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Le cellule staminali: preziose alleate o temibili avversarie?

Cristina Mazzantini, N. 11 novembre 2006

Negli ultimi tempi, sempre con maggior frequenza, abbiamo sentito parlare o letto delle cellule staminali come la “panacea” per la cura di tutti i mali (dall’infarto al morbo di Parkinson, dal diabete al tumore). Per essere più precisi tutto è iniziato, a partire dal 1998, quando per la prima volta alcuni ricercatori sono riusciti a isolare le staminali da embrioni umani. E da allora è stato e lo sarà per molti anni ancora un fiorire di ricerche e aspettative sulle loro potenzialità. È ormai noto, soprattutto agli specialisti, che tali cellule da indifferenziate possono dar vita a tutti i tessuti dell’organismo e poi rinnovarli di continuo, quando l’organismo è adulto, rigenerando sangue, pelle, capelli, unghie, e altro ancora. Fin qui tutto bene. Qualcosa, però, preoccupa gli esperti via via che le ricerche avanzano: una “terribile” ipotesi, già da tempo formulata ma senza riscontri concreti. Di che si tratta? Sono molti gli scienziati a ritenere che siano proprio le cellule staminali il motore che fornisce benzina allo sviluppo dei tumori, alla temibile capacità di resistere ai farmaci e di ripresentarsi a distanza di tempo.
Proprio dal 2003-4, diversi gruppi di ricerca, anche in Italia, hanno individuato le prime prove convincenti di questa ipotesi che cambia il modo di guardare alla biologia del cancro e all’approccio delle possibili terapie. L’idea, che alla base del cancro ci siano cellule con caratteristiche specifiche, è vecchia di almeno un secolo.
Nel mondo, ormai, sono molti gli esperti oncologi che si confrontano su una problematica così delicata. Anche l’Italia partecipa alla discussione e, sull’argomento, la dottoressa Maria Grazia Daidone, responsabile dell’Unità Operativa di Ricerca Traslazionale all’Istituto Nazionale di Tumori di Milano, che l’anno scorso è riuscita a isolare e coltivare in vitro staminali del cancro al seno, ha sostenuto: "Le staminali sono capaci di autorinnovarsi, sono multipotenti, immortali, molto resistenti ad agenti chimici e fisici: tutte caratteristiche possedute anche dalle cellule dei tumori". Già a metà dell’Ottocento, i patologi avevano riscontrato la somiglianza delle cellule dei tumori e dei tessuti embrionali che conservano, anche nell’organismo adulto, una capacità proliferativa esagerata e fuori controllo.
"Si è anche osservato che il tumore non è una proliferazione totalmente aberrante e incontrollata, ma rispetta un programma di sviluppo, seppure deragliato", ha chiarito poi il professor Pier Paolo Di Fiore, direttore scientifico dell’Ifom (Istituto Firc di Oncologia molecolare) e docente di Patologia all’Università di Milano. "Come un organo completo, si è pensato che anche il tumore potesse derivare da staminali. Nello studio del cancro hanno sempre convissuto due teorie contrastanti. Secondo una, tutte le cellule del tumore sono uguali, con la stessa capacità di proliferare e generare altra massa tumorale; secondo l’altra, solo una piccola percentuale di cellule maligne è in grado di alimentare la crescita e lo sviluppo del cancro: le staminali. Le altre sarebbero il risultato della proliferazione ma incapaci di sostenerla".
La prima prova dell’esistenza di staminali nel cancro è arrivata dalle leucemie, più facili da studiare. Nel 1997, ricercatori canadesi dimostrarono che solo pochissime cellule leucemiche, una su un milione, inoculate in topi immunocompromessi, riuscivano a generare una neoplasia. I progressi però sono arrivati grazie a molti fattori: le apparecchiature per isolare e coltivare le cellule staminali sia degli organi sia dei tumori; gli anticorpi che consentono di riconoscere le proteine sulla superficie delle cellule; lo sviluppo di animali geneticamente modificati su cui fare esperimenti di trapianto di cellule neoplastiche. Le cellule staminali tumorali, infatti, presentano marcatori e funzioni in parte simili alle staminali normali. Solo ora si comincia a caratterizzarne le proteine di superficie e, grazie a questo, a isolarle. Da un paio di anni sono arrivate le prime dimostrazioni che pure i tumori solidi, i più diffusi, potrebbero originarsi da staminali deviate.
Approfondimenti sulla problematica arrivano dall’America. E in particolare dal gruppo del professor Michael Clarke dell’Università del Michigan che ha verificato come la maggioranza delle cellule estratte dal cancro della mammella non è in grado di generare altri tumori. Solo una cellula su 100, all’incirca, di quelle isolate in base alla presenza di alcuni antigeni di superficie, è capace di proliferare e riformare la malattia quando viene inoculata nei topi. Lo stesso fenomeno è stato riscontrato in alcuni tumori del cervello, nel melanoma e nel cancro prostatico. Se, come sembra, all’origine della neoplasia ci sono le cellule staminali, si potrebbe comprendere perché finora si sono dimostrate inefficaci le armi usate per combattere la malattia. Quando una staminale si divide, generando due cellule, una conserva le caratteristiche di staminale, e rimane a riposo pur mantenendo la sua capacità di dividersi, l’altra va incontro a un processo molto rapido di proliferazione e maturazione, che però si esaurisce nel giro di poco tempo.
"Si può ipotizzare che il grosso della massa di un tumore sia costituito da cellule ormai arrivate alla fine del ciclo proliferativo. Poche cellule staminali, invece, pur rimanendo a riposo, sarebbero in grado di alimentare la crescita del tumore. Se non si colpiscono queste cellule, il tumore continuerà a riformarsi", ha precisato ancora il professor Di Fiore. "Il guaio è che i farmaci oggi a disposizione colpiscono soprattutto le cellule che si dividono molto rapidamente, mentre risparmiano le staminali, che si dividono raramente ma mantengono all’infinito la capacità di alimentare la massa tumorale. "Le staminali, fra l’altro, sono molto resistenti e probabilmente hanno meccanismi con cui pompare fuori dalla membrana cellulare i farmaci chemioterapici", ha aggiunto la dottoressa Daidone.
