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In Italia sempre più chirurgia laparoscopica: nasce a Milano il primo Trauma Center della no touch tecnique

Monica Melotti, N. 12 dicembre 2006

Negli Stati Uniti la chirurgia laparoscopica viene chiamata la “no touch tecnique” che garantisce al malato una migliore qualità di vita sia nell’immediato post operatorio che in seguito. Diversi studi pubblicati su riviste prestigiose nel campo medico, tra cui New England, Lancet e Jama, hanno dimostrato che la chirurgia laparoscopia ha la stessa sicurezza di guarire la malattia, a cinque anni di distanza, della chirurgia tradizionale. In compenso offre numerosi vantaggi per il paziente. In Italia la chirurgia laparoscopica si sta diffondendo sempre più e in quest’ottica a Milano è stato appena inaugurato all’Ospedale San Carlo, il primo Trauma Center di chirurgia dolce, attivo 24 ore su 24.
Prevenzione Tumori è andato a visitarlo ed ha intervistato il professor Cristiano Hüscher, neo Direttore della Divisione di Chirurgia generale e d’urgenza dell’ospedale milanese.

La no touch tecnique
In Italia nello scorso anno su circa 40.000 interventi al colon, oltre 9.000 sono stati eseguiti con la procedura mininvasiva. Oltre il 22% del totale e più del doppio rispetto al 2001: allora le operazioni con la nuova tecnica erano circa il 10% del totale, cioè circa 4.000.
"La laparoscopia è indicata in molti tipi di intervento, anche in quelli complessi per il tumore al colon e al retto, intestino, fegato, esofago, stomaco, reni e pancreas", spiega il professor Hüscher. "Questa tecnica videochirurgica si avvale di una telecamera e di strumenti miniaturizzati che vengono inseriti attraverso tre-quattro piccolissimi tagli (da cinque a undici millimetri) sulla parete addominale. Rispetto alla chirurgia tradizionale, detta “open”, si evita l’ampia incisione dell’addome (25-30 centimetri), il relativo trauma e dolore, ma anche l’antiestetica cicatrice, aspetto importante soprattutto per le donne. Non solo, la degenza viene ridotta da due ad una settimana, così come la convalescenza, che scende da un mese a due settimane. La velocità nel riprendere l’alimentazione è più che raddoppiata: dopo tre giorni è possibile ricominciare a mangiare e non più dopo otto come nella chirurgia tradizionale. Le complicanze postoperatorie polmonari e di pleurite risultano diminuite di cinque volte e scendono sotto l’uno per cento, così come le infiammazioni e le infezioni alle ferite, mentre la presenza di fistole è molto più rara e l’utilizzo del “sacchetto” viene praticamente eliminato".
In caso di tumore si riducono le possibilità che si impiantino nuove cellule tumorali a seguito dell’intervento. Inoltre, grazie ai nuovi strumenti chirurgici, come il bisturi ad ultrasuoni o la suturatrice meccanica si evitano perdite di sangue, trasfusioni e lesioni interne. In pratica il tumore viene recintato e non c’è possibilità di diffusione delle cellule malate. L'uso della tecnica laparoscopica in questi interventi migliora la prognosi del paziente. La non esposizione all'ambiente esterno (contaminato da germi e batteri) della cavità addominale riduce infatti le possibilità che si impiantino nuove cellule tumorali a seguito dell'intervento.

