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Nuovi modelli gestionali per affrontare i tumori

Paola Sarno, N. 8/9 agosto/settembre 2006

Presentata la prima indagine AIOM sull’assistenza oncologica in Italia. Accanto ai dati positivi emergono le carenze: coordinamento insufficiente, mancanza di punti di riferimento per i cittadini, screening non omogenei sul territorio e non integrati con le diagnosi. Al via la seconda fase.

Nove Asl su dieci prevedono cure oncologiche anche a domicilio e in 7 su 10 esistono codici d’urgenza per i malati di cancro. Carente, invece, l’assistenza ai pazienti in fase avanzata o terminale (gli hospice sono presenti in 4 Asl su 10 e la terapia del dolore a domicilio viene erogata in 6 Asl su 10). Risulta scarsa anche l’integrazione fra ospedali e medici di famiglia. Mancano le cartelle cliniche elettroniche e solo in 2 Asl su 10 il medico di famiglia può prenotare direttamente visite e diagnosi, abbattendo le liste d’attesa. Luci e ombre che emergono dalla prima analisi nazionale sui “Modelli gestionali in oncologia” dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), realizzata grazie al supporto di Roche, la consulenza tecnica di KPMG e presentata recentemente a Roma ad un convegno con il patrocinio della Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO). La prima fase della ricerca è stata condotta su un campione di 16 Asl che coprono il 12,5% della popolazione italiana, più di 7 milioni di cittadini, la seconda su 20-30 aziende ospedaliere si concluderà alla fine dell’estate.
Il progetto si articola, infatti, in due fasi: nella prima è stata analizzata l’offerta di servizi sanitari oncologici delle Asl, nella seconda, divisa a sua volta in due tranche, si passa ad analizzare la stessa offerta a cura di Aziende Ospedaliere e Dipartimenti/Divisioni di Oncologia.
Il progetto è stato inizialmente focalizzato sulle Asl quali Istituzioni che svolgono un ruolo di regia e coordinamento dell’intero ciclo diagnostico-terapeutico. È stato selezionato un campione di 16 Asl distribuite su tutto il territorio nazionale, rappresentative delle varianti demografiche e delle caratteristiche dell’offerta sanitaria: più di 7 milioni (7.214.619) di assistiti residenti, il 12,5% della popolazione italiana. Nella seconda fase - realizzata dall’AIOM con il patrocinio della Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO) e ancora con il supporto di Roche - il progetto si estende ad Aziende Ospedaliere e Dipartimenti/Divisioni di Oncologia: entro l’estate 2006 è prevista la realizzazione e la pubblicazione di una seconda ricerca condotta sulle seguenti fasi del ciclo assistenziale oncologico: prevenzione primaria, prevenzione secondaria (screening), diagnosi precoce (integrazione tra prevenzione secondaria, circuito dello screening, e diagnosi). L’ulteriore continuazione del progetto, dopo l’estate del 2006, prevede l’ampliamento della fase 2 a diagnosi “tout court” (non solo quelle diagnosi provenienti dal circuito dello screening, oggetto della prima tranche della seconda fase), terapia, riabilitazione, palliazione e supporto.
Ma veniamo ai risultati completi della prima fase dell’indagine. Quasi tutte le Asl del campione hanno attivato campagne di prevenzione primaria su alimentazione scorretta e fumo (94%), il 70% su un rischio ambientale generico, il 30% su un rischio ambientale specifico legato al territorio (quali benzene, raggi UV, prodotti fitosanitari, polveri) o sull’inattività fisica. Il 60% sul consumo di alcolici.
La popolazione viene coinvolta nel 90% dei casi per lo più con campagne di sensibilizzazione realizzate con opuscoli e materiale informativo: la modalità più utilizzata (80% dei casi) è l’organizzazione delle giornate dedicate alla prevenzione, seguono spazi pubblicitari (70%), internet (56%), coinvolgimento scuole (75%). Il maggior partner delle Asl sono proprio le scuole, i medici specialisti vengono chiamati a collaborare nel 44% dei casi, quelli di famiglia nel 38%.