Con questa nuova concezione nella ricerca di base sulla biologia del cancro si punta, ora, a scoprire bersagli molecolari specifici delle cellule staminali tumorali. All’Ifom il gruppo del professor Di Fiore studia il gene Notch, uno dei marcatori individuati nelle staminali del tumore del seno.
"Gli anticorpi diretti contro questa molecola presente sia sulle cellule staminali normali sia su quelle del tumore della mammella provocano una riduzione della crescita del tumore", ha concluso il professor Di Fiore. "Ci piace ricordare che in sperimentazione, in fasi ancora precoci, ci sono dei farmaci che inibiscono questo gene".
Siamo solo agli inizi? Non mancheranno in futuro le occasioni, tra convegni e workshop, dove gli scienziati di tutto il mondo discuteranno sulle qualità e i difetti delle staminali. Come è appena accaduto al V Convegno Nazionale “Cellule staminali e Progenitori Emopoietici Circolanti”, organizzato dal professor Ignazio Majolino dell’Unità Operativa di Ematologia e Centro Trapianti di Midollo Osseo presso l’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma. Proprio qui, per dare impulso a ricerca e applicazioni cliniche delle staminali, nascerà un’Unità di terapia cellulare. L’incontro, con il patrocinio, tra gli altri, del Ministero della Salute, della Regione Lazio, della Provincia e del Comune di Roma, ha visto la partecipazione di circa 50 relatori di fama internazionale. Vi figurano gli illustri nomi di Piero Anversa, direttore dell’Istituto per le Ricerche Cardiovascolari del New York Medical College, di Nadia Rosenthal, direttore del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare di Monterotondo (Roma), di Cesare Peschle, direttore del Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma.
"L’appuntamento è un’opportunità importante per quanti si dedicano alla ricerca sulle staminali ed è anche motivo di orgoglio per il San Camillo che, con questo convegno, riafferma la volontà di procedere rapidamente alla creazione di un centro dedicato alla manipolazione e alla terapia cellulare", ha dichiarato il professor Majolino. "I lavori per la ristrutturazione di un vecchio padiglione sono partiti e ci aspettiamo che vengano completati in meno di un anno. È una speranza in più per tanti ammalati in attesa di una cura innovativa".
All’appuntamento romano sono state presentate alcune novità nello studio delle cellule staminali, che contribuiranno a disegnare un “identikit molecolare” di quelle “cattive” che causano i tumori per distinguerle da quelle “buone” che, invece, servono alla rigenerazione dei nostri tessuti. Ciò segnerà l’avvento di una nuova era della lotta al cancro, con la possibilità di sconfiggerlo alla radice, azzerando il rischio di recidive. "Solo riuscendo a riconoscere le staminali “cattive” che sono la sorgente del cancro", ha spiegato il professor Pier Luigi Pelicci, direttore del Dipartimento di Oncologia Sperimentale all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano, "distinguendole da quelle sane del nostro corpo, si potranno, infatti, mettere a punto terapie mirate contro le staminali tumorali, preservando le preziosissime staminali “buone”, indispensabili per la rigenerazione dei tessuti e il ricambio cellulare dell’organismo. È solamente da due-tre anni", ha rilevato il professor Pelicci, "che è emerso il concetto, rivoluzionario nella biologia dei tumori, che ad alimentare il cancro sono cellule staminali malate, o cellule staminali tumorali. Ora sappiamo che solo l’1-2% delle cellule tumorali sono le dirette responsabili della crescita della neoplasia, mentre sono le staminali tumorali la vera causa dell’insorgenza del male".
Queste si comportano come staminali a tutti gli effetti e ripopolano continuamente quello che è il tessuto tumorale. Le terapie oncologiche che eliminano quest’ultimo, dunque, nulla possono contro la sorgente stessa del tumore, le staminali appunto. "Per generare nuove terapie oncologiche che mirino direttamente alle staminali tumorali", ha sottolineato l’esperto, "c’è però bisogno di riconoscerle dalle staminali sane, altrimenti si rischia di danneggiare l’organismo. Le differenze tra staminali tumorali e sane stanno ormai regolarmente emergendo", ha concluso il professor Pelicci, precisando che i risultati dei suoi ultimi studi vanno proprio in tale direzione.
Prospettive analoghe arrivano dai lavori della dottoressa Jean Wang del Department of Molecular and Medical Genetics presso l’Università di Toronto (Canada), che è giunta a Roma per fare il punto sui suoi ultimi risultati circa le staminali tumorali delle leucemie mieloidi acute, da lei identificate in uno studio di recente pubblicazione sull’autorevole rivista Nature Immunology.
E ancora. Alcuni scienziati australiani hanno superato un importante ostacolo nello sviluppo della tecnologia di utilizzo delle cellule staminali embrionali, mettendo a punto una tecnica che permette di evitare che le cellule staminali possano dare origine a tumori.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Biotechnology, è stata coordinata dal professor Martin Pera dell’Australian Stem Cell Centre di Melbourne. Lo studio rappresenta un balzo in avanti verso la possibilità di usare in modo sicuro le cellule immature di origine embrionale. Inoltre, esso costituisce una risposta a coloro che ritengono l’instabilità delle cellule di questo tipo, un argomento sufficiente per interrompere la ricerca basata sulle cellule embrionali.
L’équipe, affiancata da scienziati del Monash Institute of Medical Research, ha scoperto come un marker cellulare, conosciuto come CD30, presente in tutte le cellule staminali embrionali, si modifica quando le cellule sviluppano anomalie. La scoperta, come ha spiegato il professor Pera, consentirà di identificare quali cellule staminali comincino a sviluppare le anomalie che precedono la fase cancerosa. "Non significa che abbiamo raggiunto il controllo, ma abbiamo composto un gran pezzo del puzzle", ha chiarito sempre lo studioso. "Almeno possiamo vedere che la cellula sta mutando e possiamo chiederci cosa vi sia nella coltura che causa la mutazione. Lo sviluppo è significativo perché chi si oppone alla ricerca con staminali embrionali spesso cita il fatto che gli scienziati non abbiano il controllo sullo sviluppo delle cellule, e che molte possano sviluppare tumori".