L’evoluzione della tecnica laparoscopica
La procedura laparoscopica adotta una microtelecamera costituita da un microchip e raddoppia la definizione delle immagini ingrandendole da otto a 20 volte. E’ stato così possibile guarire una bimba di 11 mesi affetta da una grave disfunzione all’intestino che le impediva di mangiare e digerire in modo corretto. "La nuova tecnica si basa su uno strumento di tecnologia giapponese", spiega il professore. "Una microcamera costituita da un minuscolo microchip che si inserisce direttamente nel campo operatorio, in questo caso l’addome della bimba. Negli interventi di chirurgia laparoscopica effettuati alcuni anni fa la telecamera aveva dimensioni molto più grandi, era sempre esterna al paziente e riusciva a vedere il campo operatorio attraverso un tubicino (contenente un fascio di fibre ottiche) inserito in un forellino fatto sulla cute del paziente. Attraverso altri due fori cutanei erano introdotti gli altri strumenti chirurgici. La novità della nuova procedura è che la telecamera non è più esterna, ma ridotta a misure microscopiche e viene inserita nell’area dove il chirurgo deve operare, anche se resta collegata col monitor esterno attraverso fibre ottiche dentro un tubicino. Questa differenza dà risultati migliori: la microcamera mette a fuoco automaticamente, da una definizione molto più precisa da 700 linee sul monitor passa a 1500, è in grado di ingrandire da 8 a 20 volte le immagini, cosa che in chirurgia può fare solo il microscopio In pratica l’intervento è molto più preciso e veloce e in totale, compresa la preparazione, dura circa due ore".

Il futuro della chirurgia laparoscopica
La chirurgia laparoscopica si sta diffondendo sempre più in tutto il mondo. L’Italia, una volta tanto, non ha niente da invidiare alle altre nazioni, quasi l’8% dei chirurghi italiani esegue questa tecnica. Alla Mayo Clinic di Rochester verrà presentato uno studio che ha coinvolto dieci centri italiani (vedi box) che effettuano chirurgia laparoscopica. Questo studio comprende una casistica di 1850 tumori del colon e del retto che dimostrano una sopravvivenza di cinque anni e una recidiva della malattia allineata con i risultati dei migliori centri del mondo.
"Per eseguire la no touch tecnique ci vuole molto training. I chirurghi devono fare un addestramento costante", avverte Hüscher. "Due i punti chiave: il primo riguarda la tattica operatoria che deve essere studiata in maniera molto precisa, il secondo aspetto è l’addestramento manuale e della visione che passa attraverso un monitor e quindi è diversa dall’intervento open. Questo training deve essere fatto in modo preciso e quindi ci vuole un esperto che monitori l’allenamento. Per addestrare le mani esistono dei dispositivi elettronici o meccanici. Di elettronici in Italia ne esiste uno solo, mentre di meccanici ne esistono tanti. Sono dei box di plastica che riproducono la forma dell’addome e ci sono vari tipi di esercizi da fare, dalle suture ai nodi. Ci si esercita sia con le mani che con il cervello, la visione bidimensionale in effetti dà una visione diversa: la profondità del campo è calcolata dalla mente ed è frutto di esercizio. E’ una chirurgia che comporta una preparazione mentale, il chirurgo deve conoscere bene il tipo di neoplasia. Ma mediante l’imaging è possibile avere molte informazioni sul tipo di tumore". La no touch tecnique è più cara nel breve periodo, ma bisogna considerare che in futuro il costo viene ammortizzato: la degenza è più corta, la ripresa lavorativa più veloce e si evitano molte complicanze. Per diffondere maggiormente questa tecnica in Italia ci vuole una politica di preparazione. Il nostro Paese era partito prima rispetto agli altri partner europei, ma poi è rimasto indietro, perché c’è poca formazione. Addirittura in Inghilterra c’è un programma nazionale di training per avvicinare i chirurghi alla chirurgia laparoscopica.
"Io sono ottimista di natura e sono sicuro che anche da noi si diffonderà rapidamente", conclude il professore. "L’università comincia a credere della chirurgia laparoscopica e quindi diventerà materia di insegnamento. Ma questa chirurgia sta già sperimentando nuove strade per eliminare i quattro piccolissimi tagli e non usare più l’accesso della via addominale. Adesso sono già in corso delle sperimentazioni con l’accesso per via transvaginale, mentre in Giappone si utilizza la via endoluminale, utilizzando per l’accesso il lume stesso dell’arteria, raggiunto attraverso l’incannulamento di un’arteria periferica, accessibile in anestesia locale, con una puntura transcutanea o con una minincisione (arteria femorale o ascellare), attraverso la quale vengono inseriti i cateteri, le guide, gli strumenti fino a raggiungere appunto dall’interno del vaso la sede della malattia".