Per quanto riguarda la prevenzione secondaria, invece, solo il 25% delle Asl ha avviato tutti e 3 gli screening previsti dal Psn 2003-2005 e cioè cervice uterina, seno e coloretto: il primo è attivo in 9 Asl su 10 (obiettivo di copertura indicato dal Psn del 70% della popolazione, raggiunto da metà delle Asl), quello del seno in 8 su 10 (copertura sufficiente - 85% - per il 43% delle Asl), segue in ultima posizione quello del coloretto (25%, più del 70%, indicazione di sufficienza mancante).
La comunicazione generica ai cittadini avviene sempre con opuscoli ed eventi (es. giornata della salute), i media sono coinvolti nell’80% dei casi, il web utilizzato nel 38%, quella specifica ai cittadini target (reclutamento) con lettera diretta personalizzata (79%), con il supporto del medico di fiducia (29%) o direttamente tramite esso (invio al medico dell’elenco degli assistiti eleggibili, consegna della lettera in ambulatorio) solo nel 7% dei casi. Il medico di famiglia è coinvolto nel 64% dei casi tramite eventi formativi “ad hoc” con specialisti.
Gli esiti se negativi vengono comunicati prevalentemente con lettera (79%), se positivi si utilizza la lettera nel 43% dei casi e il ritiro presso Asl nel 36% dei casi. Da rilevare che nel 14% dei casi il paziente trovato positivo non viene indirizzato agli approfondimenti diagnostici e dovrà pertanto autonomamente rivolgersi al proprio medico curante o alle strutture dell’Asl.
È, inoltre, indagato anche l’ambito diagnostico (specialmente dalla seconda tranche del progetto) allo scopo di individuare e migliorare la tempestività della diagnosi e la continuità assistenziale. Da rilevare che il 63% delle Asl non dispone di sistemi per il monitoraggio della struttura di diagnosi, sia essa dell’Asl o di altre strutture. I centri Asl dispongono tutti di ecografo, Tac e altre tecniche radiologiche, la risonanza magnetica è disponibile nell’88% delle Asl , la mammografia nel 75%, la scintigrafia nel 56%, la Pet nel 19%. Il 59% delle Asl è in grado di fornire informazioni sulle liste di attesa delle strutture diagnostiche presenti sul territorio. Per le modalità di prenotazione, il 33% delle Asl dispone di un Cup integrato che permette di accedere alle agende delle strutture autonome presenti sul territorio dell’Asl. Per i casi non provenienti dal circuito dello screening, il 70% delle Asl dichiara di prevedere un accesso privilegiato ai servizi per i pazienti con sospetta patologia oncologica. Nel 12% dei casi è prevista l’assegnazione da parte del medico di famiglia o dello specialista di una priorità di accesso e diritto di precedenza nelle liste di attesa, nel 20% dei casi è attivo un sistema di prenotazione diretta da parte del medico di famiglia (nel 6% via internet) che ha a disposizione alcune ore riservate nelle liste di attesa delle strutture dell’Asl. In tutte le Asl del campione, la comunicazione dell’esito positivo è effettuata dall’oncologo medico che nel 25% dei casi è coadiuvato da un operatore dedicato al supporto psicologico e al sostegno sia del paziente che dei suoi familiari: nel 44% dei casi invece l’intervento psicologico è previsto solo in fase successiva alla diagnosi, a integrazione del percorso terapeutico. I team multidisciplinari per la discussione dei casi diagnostici sono costituiti nel 36% delle Asl, e nel 19% sono disponibili modalità di tele consulto tra i diversi centri di diagnosi. La discussione dei casi complessi è una prassi consolidata ma non strutturata in tutte le Asl. L’accesso alla terapia, dove esistono modalità strutturate (67%), viene garantito nel 47% dei casi tramite protocolli e nel 20% dei casi tramite procedure standardizzate.
