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Il papilloma virus umano
Annalisa Cretella, N. 8/9 agosto/settembre 2005
Un virus molto comune, che si trasmette prevalentemente per via sessuale è la
causa del 99,7% di casi di tumore al collo dell'utero. Si tratta del Papilloma
virus umano (HPV). Questo virus, di cui esistono moltissimi tipi che si differenziano
per il loro contenuto di DNA è la causa più frequente di infezione
genitale nella donna. L'infezione da HPV è il principale fattore di
rischio per l'insorgenza del cancro alla cervice, uno fra i tumori più temuti,
il secondo al mondo per frequenza (dopo quello della mammella), il settimo
in Europa, dove colpisce 33.500 donne ogni anno e ne uccide 15.000.
Attualmente
si conoscono più di 100 tipi di questo virus, che possono
coinvolgere qualsiasi parte del corpo, ma solo 18 sono responsabili del tumore
alla cervice.
Oggi si ritiene che l'infezione da HPV sia una delle più comuni malattie
sessualmente trasmesse. La sua massima incidenza si ha nelle persone di età compresa
tra i 20 e i 35 anni. L'arma vincente contro questa patologia è la prevenzione,
basata su controlli periodici e sull'attenzione verso alcune semplici regole
igienico sanitarie. Detto questo, non tutte le donne con infezione da HPV svilupperanno
il tumore. Gioca un ruolo importante la predisposizione genetica che non è però prevenibile.
Per questo è di fondamentale importanza sottoporsi regolarmente al Pap-test
per la diagnosi dell'HPV o per individuare la presenza di cellule cervicali
atipiche. In attesa di nuove tecniche diagnostiche, il Pap-test tradizionale
può essere già di per sé sufficientemente sicuro se eseguito
correttamente per verificare stati infettivi da HPV (la possibilità di
errore può arrivare fino al 36% dei casi).
I rapporti più a rischio di trasmissione di infezioni da HPV sono quelli
in età precoce, perché i tessuti ancora giovani del collo dell'utero
sono più a rischio di contrarre infezioni. I papilloma virus sono una
famiglia di agenti infettanti capaci di causare trasformazioni del DNA delle
cellule del collo dell'utero e quindi tumori. Questi virus possono rimanere
in incubazione da pochi giorni ad anni e questo rende complicato individuarne
la presenza.
Come si manifesta
È un virus asintomatico. Quindi non ci accorgiamo di averlo. L'incubazione
può infatti andare da poche settimane a qualche anno.
Anche se si sono
manifestate verruche della pelle, altri tipi di condilomi genitali non sempre
sono visibili ad occhio nudo.
Come si contrae il virus
L'infezione virale con papilloma virus umani nel 60% dei casi si contrae per
trasmissione sessuale. Ma si sono verificati casi di HPV anche in bambini
e in anziani.
La prevenzione
Ogni anno migliaia di donne in tutta Europa,
perdono la vita a causa di questo tumore che si può curare se diagnosticato per tempo. Essendo l'HPV trasmesso
il più delle volte attraverso l'attività sessuale, la prevenzione
si basa su un comportamento sessuale attento nel prevenire ogni genere di infezioni.
In particolare si raccomanda l'uso del profilattico, anche se questo non è sufficiente
a proteggere dal contagio, poiché l'area coinvolta è più ampia
di quella coperta dal condom. Oltre a un'indubbia predisposizione genetica (non prevenibile), può portare
alla comparsa di un'infezione da papilloma virus tutto ciò che sopprime
le difese immunitarie. È consigliabile: smettere di fumare, in quanto
il fumo di sigaretta, interferendo con il sistema immunitario, può permettere
al virus di instaurare un'infezione e di mantenerla; evitare droghe e alcool che possono
sopprimere le difese immunitarie; per lo stesso motivo va evitato lo stress; mangiare
sano e fare sesso sicuro.
