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Tumore della vescica, un nuovo trattamento italiano per sconfiggerlo

Monica Melotti, N. 4 aprile 2006

La vita di tante persone colpite da tumore della vescica è decisamente migliorata. Grazie alla diagnosi precoce è possibile evitare, nella gran parte dei casi, l’intervento chirurgico che mette a rischio la potenza sessuale e la continenza urinaria. E anche quando il bisturi si rivela indispensabile sono state messe a punto tecniche ricostruttive che migliorano la qualità di vita del paziente. Ora un’importante ricerca italiana apre ancora nuove prospettive per il trattamento di questo tumore, che in Italia colpisce ogni anno 3.500 donne e 16.000 uomini (per i quali è la quarta neoplasia, come frequenza, dopo prostata, polmone e intestino). La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista The Lancet Oncology, uno studio multicentrico ideato e coordinato dal professor Savino Mauro Di Stasi, urologo dell’Università di Roma Tor Vergata, che ha sperimentato una procedura che prevede la somministrazione intravescicale in sequenza di immunoterapia e chemioterapia, e i risultati appaiono molto interessanti.
Secondo gli autori dello studio, questo metodo ha i requisiti per diventare un nuovo standard terapeutico per il trattamento dei tumori superficiali a cellule transizionali della vescica, che rappresentano circa l’80% dei tumori della vescica diagnosticati ogni anno.
Nei tumori superficiali o non-invasivi della vescica l’urologo interviene per lo più tramite chirurgia endoscopica, per rimuovere la lesione, dopodichè si procede a un trattamento intravescicale (ovvero il posizionamento del farmaco direttamente in vescica tramite un catetere) con immunoterapici (di solito il bacillo di Calmette-Guerin, BCG, lo stesso utilizzato per la vaccinazione contro la tubercolosi) o chemioterapici (ad esempio la mitomicina) per prevenire la comparsa di recidive o la progressione di malattia a stadi più avanzati.
La novità della ricerca coordinata dall’università di Roma Tor Vergata, che ha coinvolto altri centri italiani, risiede nel fatto che al tradizionale BCG viene aggiunto un chemioterapico, la mitomicina in forma "elettrostimolata", cioè introdotta in vescica e somministrata con un apposito "catetere elettrico" ideato dagli stessi ricercatori.

Lo studio multicentrico
Mentre gli immunoterapici (come il BCG) agiscono stimolando la risposta immunitaria dell’organismo verso il tumore e lo “allenano” a difendersi contro eventuali ricadute di malattia, il chemioterapico colpisce direttamente le cellule tumorali e la sua efficacia viene amplificata dagli effetti del BCG che ne rende più facile la penetrazione nei tessuti della parete vescicale. Nello studio sono stati coinvolti 211 pazienti. "In studi precedenti, condotti da colleghi finlandesi e olandesi, è stata sperimentata la somministrazione sequenziale di mitomicina e BCG per il trattamento e la profilassi di tumori superficiali della vescica; in questi studi la mitomicina, somministrata prima del BCG, aveva il compito di indurre un’infiammazione che potrebbe rendere più efficace l’immunoterapico", spiega il professor Di Stasi. "Tuttavia i risultati non sono stati soddisfacenti. Abbiamo allora pensato che fosse più logico sfruttare la flogosi provocata dal BCG, che rende più permeabili i tessuti della parete vescicale, per aumentare l’efficacia del chemioterapico. Il grosso problema è che pochi ricercatori fanno studi di laboratorio sulla somministrazione intravescicale di farmaci, non si valutano mai con esattezza il dosaggio, il tempo di somministrazione, le caratteristiche delle soluzioni da somministrare, le concentrazioni citotossiche efficaci e altri aspetti. Negli ultimi quindici anni abbiamo studiato in modo approfondito la mitomicina, soprattutto per ottimizzarne la somministrazione intravescicale e abbiamo osservato che l’utilizzazione di corrente elettrica pulsata, consente di aumentare la penetrazione tissutale e quindi l’efficacia del farmaco. I risultati di questi studi di laboratorio sono stati pubblicati nel 1997 e nel 1999 su Cancer Research. Sulla scorta di queste osservazioni è stato effettuato un primo studio clinico su pazienti affetti da carcinoma in situ della vescica, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Urology nel 2003. Lo studio ha confrontato la somministrazione intravescicale standard di mitomicina, per diffusione passiva, con quella messa a punto nei nostri laboratori che prevede la somministrazione del farmaco mediante corrente elettrica, utilizzando come gruppo di controllo pazienti trattati con il BCG. I risultati dello studio hanno dimostrato che la tecnica da noi utilizzata è decisamente più efficace rispetto alla somministrazione per diffusione passiva. Inoltre la somministrazione di mitomicina elettrostimolata ha fatto registrare un’efficacia sovrapponibile a quella del BCG
La somministrazione intravescicale elettrostimolata (Electromotive Drug Administration = EMDA) viene utilizzata dall’équipe del professor Di Stasi da oltre dieci anni e si è potuto notare che non provoca danni alla vescica e, nonostante l’incremento dei tassi di somministrazione tissutale di mitomicina, non causa tossicità sistemica. La sua applicazione è semplice: il catetere introdotto in vescica con la soluzione farmaco, è collegato a un generatore esterno di corrente pulsata a cui viene collegato un elettrodo dispersivo solitamente posizionato sull’addome. La somministrazione dura 30 minuti, non è dolorosa e può provocare un arrossamento della cute nell’area dove viene posizionato l’elettrodo dispersivo.