Il 31% delle Asl è in grado di monitorare l’offerta terapeutica (numero di prestazioni effettuate, tipologia, ecc.) di tutte le strutture sul territorio. La chemioterapia è offerta da tutte le Asl, la radioterapia dal 64%, le cure riabilitative dal 64%, il supporto psicologico in questa fase nel 45%, mentre è ampia (93%) la copertura di altri tipi di supporto mediante associazioni di volontariato anche ai familiari.
Il referente unitario, cioè lo specialista cui il paziente oncologico fa riferimento lungo l’intero iter della fase terapeutica, non è stato rilevato in nessuna Asl. Call center oncologici sono predisposti nel 14% delle Asl.
I servizi di Assistenza domiciliare integrata (Adi) risultano attivi in quasi tutte (90%) le Asl analizzate: ma la possibilità di effettuare effettivamente cure palliative a domicilio, grazie alla presenza di un palliativista dedicato specificamente alle cure domiciliari, è concretamente attiva solo in 6 Asl su 10 (il 63%). In 4 casi su 10 (il 38% del campione) è attiva una struttura di hospice per i pazienti terminali, mentre nel 19% dei casi l’hospice è in fase di realizzazione. In attesa che si realizzino più strutture dedicate, i pazienti sono ospitati in regimi alternativi all’Adi che nella maggior parte dei casi risultano essere il ricovero ospedaliero. In questi casi il regime e la tipologia dell’assistenza possono risultare inappropriati e inefficienti. Nell’Adi il soggetto più coinvolto è il medico di famiglia (75% delle Asl), all’ultimo posto il dietologo (13%). La terapia antalgica è offerta nel 75% dei casi, il supporto psicologico nel 44%, quello economico previsto nel 13% delle Asl.
"I dati sull’assistenza domiciliare sono confortanti - ha confermato il professor Emilio Bajetta, Presidente Nazionale Aiom - anche se l’assistenza domiciliare integrata è erogata in modo non uniforme sul territorio. Molto resta da fare per offrire a pazienti e cittadini un “continuum” assistenziale, dall’informazione sui fattori di rischio alle terapie palliative".
"Tutte le fasi dell’iter oncologico, prevenzione primaria e secondaria, diagnosi, terapia, riabilitazione e cure palliative - spiega Carmelo Iacono, coordinatore Aiom del progetto - hanno come unico protagonista, che le percorre tutte, il paziente oncologico che ha il diritto di ricevere una prestazione integrata ed esaustiva delle sue necessità emergenti, diritto che il Sistema sanitario nazionale ha il dovere di garantire".
"Dall’analisi - ha continuato il professor Roberto Labianca, Presidente della Fondazione Aiom - emerge che 9 Asl su 10 del campione esaminato hanno avviato programmi di screening sul cancro della cervice uterina (coinvolgendo però solo il 50% della popolazione target), 8 su 10 sul tumore della mammella (43% della popolazione target) e 3 su 10 sul cancro del colon-retto (70% della popolazione target). Progressi ancora da compiere emergono anche in termini di confronto tra clinici - una modalità di lavoro strutturata solo nel 50% delle Asl - nella creazione di team multidisciplinari (per ora attivi solo nel 36% delle Asl), nell’assistenza ai malati terminali e per assicurare ai pazienti informazioni (solo il 14% delle Asl dispone di un call center in fase di cura) e per quanto riguarda l’accesso alle migliori terapie oggi disponibili sulla base delle evidenze scientifiche".
"Oggi un malato di tumore necessita di un programma terapeutico condiviso da più specialisti - ha sottolineato Vittorina Zagonel, coordinatrice gruppo di lavoro Aiom sui Dipartimenti - e, inoltre, è necessario garantire la continuità di cura, in particolare nel delicato passaggio da ospedale a territorio. Il Dipartimento Oncologico è la risposta organizzativa a questi bisogni essenziali. In esso trovano, inoltre, giusta collocazione i programmi di umanizzazione dell’assistenza a malato e familiari. L’indagine mostra chiaramente che dove non è stato istituito il Dipartimento Oncologico manca un percorso assistenziale condiviso e/o la continuità delle cure al malato".