Esami salvavita: Pap-test, Colposcopia e biopsia
Le lesioni genitali non sono visibili a occhio nudo, ma possono essere diagnosticate
con il Pap-test, la Colposcopia, la biopsia, o con test virali specifici per
ogni tipo di virus.
Il Pap-test permette di identificare i coilociti. Vanno sotto
questo nome le cellule cervicali che manifestano, all'esame microscopico, delle
alterazioni dovute all'azione del virus HPV. Inoltre il Pap-test segnala se oltre
alla coilocitosi sono presenti cellule di tipo displasico (Displasie, oppure
CIN, oppure SIL). Tutt'oggi solo il 50% delle donne in età da Pap-test
effettuano l'esame almeno una volta ogni cinque anni. Con notevoli differenze
fra il centro-Nord (che raggiunge punte del 75%) e il sud che globalmente non
supera il 35%.
La Colposcopia permette di valutare sul collo dell'utero l'esistenza
e la localizzazione delle lesioni segnalate dal Pap-test, e quindi consente di
individuare con precisione, la sede su cui effettuare una biopsia mirata.
La biopsia
consiste nel prelievo di un piccolo frammento della lesione, che viene poi inviato
al laboratorio per essere analizzato.
Metodologie di cura
Il papilloma virus è trattabile ma non curabile. Allo stato attuale
non esiste, come del resto per la quasi totalità delle malattie virali,
una vera e propria cura per questa patologia. Nessuna terapia dà la
garanzia assoluta che la malattia virale e quindi anche la sua eventuale trasformazione
maligna, non si ripresenti più.
Per le lesioni a livello del collo dell'utero è determinante l'eventuale
associazione di una displasia. Questa può essere di diversi gradi: displasia
lieve, moderata o grave. Questo, insieme ad altre considerazioni, determina
la scelta di un trattamento rispetto all'altro. Le lesioni di Alto Grado vengono
asportate con il bisturi, con il Laser, o con una particolare "ansa termica" (Leep)
che in pochi minuti consente di eliminare la parte malata. Le lesioni di Basso
Grado possono tranquillamente essere monitorate nel tempo senza dover distruggere
nulla, ma controllando periodicamente il loro stato. Ciò consente di
evitare trattamenti invasivi su di un organo così importante come il
collo dell'utero anche ai fini della gravidanza e del parto.
Nella scelta del
trattamento è da tener presente che è importante
poter effettuare l'esame istologico di tutta la lesione asportata. Pertanto
sono sconsigliati quei metodi che mirano alla distruzione della lesione (diatermocoagulazione
o vaporizzazione laser) senza possibilità di esame istologico. È invece
da preferire un trattamento che consiste nell'escissione di tutta la lesione
(ansa diatermica) e consente quindi un suo esame istologico. È bene
però sapere che qualsiasi tipo di lesione da papilloma virus può sia
persistere dopo il trattamento, sia recidivare in un tempo variabile. E questo
indipendentemente dal trattamento scelto.
Escissione elettrochirurgica con ansa (Leep)
È un metodo rapido che solitamente si esegue in day hospital, e non
richiede l'anestesia generale, ma è sufficiente quella locale. Dopo
averla eseguita si procede all'escissione della parte interessata con una speciale
ansa elettrochirurgica. Il pezzetto viene quindi inviato in laboratorio per
diagnosi microscopica definitiva. Con questa tecnica la ricomparsa a distanza
di 12 mesi dopo il trattamento, è del 10%. Non ci sono conseguenze sulla
fertilità futura della donna, né sul parto.
Dopo l'intervento
Dopo tre mesi dall'intervento, la paziente si dovrà sottoporre a
un Pap-test e a una colposcopia di controllo. Se il risultato non evidenzia
problemi, il controllo successivo e gli stessi esami, saranno fissati dopo
altri sei mesi. E così via per due anni.
