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Quando la pelle si ammala
Paola Sarno, N. 5 maggio 2005
Con il professor Luca Massimo Chinni, primario dermatologo dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (I.D.I.) I.R.C.C.S. di Roma, e la dottoressa Caterina Catricalà, direttore del Dipartimento Clinico-Sperimentale di Dermatologia Oncologica dell’Istituto San Gallicano I.R.C.C.S. di Roma abbiamo parlato delle neoplasie cutanee.
«I più frequenti tumori maligni della pelle sono i carcinomi e il melanoma: i primi originano dalle cellule degli strati più superficiali dell’epidermide o cheratinociti; il secondo origina dalle cellule deputate alla produzione di melanina o melanociti», afferma la dottoressa Caterina Catricalà.
«Sostanzialmente possiamo distinguere tre tipi di tumori cutanei, escludendo i linfomi che non originano dalla cute, ma a volte si esprimono sulla cute: il carcinoma basocellulare, il carcinoma squamocellulare e il melanoma, senza considerare tutte le precancerosi, cioè le discheratosi dovute ai raggi solari, che con il tempo si trasformano in carcinomi. Addirittura oggi si definisce discheratosi seborroica quella patologia che viene quantificata come carcinoma “in situ”. Il tumore più grave, fra i tre, è senz’altro il melanoma. Di gravità media, ma piuttosto preoccupante, è il carcinoma squamocellulare e più benigno degli altri viene considerato il carcinoma basocellulare, non tanto perché non sia costituito da cellule maligne, quanto perché non dà quasi mai metastasi», aggiunge il professor Luca Massimo Chinni.
«Quanto all’incidenza nella popolazione, i tumori cutanei sono più frequenti nella razza bianca: i carcinomi cutanei sono in continuo aumento, 18-20 volte di più rispetto al melanoma, a causa del fatto che oggi si va molto più facilmente di prima in vacanza nei paesi tropicali e ci si espone di più ai rischi del sole», interviene la dottoressa Catricalà.
«L’incidenza di tali neoplasie varia a seconda di diversi fattori, quali la predisposizione genetica, l’età, il sesso, il tipo di attività lavorativa, la regione geografica e il fototipo», continua a spiegare la direttrice del Dipartimento Clinico-Sperimentale di Dermatologia Oncologica dell’Istituto San Gallicano I.R.C.C.S. di Roma. «I due carcinomi cutanei costituiscono più di un terzo di tutte le neoplasie negli U.S.A., con un’incidenza stimata superiore a 600.000 casi per anno. Di questi, il 90 percento è rappresentato da carcinomi basocellulari e il 10 percento da carcinomi squamocellulari. Una più alta incidenza di carcinomi cutanei è registrata in Australia con circa 1000-2000 per 100.000 casi all’anno.
Anche in Italia è stato registrato un aumento del 3-8 percento dagli anni ’60 in poi. Sono rari al disotto dei 40 anni e prediligono il sesso maschile».
«È più frequente negli uomini che nelle donne perché questi ultimi si espongono di più alla luce solare. Basti pensare a tutti gli uomini che non hanno più la protezione dei capelli, che costituiscono un forte filtro di difesa. In generale è possibile affermare che il carcinoma basocellulare ha un’incidenza dieci volte superiore rispetto al carcinoma squamocellulare, anch’esso originato dai raggi solari, ma che trova terreno fertile in alcuni tipi di lesione cutanea discheratosiche. Si tratta di un tumore rischioso perché può dare diverse metastasi», spiega meglio il primario dermatologo dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (I.D.I.) I.R.C.C.S. di Roma.
E che dire del melanoma?
«Il melanoma cutaneo rappresenta il 2-3 percento di tutti i tumori maligni del Nord Europa e degli Stati Uniti. Il melanoma si presenta in entrambi i sessi con un rapporto di 1:1 negli USA e in Australia, e di 1:2 in Europa. Le donne presentano una prognosi migliore. Il periodo di maggiore incidenza si ha tra i 30 e 55 anni, mentre è raro al di sotto dei 15 anni di età. Negli ultimi 20 anni, sono stati stimati a livello mondiale circa 100.000 nuovi casi con un incremento di circa il 15 percento rispetto al decennio precedente. Nel 2000, in Europa, sono stati diagnosticati 26.100 nuovi casi di melanoma nel maschio e 33.300 nella femmina, e si sono registrati circa 15.000 decessi. In Italia l’incidenza è pari a 7-10 casi/100.000 abitanti/anno», afferma la dottoressa Caterina Catricalà. Secondo la casistica del professor Chinni, invece, «il melanoma colpisce intorno ai 50-55 anni con un’incidenza del 21 percento, eccettuato il melanoma tipo lentigo-maligna che colpisce sulle efelidi del viso, intorno ai 65 anni e che ha un’incidenza percentuale molto più bassa, intorno al 9 percento, e il melanoma lentigginoso-acrale che colpisce le macchie cutanee delle mani e dei piedi nella percentuale del 4 percento circa della popolazione, e il melanoma inclassificabile in percentuali ancora minori. Ciò non significa», afferma tuttavia il professor Chinni, «che i giovani non vengano colpiti dal melanoma: anzi negli ultimi anni è stato riscontrato un aumento di questa patologia proprio nelle fasce di età più bassa». Entrambi gli esperti, comunque, sono concordi nell’affermare che oggi anche dal melanoma è possibile guarire.