Erbe cinesi per il tumore del polmone?
È stato pubblicato sull’ultimo numero del Journal of Clinical Oncology (www.jco.org), la rivista ufficiale dell’American Society of Clinical Oncology, l’intervento dei ricercatori del Centro di Medicina Naturale dell’Ospedale S.Giuseppe (Fabio Firenzuoli, Luigi Gori, Luisa Di Simone, Maria Morsuillo) in merito al possibile impiego, nella terapia complementare del tumore del polmone, di una pianta cinese commestibile: l’Astragalo (Astragalus membranaceus Fisch).
Della pianta si possono correttamente studiare e utilizzare solo alcuni tipi particolari di estratti, ottenuti dalle radici rappresentati da polisaccaridi che presentano proprietà immunostimolanti. Diversamente invece, in particolare se usata secondo le ricette della tradizione cinese, non si hanno le garanzie scientifiche della sua efficacia e sicurezza d’uso. Un grande problema, spesso trascurato, è la mancanza di certezza nell’identificazione botanica della pianta, così come di una parte della pianta stessa, del tipo di estratto utilizzato e della concentrazione in principi attivi.
Facendo l’esempio di una pianta europea, la Vite, è come se non sapessimo con certezza di quale tipo di vitigno stiamo parlando, quale parte della pianta utilizziamo (le foglie, le radici, l’uva, ecc.) oppure se stiamo bevendo un bicchiere di succo di uva spremuta, un bicchiere di vino o un bicchiere di grappa ottenuta dalla vinaccia.
Altro handicap non trascurabile è rappresentato dal fatto che in molte ricette tradizionali cinesi, oltre alle numerose erbe, l’Astragalo è associato a prodotti di origine animale e minerale, come insetti (Cantaridi), vermi (Sanguisughe), gusci di ostriche e serpenti. Tutte queste premesse sono evidentemente sufficienti a invalidare qualunque riflessione e deduzione scientifica, non solo, ma ne impediscono anche un’attenta considerazione da parte degli scienziati occidentali, e rischiano di comprometterne l’impiego proprio nei malati oncologici.