Risultati
Se viene asportata tutta la parte interessata
dalla lesione, allora non ci sarà bisogno di un ulteriore intervento. In caso contrario ci si dovrà sottoporre
a un "ritocco" chirurgico. Per chiarezza, però, è bene sapere
che nessuna terapia, compresa l'asportazione dell'utero, può dare la
garanzia assoluta che la malattia virale e quindi anche la sua eventuale trasformazione
maligna non si ripresenti più. È attualmente impossibile, infatti,
sapere se il proprio sistema immunitario sia in grado di cancellare completamente
il virus dal corpo o se esso resta a livelli non rintracciabili.
Dopo che le verruche
si sono risolte, alcuni ritengono che la probabilità di
trasmissione del virus diminuisca col tempo, ma in realtà è difficile
dire se e quando tale rischio diventa nullo.
Due "nuove" armi: il test HPV e il
vaccino
La scienza, oggi, ha comunque molte più armi rispetto a qualche anno
addietro, in particolare il test HPV, che permette di conoscere la predisposizione
di una persona a sviluppare o meno quella determinata patologia e soprattutto
un vaccino, il Gardasil(TM) della Merck, ancora in fase sperimentale, ma nel quale
si concentrano molte speranze. Facciamo il punto sulla sperimentazione, dopo
due anni e mezzo dall'inizio, con il professor Massimo Moscarini, direttore
dell'Unità Operativa di Ginecologia dell'Ospedale Sant'Andrea, II Facoltà di
Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza",
che è uno dei cinque centri italiani che partecipa allo studio.
Il test
Tutte le donne dovrebbero sottoporsi al test HPV
per la diagnosi. È uno
strumento straordinario che permette di prevenire la malattia, cioè consente
di sapere se una persona è o meno a rischio di sviluppare un tumore
al collo dell'utero nel futuro. Dovrebbe essere eseguito dalle donne dopo i
30 anni. Il test HPV esiste da diverso tempo, ma solo negli ultimi anni si è arrivati
a una versione trasferibile nella pratica clinica quotidiana. La diffusione
del kit è stata, da alcuni anni, approvata dalla Food and Drug Administration
(Fda), a riprova della sicurezza e dell'affidabilità del test. Questo
esame si effettua con le stesse modalità del Pap-test, cioè il
prelievo di cellule dal collo dell'utero, ma a differenza di quest'ultimo,
non si basa sull'analisi della forma cellulare ma sulla ricerca del Dna virale.
Per capirci, non è soggettivo ma oggettivo. Non dipendendo, dunque,
dall'esperienza del ricercatore, si elimina del tutto la possibilità di
errore umano. La cosa importante è che, essendo autorizzato anche in
Europa, il test è rimborsabile dal sistema sanitario nazionale e si
può eseguire in vari centri di tutta Italia. In caso di risultato positivo
comunque non bisogna allarmarsi, il rischio non equivale a una certezza. Ma è opportuno
monitorare la situazione con controlli frequenti, il primo dopo sei mesi, e
i successivi a distanza di un anno. Basti pensare che circa il 70-80% delle
donne contrae l'HPV ai primi rapporti sessuali, ma quasi tutte lo eliminano
spontaneamente attraverso le proprie difese naturali. Quando il test è negativo,
invece, il rischio non c'è, o almeno non è imminente e quindi
il prossimo controllo può essere ripetuto anche dopo tre anni.
Il vaccino
L'Italia è tra i paesi che hanno iniziato la sperimentazione del nuovo
vaccino preventivo tetravalente, contro i quattro ceppi più pericolosi
di HPV. Questo vaccino protegge sia dall'infezione benigna (la malattia a trasmissione
sessuale più diffusa al mondo), sia, soprattutto, dal rischio di sviluppare
il tumore del collo dell'utero.
Sono cinque i centri coinvolti in Italia: l'Università di Palermo,
gli Ospedali civili di Brescia, l'Istituto Nazionale per la cura dei Tumori
di Napoli, l'Università La Sapienza e l'Istituto Regina Elena, entrambi
di Roma.