I Centri italiani della chirurgia laparoscopica

  • Milano, Ospedale San Carlo, professor Cristiano Hüscher - 02 4022 2719
  • Milano, Ospedale Niguarda, professor Raffaele Pugliese - 02 6444.2746-2503
  • Alessandria, Ospedale SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo, dottor Giuseppe Spinoglio - 0131 206900
  • Camposampiero (Pd), Ospedale Civile, dottor Annibale D'Annibale - 049 9324422
  • Monfalcone (Go), Ospedale San Polo, dottor Giusto Pignata - 0481 487238
  • Grosseto, Ospedale della Misericordia, professor Pier Cristoforo Giulianotti - 0564 485354
  • Roma, Ospedale Madre Giuseppina Vannini, dottor Francesco Crafa - 06 242911
  • Civitanova (Mc), Clinica Villa dei Pini, dottor Giorgio Cutini - 0733 7863340
  • Napoli, Ospedale Monaldi, dottor Francesco Corcione - 081 706.2760-2535
  • Pavia, Fondazione S.Maugeri, professor Antonio Catona – 0382.592292

Il Trauma Center di Milano
All’Ospedale San Carlo del capoluogo lombardo nasce il primo Trauma Center Italiano di chirurgia dolce, cioè mininvasiva. E’ una struttura dove arrivano pazienti che sono affetti da un’urgenza, da traumi della strada, da incidenti casalinghi, e anche da un tumore che può provocare un’occlusione intestinale. Ci sono venti chirurghi che si alternano 24 ore su 24, più un team di anestesisti e infermieri e vent’otto letti a disposizione. Tutti il personale è abituato a gestire l’urgenza. Il nuovo Centro costituirà, quindi, un punto di riferimento per i traumi infantili, ma anche per le donne e gli anziani, e, più in generale, per tutte le vittime dei traumi addominali e al torace. Sottoporsi ad un intervento in mininvasiva, infatti, permette di evitare le lunghe cicatrici frutto delle incisioni della chirurgia tradizionale. Per i più piccoli significa non portare per tutta la vita sul corpo il segno di una brutta esperienza infantile, cioè una cicatrice di 20 o 30 centimetri, per le donne scongiurare una tragedia estetica e, per i più anziani, la categoria di pazienti più deboli, ridurre il dolore di un intervento chirurgico e riprendersi più in fretta. L’utilizzo della procedura mininvasiva nei traumi garantisce ai pazienti della nuova struttura di eccellenza un altro vantaggio, probabilmente ancora più importante. Cioè quello di conservare un organo che quasi sempre risulta danneggiato in occasione di questo tipo di traumi, la milza che nella chirurgia tradizionale viene spesso asportata.

I numeri del Primo Trauma Center di chirurgia mininvasiva
Si potranno rivolgere al Trauma Center dell’Ospedale San Carlo anche le vittime dei traumi: in Italia se ne registrano ogni anno 30.000, di cui oltre 6.000 in Lombardia; 3.000 di questi si verificano nella provincia di Milano e la maggior parte, ben 2.200, proprio nel capoluogo. In media un trauma su tre interessa l’addome o il torace. Spesso si tratta della conseguenza di incidenti stradali, ma può verificarsi anche a seguito di cadute accidentali, dalla bicicletta, dai pattini o dallo skate: sono i traumi infantili.
Lo scorso anno nella Divisione di Chirurgia Generale e d’Urgenza sono stati eseguiti 450 interventi. Quest’anno, con il nuovo Trauma Center, saranno complessivamente oltre mille.

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