"Ottimizzare l’esistente - ha messo in evidenza Maurizio De Cicco, Amministratore Delegato Roche - può consentire un utilizzo delle limitate risorse più in linea con i cambiamenti in atto. Roche vuole essere parte della soluzione al “problema salute” anche in oncologia, lavorando in modo chiaro e univoco a fianco di clinici, direttori generali e Istituzioni. Mi auguro che questo progetto possa fornire utili spunti e che Roche possa contribuire sempre più frequentemente al miglioramento e all’aggiornamento del Sistema Sanitario in una logica di innovazione per la salute, uno dei valori fondamentali del nostro Gruppo".
"Dopo la prima analisi, l’Aiom ha deciso di approfondire l’indagine - ha poi precisato il professor Bajetta - concentrando l’attenzione sulla prevenzione secondaria, sulla diagnosi precoce e sulla fase acuta e avanzata, analizzando le Aziende Ospedaliere".
"Sinergie ed osmosi di competenze e conoscenze tra Aziende sanitarie e Ospedaliere, management e mondo scientifico - ha affermato Angelo Lino Del Favero, Direttore Generale Azienda ULSS 7, Pieve di Soligo (TV), che ha partecipato allo studio, e coordina i Direttori Generali Aziende ULSS e Ospedaliere Regione Veneto - sono indispensabili per la costruzione del governo clinico delle moderne politiche sanitarie".
"La successione logica delle diverse fasi dell’assistenza oncologica della ricerca Aiom - ha, inoltre, detto Eugenio Di Ruscio, Direttore Sanitario Azienda USL Ravenna, membro FIASO - evidenzia la necessità di una successione organizzativa progettata: l’integrazione dei diversi step sembra poter moltiplicare l’efficacia dei singoli interventi. La FIASO intende sostenere l’individuazione di forme organizzative e stili di rapporti tra le Istituzioni coinvolte, in grado di fornire risultati di salute e qualità di servizio".
"Il Servizio sanitario possiede professionalità, strutture e apparecchiature ai migliori standard di qualità - ha fatto notare il professor Francesco Cognetti, Segretario Nazionale di Alleanza Contro il Cancro e direttore scientifico del “Regina Elena” Di Roma. I punti sui quali occorre agire sono coordinamento, multidisciplinarietà, riunione di reti operative già esistenti, promozione della ricerca traslazionale e adozione di cartelle telematiche, non utilizzate nell’analisi compiuta".
L’analisi rivela inoltre che, per pianificare le campagne di informazione sui fattori di rischio, in particolare quelli locali, poco più della metà (56%) delle Asl può contare su essenziali strumenti informativi quali un Registro tumori o un Osservatorio epidemiologico e solo 3 su 10 Asl su entrambi. Manca inoltre un accesso omogeneo alle terapie: mentre la chemioterapia è offerta in tutte le Asl esaminate, la radioterapia non è disponibile nel 36% del campione. Solo 3 Asl su 10 monitorano l’offerta terapeutica globale sul territorio e solo 5 su 10 sono in grado di darne informazione ai cittadini/pazienti, i quali in nessuna Asl possono contare su un oncologo di riferimento che li segua lungo tutto l’iter delle cure. Possibili protagonisti di un nuovo tipo di coordinamento potrebbero essere i medici di famiglia: in una Asl del campione è il medico di fiducia a ricontattare telefonicamente i propri assistiti che non hanno risposto allo screening.
"Per ora siamo coinvolti nel 38% delle Asl nelle campagne di informazione sui fattori di rischio - ha dichiarato Andrea Salvetti, Presidente SIMG Toscana - ma il nostro ruolo potrebbe crescere soprattutto sul fronte dell’integrazione tra screening e diagnosi".
"Lo studio Aiom - ha sottolineato infine l’avvocato Lorenzo Lamberti, Componente del Consiglio Superiore di Sanità - stimola anche una riflessione sulla capacità del sistema ordinamentale italiano - e delle sue leggi - di rispondere positivamente alle richieste degli oncologi. Occorre, in altre parole, verificare se l’approccio “globale” alla malattia, ottimale sotto il profilo sanitario e scientifico, trovi corrispondenza nelle indicazioni legislative nazionali, regionali e degli altri Paesi dell’Unione Europea".