«Lo studio in oggetto è uno studio multicentrico, internazionale,
di Fase III, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo in cui
sono arruolate circa 25.000 giovani donne, 70 in Italia, di età compresa
tra i 16 e i 23 anni il cui obiettivo è quello di valutare l'efficacia
e la tollerabilità del vaccino», ha spiegato il professor Massimo
Moscarini, ordinario di ginecologia e ostetricia dell'Università degli
studi di Roma La Sapienza, e direttore U.O.C. di ginecologia dell'ospedale
Sant'Andrea di Roma.
I ricercatori stanno verificando se il vaccino in sperimentazione
sia in grado di dare una potente risposta immunitaria, con la produzione di
anticorpi capaci di proteggere contro l'infezione.
Dall'analisi dei primi risultati è emerso che la risposta immunitaria è molto
più elevata di quella naturale, ponendo questo vaccino tra i più efficaci. «Il
nuovo vaccino tetravalente Gardasil(TM) della Merck contro l'HPV», spiega
il professor Moscarini, «riduce in maniera significativa rispetto al
placebo l'incidenza combinata dell'infezione persistente dai genotipi 6, 11,
16 e 18 di HPV e delle malattie correlate, comprese le nuove lesioni cervicali
pre-cancerose e i condilomi acuminati».
Di che tipo di vaccino si tratta? «Viene somministrato mediante un'iniezione
intramuscolare nel deltoide o sulla coscia, in tre dosi, analogamente a quanto
avviene per il vaccino anti epatite B. È un vaccino anti HPV tetravalente,
contro i 4 sierotipi più frequentemente associati alle lesioni del basso
tratto genitale (6, 11, 16 e 18); in particolare i sierotipi 6 e 11 sono responsabili
dei condilomi genitali, mentre i restanti due tipi sono implicati nell'etiopatogenesi
del carcinoma della cervice uterina», risponde il professor Moscarini. «Il
vaccino tetravalente anti HPV non contiene virus vivi attenuati, né virus
uccisi modificati come alcuni vaccini antivirali. Pertanto, non contenendo
il DNA virale, che rappresenta la parte oncogena, non è in grado di
causare infezione». Ricordiamo che il papilloma, colpisce integrandosi
nelle cellule. Inattiva due proteine importanti per la regolazione del ciclo
cellulare, innescando un meccanismo di proliferazione incontrollata e scatenando,
così, il cancro. Il vaccino ha l'obiettivo di svegliare il sistema immunitario
creando anticorpi contro i 4 sottotipi del virus più diffusi e più pericolosi,
quelli che causano tumori e condilomi.
Professore, arrivati a metà del
cammino, possiamo fare un bilancio provvisorio?
«I risultati sono estremamente buoni. Ma per i dati definitivi bisognerà aspettare
ancora un anno. Per ora si deve far riferimento ai risultati dello studio,
di Fase II, controllato, randomizzato, in doppio cieco con placebo (pubblicato
su "The Lancet Oncology" nel maggio 2005). Al termine di 2 anni e mezzo di
follow-up successivi alla vaccinazione di più di 500 donne, Gardasil(TM) ha
ridotto dell'89% l'incidenza combinata dell'infezione persistente dai genotipi
di HPV 6, 11, 16, o 18 e delle malattie genitali correlate, comprese le nuove
lesioni cervicali e i condilomi acuminati, rispetto al placebo nelle donne
che all'inizio dello studio risultavano negative a questi tipi di HPV».
Dunque,
in base ai risultati degli studi di fase II e ai dati attualmente a disposizione
relativi allo studio in fase III, il vaccino tetravalente ha mostrato di essere
altamente efficace e ben tollerato. Fino a oggi il controllo delle malattie
virali è avvenuto esclusivamente mediante la vaccinazione
profilattica. I potenziali effetti della vaccinazione anti HPV su una popolazione
target sembrerebbero entusiasmanti: nessun rischio di sviluppare la malattia
dopo la somministrazione di vaccino e protezione immunitaria contro l'infezione
da Papilloma virus, contro le malattie causate da questo virus, compreso il
carcinoma della cervice uterina. Il vaccino utilizzato nello studio immunizza
contro il 16, responsabile del 50% dei tumori alla cervice; il tipo 18 ne causa
un altro 20%. Ad altri tipi virali si attribuisce il resto dei casi. Altri
ancora come il 6 e l'11, non causano tumore, ma i fastidiosi condilomi acuminati
o le cosiddette verruche vaginali.
