi di tutto il mondo e presentato alla 47a Conferenza Annuale dell'American Society of Hematology, ad Atlanta.
Indirizzi utili
Azienda Ospedaliera Universitaria - Bologna
Via Pietro Albertoni, 15
40138 Bologna
Centralino: 051 6363111
Prenotazioni/informazioni: 051 6361259
www.aosp.bo.it
oncoematologia - Prof. Michele Baccarani - 051 6363467
I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo
Viale Golgi, 19
27100 Pavia
Centralino: 0382 5011
prenotazioni/informazioni: 0382 503.878-879-151
www.sanmatteo.org
oncoematologia - Prof. Mario Lazzarino - 0382 503595
Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda Ca' Granda
Piazza Ospedale Maggiore, 3
20162 Milano
Centralino: 02 64441
Prenotazioni/informazioni: 02 6444.2777-2483-2261
www.ospedaleniguarda.it
oncoematologia - Dott.ssa Enrica Morra - 02 6444.2663-2451
Azienda Policlinico Umberto I - Roma
Viale del Policlinico 155
00161 Roma
Centralino: 06 49971
Prenotazioni/informazioni: 06 4997705.0-4
www.policlinicoumberto1.it
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