Le sfide: invecchiamento e cronicizzazione
Cronicità delle malattie e anzianità della popolazione sono sfere assimilabili, accomunate da una progressiva crescita e che richiedono una forte integrazione dei servizi sanitari e di quelli sociali. In particolare necessitano di servizi residenziali e territoriali finora non sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese, oltre che di fondi ancora insufficienti. Alcuni dati chiariscono quanto, in particolare tumori e anzianità, siano fenomeni collegati.

  • L’età media di diagnosi di cancro è 68 anni
  • si stima che tra il 30% e il 50% delle persone con età superiore ai 65 anni sia affetta da una neoplasia silente o manifesta
  • il 61% (165.000 casi l’anno) di tutte le neoplasie (270.000/anno) colpisce dopo i 65 anni
  • per gli ultrasessantacinquenni il rischio di sviluppare un cancro è 11 volte maggiore rispetto a chi è più giovane
  • nel 33% dei casi (90.000 all’anno) colpisce tra 65 e 74 anni
  • nel 28% dei casi (75.000 all’anno) colpisce dopo i 75 anni
  • il 65% di tutte le morti per cancro avviene in ultrasessantacinquenni

Dal confronto con le malattie cardiovascolari, l’altro big killer, emerge che l’età più critica per i tumori è proprio la fascia che va da 65 e 74:- Negli ultimi 50 anni si è avuto un incremento dell’incidenza e mortalità per tumore negli anziani, superiore a quanto registrato nei giovani, tra i quali si è invece verificata una diminuzione della mortalità.

  • Mentre l’incidenza dei tumori nella popolazione italiana anziana è ancora in aumento, i tassi di incidenza generali, aggiustati per età, sono stimati stabili.
  • Va sottolineato che grazie alle nuove cure, recentemente in Europa è stata osservata una diminuzione della mortalità per tumore negli anziani (-5% nella fascia d’età 65-84 anni) di entrambi i sessi.
  • Ogni anno poco meno di mezzo milione di anziani vengono ricoverati in oncologia
  • Da qui al 2010 l’incremento di ultrasessantancinquenni nella popolazione generale è stimato a più del 4%, da 11 milioni e mezzo del 2006 a più di 12 milioni nel 2010 (fonte Istat, rapporto 2005)

A questo quadro che vede il forte intreccio tra vecchiaia e cancro si aggiunge l’elemento terapie innovative: tra le nuove possibili strategie terapeutiche in oncologia vi è infatti l’impiego di chemioterapici e nuove molecole come le targeted therapies per tempi prolungati, con l’obiettivo di “cronicizzare” la malattia neoplastica attraverso una protratta inibizione della crescita tumorale, senza pretendere la completa regressione della malattia. I nuovi farmaci antitumorali, associati ai tradizionali chemioterapici, potrebbero produrre un ulteriore allungamento della sopravvivenza del malato oncologico. La crescita del numero delle persone con patologia oncologica richiede la capacità di erogare risposte qualitativamente elevate oltre che integrate e coordinate. I diversi livelli di complessità necessitano di continuità d’intervento e di cura, oltre che di supporti psico-sociali che assicurino una migliore qualità di vita dei pazienti. Sono questi gli obiettivi fondamentali del progetto “Modelli gestionali in Oncologia”.