«Il confronto degli andamenti di incidenza e di mortalità, negli ultimi 30 anni, mostra due diversi aspetti: un incremento costante dei tassi totali di incidenza con un rallentamento di quelli di mortalità, soprattutto nei gruppi di età più giovane (Italia, Danimarca, Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti). Ciò è dovuto soprattutto a una maggiore sensibilizzazione realizzata attraverso le campagne di educazione sanitaria», afferma la dottoressa Catricalà. Un po’ meno ottimista, forse, il professor Chinni: «Il melanoma oggi è curabile se il neo, in fase di trasformazione, viene aggredito rapidamente e non ha ancora raggiunto gli strati più profondi del derma.
Un melanoma istopatologicamente di spessore inferiore ai 75 mm è per lo più guaribile.
Quando lo spessore raggiunge i 2-2,5 mm, siamo in presenza di un melanoma grave ed è necessario tenere costantemente sotto controllo il paziente, soprattutto perché spesso questo tumore è poco sensibile alla chemioterapia. Per questo, quando si opera un melanoma dello spessore di un mm, si fa un controllo per verificare che non ci siano già metastasi in transito».
Diverso il discorso per i carcinomi: «Se il carcinoma basocellulare viene asportato chirurgicamente in maniera completa, non ha alcuna possibilità di recidiva, in quanto si tratta di un tumore che non produce metastasi. Dal punto di vista chirurgico e istopatologico è solo importante assicurarsi che i margini siano indenni dalla neoplasia», spiega il professor Chinni. «Per quanto riguarda, invece i carcinomi spinocellulari, bisogna fare un costante follow up per verificare se nell’arco di cinque-sette anni non sorgano metastasi locoregionali».
Quale ruolo giocano quindi la prevenzione primaria e secondaria?
«Scopo della prevenzione primaria è quello di educare la popolazione a una corretta fotoesposizione.
Questo obiettivo si raggiunge sconsigliando, soprattutto per i fototipi chiari e per i bambini, le brusche e intense esposizioni al sole e indicando correttamente le modalità e i tempi di fotoesposizione: utilizzo di cappelli, magliette, pantaloncini e/o creme con fattore di protezione solare adeguate al proprio fototipo», afferma Caterina Catricalà. «Lo scopo della prevenzione secondaria è quello di ridurre la mortalità. Poiché lo screening di massa nel caso del melanoma non è attuabile per le difficoltà gestionali e gli elevati costi sanitari, si pratica uno screening selettivo, diretto cioè ai soggetti a rischio: fototipo I e II, familiarità per melanoma, pregresso melanoma, elevato numero di nevi, lesioni pigmentate in evoluzione secondo le regole dell’ABCDE».
«Bisogna distinguere fra mappatura dei nei, che va fatta due volte all’anno, preferibilmente prima e dopo il periodo estivo, ed epiluminescenza. Io ritengo», dichiara il professor Chinni, «che la macchina che sbaglia meno su un neo sia l’occhio umano, per questo consiglio innanzitutto la mappatura, in base alla quale un esperto è già in grado di poter dire se un neo deve essere eliminato al più presto o no. Se invece c’è una pigmentazione un po’ irregolare che non tranquillizza, allora, si può ricorrere all’epiluminescenza, cioè la videodermatoscopia, che dà tutte le caratteristiche di un neo».
Ma se ci troviamo di fronte a un “brutto neo” che cosa ci aspetta? Su quali terapie possiamo contare?
A risponderci è la dottoressa Catricalà. «Il trattamento terapeutico dei tumori cutanei è essenzialmente chirurgico. L’asportazione chirurgica consente, infatti, la guarigione definitiva nel
93-98 percento dei casi diagnosticati in fase precoce.
Le opzioni terapeutiche non chirurgiche per i carcinomi cutanei comprendono: la crioterapia, la laserterapia, la radioterapia, il curettage seguito dalla diatermocoagulazione, l’applicazione topica di chemioterapici e di immunomodulanti, quali il 5-fluorouracile (5-FU) e l’imiquimod 5 percento, o di retinoidi topoci quali l’acido tazarotenico; infine, è di recente introduzione l’infiltrazione intra e peritumorale d’interferon-a-2b. Di recente utilizzo è la terapia fotodinamica (PDT) con applicazione topica di pomate a base di derivati porfinici, quali l’acido delta-aminolevulinico. La PDT è una metodica non invasiva, che determina la distruzione selettiva del tessuto neoplastico, avvalendosi di una sostanza fotosensibilizzante attivata da una fonte luminosa con lunghezza d’onda di 630 nm.