Il trattamento combinato
I risultati del primo studio clinico hanno portato all’attivazione di un secondo studio multicentrico che ha messo a confronto, in pazienti con tumori superficiali ad alto rischio, la somministrazione intravescicale di BCG da solo con la somministrazione sequenziale di BCG e mitomicina elettrostimolata. Il protocollo terapeutico prevede la somministrazione settimanale di BCG nelle prime due settimane e di mitomicina durante la terza settimana. Questo ciclo di tre instillazioni viene effettuato per tre volte fino a raggiungere un totale di nove instillazioni settimanali: sei di BCG e 3 di mitomicina. La combinazione dei due trattamenti, mitomicina e BCG, garantisce risultati migliori rispetto al solo BCG: una diminuzione della mortalità per cancro della vescica di oltre due terzi, con un tasso che passa dal 16 al 5%, un prolungamento del periodo di assenza delle recidive, che passa mediamente da poco meno di 2 anni a circa 7 anni, e, ancora, una riduzione di circa due terzi del tasso di progressione della malattia verso lo stadio più avanzato (dal 21 al 9%).
"Il BCG è un farmaco presente sul mercato dalla fine degli anni 70. Negli anni 80 ha avuto una diffusione importante (approvato dalla FDA per il trattamento del carcinoma in situ della vescica) ", spiega il professor Di Stasi. "Il BCG ha come meccanismo d’azione principale la stimolazione del sistema immunitario, tuttavia la somministrazione intravescicale si associa a una tossicità locale e talora sistemica che si osserva in molti dei pazienti trattati. La mitomicina è un chemioterapico ormai consolidato da tempo la cui tossicità, quando si manifesta, è prevalentemente localizzata alla vescica. Il trattamento combinato è particolarmente indicato nei pazienti con tumore della vescica superficiale ad alto rischio di recidiva e progressione".

Il tumore della vescica
La causa principale di questa neoplasia è il fumo di sigaretta ed è più frequente nel sesso maschile (rapporto M:F = 3:1), anche se negli ultimi anni si è registrato un significativo aumento delle diagnosi nel sesso femminile probabilmente legato ad una maggiore diffusione del tabagismo tra le donne. Nel 95% dei casi sono tumori a cellule transizionali e originano dall’epitelio che riveste le vie urinarie. I fattori di rischio sono: il fumo di sigaretta, l’esposizione cronica alle amine aromatiche e nitrosamine (frequente nei lavoratori dell’industria tessile, dei coloranti, della gomma e del cuoio), l’assunzione di farmaci come la ciclofosfamide e l’infezione da parassiti come Bilharzia e Schistosoma haematobium, diffusi in alcuni paesi del Medio Oriente (Egitto in particolare). Anche la dieta gioca un ruolo importante: fritture e grassi consumati in grande quantità sono infatti associati a un aumentato rischio di ammalarsi di tumore della vescica. Esistono, infine, prove a favore di una componente genetica quale fattore di rischio predisponente. "I sintomi più frequenti sono: l’ematuria (il sangue nelle urine che assume un colore rosso o ruggine), la disuria (l’alterato svuotamento vescica), la difficoltà ad urinare anche in presenza di stimolo. E nelle forme più avanzate dolore alla zona pelvica, dolore persistente al fianco", spiega Di Stasi. "Colpisce soprattutto gli uomini dopo i 60 anni e le donne dopo i 70. Una volta diagnosticato, le opzioni terapeutiche dipendono dallo stadio della malattia. La resezione endoscopica transuretrale, detta anche TURB, consente di diagnosticare e stadiare il tumore della vescica. Il chirurgo, con il paziente in anestesia locale o generale, introduce, in vescica, attraverso l’uretra, uno strumento endoscopico, il cistoscopio, e asporta i tessuti sospetti, che verranno poi analizzati al microscopio dall’anatomo patologo per determinare di che tipo di tumore si tratta e gli strati di tessuto della parete vescicale che infiltra".
Se diagnosticato negli stadi precoci il tumore è classificato come superficiale e viene trattato in modo conservativo con l’aggiunta della terapia intravescicale, che ha come obiettivo la riduzione dei tassi di recidiva, che variano dal 30 al 90% dei casi, e i tassi di progressione della malattia, che si osserva nel 4-20% dei pazienti. Per le forme più infiltranti e aggressive, invece, i progressi dei ricercatori si registrano sia sul fronte chirurgico che sulle terapie aggiuntive sistemiche come la chemioterapia, o locoregionali come la radioterapia. Oggi si ricorre a strategie di trattamento conservative che prevedono un approccio multidisciplinare (urologi, oncologi medici e radioterapisti) e mirano ad evitare la completa asportazione dell’organo, per conservare la potenza sessuale e la continenza urinaria.
Quando è necessario ricorrere a trattamenti chirurgici radicali, l’asportazione completa della vescica, le attuali tecniche chirurgiche e il miglioramento degli strumenti e dei materiali usati, consentono la ricostruzione dell’organo con segmenti di intestino: vescica ortotopica. Queste derivazioni urinarie consentono di eliminare le urine attraverso l’uretra in modo quasi normale e molto spesso di conservare la potenza sessuale, con un significativo miglioramento della qualità di vita dei pazienti.