P21, la proteina anti-cancerogena
Una ricerca dell’Istituto di Genetica Molecolare del Cnr, in collaborazione con l’Università di Pavia e il Delbruck Center di Berlino, ha permesso di identificare una nuova funzione di una proteina nella prevenzione della formazione di cellule tumorali. Gli studi sui meccanismi impiegati dalle cellule per difendersi dai danni al DNA indotti da agenti chimici e fisici costituiscono un punto importante per capire come le cellule che perdono tali capacità di difesa si trasformino da normali a tumorali. Un passo in avanti su queste conoscenze è stato compiuto dall’équipe del dottor Ennio Prosperi dell’Istituto di Genetica Molecolare del Cnr di Pavia, in collaborazione con il laboratorio di Patologia Generale (dipartimento di Medicina Sperimentale) dell’Università di Pavia e del “Max Delbruck Center for Molecular Medicine” di Berlino. Questi risultati sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Cell Science.
"I ricercatori hanno svelato un comportamento finora insospettato della proteina p21CDKN1A", spiega il dottor Prosperi: "Questa proteina viene utilizzata dalle cellule nel processo di riparazione del DNA, perché è in grado di localizzarsi in tempi rapidissimi (insieme a un’altra proteina, nota come PCNA) nei siti dove è avvenuto il danno. Tale localizzazione di p21 nei siti del danno non si manifesta in cellule di pazienti con malattie genetiche in cui la riparazione del DNA è difettosa, né in alcuni tipi di cellule tumorali".
La proteina p21 era già nota per la sua capacità di bloccare la proliferazione cellulare in seguito all’esposizione ad agenti che danneggiano il DNA, un sistema con cui le cellule del nostro organismo “prendono tempo” per riparare tali danni ed evitare che possibili mutazioni del DNA trasformino la cellula normale in tumorale. L’identificazione di questo nuovo comportamento della proteina, però, implica la sua diretta partecipazione al processo di riparazione e quindi nella difesa contro gli agenti cancerogeni. La scoperta permetterà di capire ulteriormente i meccanismi di difesa cellulare contro le alterazioni del DNA e di sfruttare queste nuove conoscenze per lo sviluppo di nuovi farmaci antitumorali. Infatti, in alcuni studi clinici già oggi vengono utilizzati farmaci che inducono le cellule tumorali a produrre la proteina p21, che normalmente è poco o per nulla espressa in molti tumori umani.
Queste ricerche costituiscono un altro importante risultato dell’Istituto di Genetica Molecolare del Cnr di Pavia, oltre a quelli già riportati nelle scorse settimane, ulteriormente sviluppato nell’ultimo numero della rivista “FASEB Journal”, proprio sui molteplici ruoli della proteina PCNA, con la quale p21 si associa per poter agire.

Il progetto “modelli gestionali in oncologia”
Obiettivo
Il progetto nazionale “Modelli gestionali”, promosso e curato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e realizzato con il supporto educazionale di Roche e la consulenza tecnica di KPMG, mira ad analizzare la strutturazione dei servizi sanitari oncologici ai cittadini, forniti da Asl, Aziende Ospedaliere e centri specialistici. L’obiettivo è fornire dati e strumenti conoscitivi a quanti - politici, amministratori e tecnici - sono chiamati ad affrontare la sfida rappresentata dal continuo aumento della domanda di salute e di cura, dalla congiuntura sia economica che demografica e dall’andamento cronicizzante della patologia neoplastica. Il fine è evidenziare modalità, best practice e aree di miglioramento nella gestione e nell’organizzazione, per supportare i decisori sanitari nella programmazione di interventi mirati ed efficaci e nell’ottimizzazione di ogni step del processo e/o di singole attività di assistenza sanitaria oncologica ai cittadini colpiti da tumore e alle loro famiglie.
Attività analizzate
A. PREVENZIONE (sia primaria, campagne sui fattori di rischio, che secondaria, cioè screening oncologici per cervice uterina, seno e coloretto)
B. DIAGNOSI (sia proveniente dal circuito screening che da altra modalità)
C. TERAPIA
D. RIABILITAZIONE, PALLIAZIONE E SUPPORTO
Modalità dell’indagine
Per tutte le attività analizzate vengono indagati 3 ambiti:
• PIANIFICAZIONE
Politiche sanitarie, input nazionali e regionali, pianificazione, monitoraggio e controllo, ecc…
• CARATTERISTICHE DELL’OFFERTA
Strutture di erogazione, Soggetti erogatori, Attività, ecc.
• INTEGRAZIONE
Attori coinvolti, sanitari e non, integrazioni con le successive fasi del processo clinico, ecc.
Vengono creati un modello di analisi e un data base alimentati con informazioni e dati forniti da Asl, Aziende ospedaliere, Dipartimenti e Divisioni di oncologia medica e raccolti tramite questionari e interviste strutturate ai principali referenti aziendali, di Divisione o Dipartimento. I dati vengono elaborati e sottoposti all’analisi critica - in particolare per individuare best practice e aree di miglioramento - a cura del Consiglio Direttivo e dei gruppi di lavoro competenti dell’AIOM.

Indirizzi utili
AIOM
Via Nöe 23, 20133 Milano
numero verde 800.237.303
www.aiom.it

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