Cefalù: una struttura d’avanguardia nella lotta ai tumori
È un polo oncologico di circa 11.000 metri quadrati con tecnologie d’avanguardia e metodologie biomediche avanzate quello che sorgerà a Cefalù. Il progetto è stato messo a punto dal CNR e finanziato dallo Stato con 71 milioni di euro. Con il coinvolgimento anche dell’Università di Messina, il centro sarà pronto nel 2009. A Cefalù saranno creati i presupposti per un distretto tecnologico che diventerà il polo di riferimento per la lotta ai tumori nel Sud.
In particolare, esso si articolerà in due laboratori finalizzati alla diagnosi e alla terapia personalizzata dei tumori. Il primo dei due laboratori, quello di proteogenomica e radiochimica, nascerà a Cefalù in un’area adiacente la Fondazione “San Raffaele Giglio”. In questo stesso spazio coesisteranno, in modo integrato, le più moderne tecnologie, fra cui il Ciclotrone per uso medico e le PET/TC, la Terapia Radiometabolica, la Radioterapia (con le attrezzature più innovative come la Tomoterapia), l’Oncologia Medica. Il tutto finalizzato alla diagnosi, stadiazione e terapia mirata dei tumori solidi (polmone, mammella, colon retto, linfomi, ecc.).
Elemento innovativo del progetto è l’utilizzo di tecnologie diagnostiche avanzate, quali l’imaging molecolare PET/TC e la proteogenomica, per definire e condurre terapie personalizzate dei tumori sia con farmaci innovativi (target drugs) sia con le nuove tecniche radioterapiche, quali la Tomoterapia. La radioterapia, integrata a proteogenomica e bioimmagini, ha i vantaggi di poter determinare sia il campo di irradiazione in maniera mirata (guidata dalle caratteristiche morfologiche e metaboliche del tumore, studiate con PET/TC) sia le modalità di somministrazione della dose in base al comportamento biologico specifico di quel tumore, guidata dal tipo di biomarcatore. Solo 9 centri in Europa dispongono del medesimo tipo di Tomoterapia.
Nel polo oncologico di Cefalù saranno messi a punto procedure diagnostiche e terapeutiche innovative e personalizzate, non solo al singolo paziente ma anche a un particolare momento evolutivo della storia naturale del tumore in quel malato.
A Messina, con la Clinica di Neurochirurgia dell’Università, che è centro di riferimento per il trattamento delle diverse patologie neoplastiche, sarà realizzato un laboratorio di Proteogenomica in Neuroimaging, finanziato con 16 milioni di euro. Verranno ampliate le strutture esistenti, per includere la strumentazione dedicata a imaging molecolare e proteogenomica. Il CNR prevede di dedicare una parte dei costi della ricerca alla formazione di personale specializzato nei settori di interesse del Progetto (fisici, radiochimici, biologi, biotecnologi, medici radioterapisti, specialisti di diagnostica per immagini e neurochirurghi, meccanici ed elettronici addetti alla manutenzione).