Un'altra considerazione che fa ben sperare
sulla validità di questo
vaccino è che, allo stadio attuale dello studio, non si sono verificate
controindicazioni. «Nella nostra esperienza il vaccino si è dimostrato
ben tollerato: l'unico evento avverso più comunemente riferito è il
dolore e l'aumento di sensibilità nel punto di iniezione», spiega
il professor Moscarini.
Il potenziale di questa nuova strategia è enorme; restano però alcune
incertezze. Il dubbio principale riguarda l'efficacia del vaccino sulla lunga
durata. Ci si chiede se il risultato protettivo ottenuto si manterrà nel
tempo. Le donne immunizzate non sono state seguite abbastanza a lungo perché si
possa rispondere al quesito. Solo un effetto duraturo difende dal tumore e
il timore dei medici è che la protezione nella donna non resti una costante.
Altra domanda a cui ancora non è stata data una risposta è se
il vaccino funzionerà, in donne già infettate, ma che ancora
non hanno lesioni. Di certo l'ideale sarebbe che funzionasse non solo in chi
non è stato infettato, ma anche in chi lo è già, ossia
con azione non solo preventiva ma anche terapeutica. E poiché gli uomini
possono trasmettere il virus con i rapporti sessuali, ma non sviluppano patologie,
si comincia a pensare che in prospettiva, si potrebbe vaccinare anche loro
per ottenere una doppia sicurezza. Il preservativo, infatti, può ridurre
le infezioni, ma non prevenirle. Il Papilloma Virus, infatti, si diffonde per
contatto e occupa un territorio ben più vasto di quello protetto dal
condom.
Giornata Europea dell'HPV
Si è svolta il 28 gennaio scorso la giornata europea di prevenzione
del tumore del collo dell'utero (Giornata dell'HPV) in vari paesi dell'UE,
organizzata dal Comitato "Donne a favore del test HPV". L'obiettivo principale
della giornata, é stato informare il pubblico sulla prevenzione e lo
screening del tumore del collo dell'utero. In Italia, si registrano ancora
3700 casi all'anno di donne colpite da tumore del collo dell'utero e sono oltre
1800 i decessi dovuti a questa forma tumorale. Il Comitato si adopera per sensibilizzare
le donne sul tumore del collo dell'utero, ma pure per fare in modo che la lotta
contro questo tumore diventi una priorità di salute pubblica. Per questo
motivo, l'associazione sta cercando di ottenere la pubblicazione di linee guida
nazionali e regionali per lo screening del tumore del collo dell'utero e ha
lanciato una petizione (anche on line su www.donneafavoredeltestHPV.org )
per ottenere l'introduzione in tutta Europa del test HPV. Per effettuare il
test, viene prelevato un campione di cellule dal collo dell'utero proprio come
avviene per il Pap-test. In laboratorio verrà analizzato dal punto di vista
molecolare utilizzando un'apposita strumentazione in grado di riconoscere il
Dna virale e quindi di segnalare la presenza del virus. Il test HPV non sostituisce
il Pap-test, perché hanno obiettivi diversi: il Pap-test è studiato
per identificare le lesioni pretumorali, mentre il test HPV identifica l'eventuale
presenza del virus che è segno di un aumentato rischio di sviluppare
una precancerosi.
Per informazioni sul vaccino HPV
Università La Sapienza
di Roma, professor Massimo Moscarini
tel. 06 80345696.
Indirizzi utili
Azienda ospedaliera sant'andrea
Via di Grottarossa, 1035/1039 - 00189 Roma
Centralino: 06.803451 Fax: 06.80345001
Prenotazioni/informazioni: 800.986868
- 06.8034501.1-2
Sito: http://www.ospedalesantandrea.it
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