Gli esami da fare
Per fare la diagnosi di tumore alla vescica i test di base sono: l’esame delle urine, l’urinocoltura, la citologia urinaria, l’ecografia dell’apparato urinario a vescica piena e la cistoscopia. Si ricorre anche alle tecniche di imaging.
L’esame delle urine è poco costoso, ma non sempre dà risposte precise. L’urinocoltura è più preciso e può individuare la quantità totale di germi pericolosi presenti nelle urine. Un altro esame importante è la citologia urinaria. È un esame particolare delle urine che permette di identificare la presenza di quelle cellule tumorali che si staccano continuamente dal tumore.
L’urografia (un particolare esame radiologico eseguito dopo aver somministrato al paziente il mezzo di contrasto) e la citologia urinaria (qualche volta uno solo di questi esami) permettono molto spesso di fare diagnosi di tumore vescicale. Se questi non sono ancora sufficienti l’urologo deve confermare la diagnosi con la cistoscopia: è la visualizzazione diretta della vescica attraverso un cistoscopio (un tubicino flessibile con un’estremità che illumina) introdotto nella vescica attraverso l’uretra. Se durante l’esame un tessuto genera il sospetto di un tumore, è possibile che lo specialista proceda a una biopsia, cioè prelevi un campione di tessuto, che viene analizzato poi al microscopio, per ricercare l’eventuale presenza di cellule tumorali. All’ecografia e all’urografia si possono aggiungere altre tecniche di imaging come la Tomografia Computerizzata (TC), la Risonanza Magnetica (RM) e più recentemente la Tomografia a Emissione di Positroni (PET). Si tratta di esami radiografici sofisticati, che fotografano parti interne del corpo attraverso l’uso di un computer; questi esami sono spesso eseguiti previa somministrazione endovenosa di un mezzo di contrasto. Da segnalare che oggi l’urografia ha ceduto il passo all’Uro-Tc, un misto tra urografia e Tac.

La dimensione del fenomeno
Quante persone si ammalano di tumore della vescica ogni anno in Italia?
Secondo dati recenti, che risalgono alla fine degli anni Novanta, in Italia si verificano oltre 20.000 nuovi casi all’anno, di cui oltre 16.000 nuovi casi tra gli uomini e poco meno di 4.000 nuovi casi tra le donne.
Qual è la mortalità per tumore della vescica?
Il numero di decessi per tumore della vescica in Italia è di circa 4.000 uomini e 1.000 donne in un anno, con una probabilità di ammalarsi (da zero a 74 anni) del 4% circa per gli uomini e di meno dell’1% per le donne.
In tutta l’Unione europea la mortalità annua è in media di 9 persone su 100.000 (11 per gli uomini, 4 per le donne).
Qual è la frequenza del tumore della vescica nei Paesi dell’Unione europea?
In Europa (Unione dei Paesi Europei) il tumore della vescica è il quarto tumore più frequente tra gli uomini, e rappresenta il 7% tra tutti i tumori maschili. Il numero di nuovi casi all’anno su 100.000 persone è di 32 uomini e di 9 donne. L’incidenza (numero di nuovi casi all’anno) del tumore della vescica è in moderato aumento, o pressoché costante, in quasi tutti i Paesi sviluppati.
Ci sono differenze di età e di sesso nella frequenza del tumore?
Il tumore della vescica è molto più frequente tra gli uomini, inoltre per gli uomini l’incidenza cresce rapidamente con l’aumentare dell’età. Circa il 70% dei pazienti (uomini e donne) affetti da tumore della vescica ha più di 65 anni.

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