Novità per il tumore superficiale della vescica
Si chiama Gemcitabina la nuova speranza per combattere le recidive del tumore vescicale. È questa sicuramente una neoplasia tra le più pericolose ed invalidanti che colpiscono sia l’uomo sia la donna, con una leggera prevalenza del primo. Il farmaco antitumorale è comunemente impiegato per via sistemica a livello mondiale. In Italia, tale molecola solo da poco, ovvero dopo i risultati positivi ottenuti da una serie di studi clinici prospettici, è stata approvata dal Ministero per l’uso endovescicale. Di elevato interesse scientifico è la recente pubblicazione dello studio apparsa sul Journal of Clinical Oncology, autorevole rivista della Società Americana di Oncologia, relativo all’esperienza clinica del dipartimento di Urologia del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York.
Pazienti definiti refrattari al trattamento con BCG, e nei quali per la prognosi negativa l’ulteriore trattamento standard è l’asportazione della vescica, sono stati avviati alla terapia intravescicale con Gemcitabina, con l’intento di impedire o procrastinare l’intervento chirurgico demolitivo.
Nelle conclusioni, gli autori evidenziano la buona tollerabilità e attività del trattamento con Gemcitabina in una popolazione ad alto rischio e contemporaneamente indicano tale molecola come una valida opzione per i pazienti che rifiutano la cistectomia.
Importanti limitazioni, in termini di efficacia e tollerabilità dei farmaci maggiormente impiegati nel trattamento delle neoplasie superficiali della vescica, fanno sì che la Gemcitabina sia una valida e sicura alterativa.

Indirizzi utili

Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Nazionale dei Tumori
Indirizzo Via Venezian, 1 Milano
Centralino: 02 23901
Prenotazioni/informazioni: 02 23902541
www.istitutotumori.mi.it

Istituto Europeo di Oncologia - IEO
Via Ripamonti, 435 20141 Milano
Centralino: 02 574891
Prenotazioni/informazioni: 02 5748900.1-2-3
www.ieo.it

San Camillo Forlanini
Via Portuense 332, 00149 Roma
Centralino: 06 55551
Prenotazioni/informazioni: 06 5595055
www.scamilloforlanini.rm.it

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