Il melanoma cutaneo primitivo deve essere sempre asportato chirurgicamente e l’escissione chirurgica deve comprendere un margine di sicurezza di tessuto sano ai bordi della lesione. L’estensione di tale margine varia in funzione dello spessore del melanoma: per i melanomi più superficiali è sufficiente 1 cm di margine, ma il margine profondo deve raggiungere, in tutti i casi, la fascia muscolare sottostante. In tutti i casi di sospetto di tumore cutaneo deve essere effettuato un attento esame istologico.
Il futuro ci riserva qualche speranza in più?
«Gli studi di citogenetica e di genetica molecolare hanno portato all’individuazione del gene CDKN2A implicato nel melanoma familiare e multiplo, allo studio delle varianti alleliche del gene MC1R nel melanoma sporadico, familiare e multiplo. Tali studi permetteranno di effettuare una prevenzione mirata nei soggetti geneticamente più a rischio», conclude la dottoressa Catricalà. «Infine, per il melanoma cutaneo, sono in fase di sperimentazione numerosi “vaccini”, intesi come la stimolazione del sistema immunitario del soggetto affetto per migliorare la risposta anticorpale in grado di riconoscere e combattere specificamente la diffusione delle cellule neoplastiche. I primi dati sperimentali sono incoraggianti».
Ultimi dati dall’Oms
Circa 132mila casi di melanoma e oltre 2 milioni di altri tumori della pelle vengono scoperti ogni anno nel mondo. Lo ha affermato a Ginevra, lo scorso 18 marzo, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in un comunicato, sottolineando come l’esposizione ai raggi dei solarium e delle lampade Uv contribuisca ad accrescere il numero dei tumori della pelle. Per questo, l’Oms ha anche raccomandato di vietare l’uso dei solarium ai minori. Circa 66mila persone muoiono ogni anno a causa di melanomi maligni, ed è per questo che l’Oms, prima dell’arrivo della bella stagione, mette in guardia contro l’abbronzatura eccessiva e l’utilizzo dei solarium. La frequenza dei tumori della pelle è più alta nei paesi del nord dove abbronzarsi è una moda. In Norvegia e in Svezia, la media annuale dei casi di melanoma è triplicata nel corso degli ultimi 45 anni mentre è raddoppiata negli ultimi trent’anni negli Stati Uniti. “I raggi Uv delle lampade possono essere molto più forti dei raggi del sole a mezzogiorno in piena estate. L’Oms - si sottolinea nel comunicato - raccomanda ai governi di rinforzare i controlli per l’uso di solarium e soprattutto vietarne l’uso ai minori”.
Regole per una corretta esposizione al sole
- Non esporsi tra le 12 e le 16.
- Esporsi in maniera graduale e progressiva.
- Utilizzare creme schermanti con un fattore di protezione solare adeguato al fototipo e ripetere l’applicazione ogni ora e mezza.
- Utilizzare cappello con visiera, vestiti e ombrellone.
- Proteggere soprattutto i bambini.
- Limitare l’abbronzatura artificiale: sconsigliare l’utilizzo delle lampade UVA agli individui con fototipo chiaro, ai soggetti con pregresse neoplasie cutanee e ai ragazzi di età inferiore ai 18 anni.
Un nuovo centro per l’epilessia oncologica all’Istituto Regina Elena di Roma
È nato a Roma, il 1 marzo scorso, all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena un centro dedicato all’epilessia causata da tumori. «A tre anni dall’inaugurazione dell’ambulatorio per l’epilessie oncologiche», dichiara Francesco Cognetti, direttore scientifico dell’Ire, «oggi è possibile seguire il paziente anche in day hospital o in ricovero ordinario e, attraverso la dotazione di sofisticate apparecchiature, monitorare l’attività cerebrale del paziente durante la terapia farmacologia e durante gli interventi neurochirurgici». In Italia si stima che, su un totale di 500.000 persone affette da malattia epilettica, circa 15.000 siano colpite da epilessia a causa di un tumore. Le crisi epilettiche sono molto frequenti in pazienti con neoplasie cerebrali: rappresentano il primo segno che conduce alla diagnosi nel 30 percento dei casi, e nel 35 percento si presenteranno durante la malattia. Sono questi numeri che hanno dato il via alla decisione di creare un centro dedicato.
La qualità della vita dei pazienti con tumori cerebrali associati a crisi epilettiche è alterata da tre fattori principali: la perdita di controllo sul proprio corpo e sull’ambiente circostante con la frustrazione che ne deriva; l’emarginazione sociale della persona con crisi epilettiche, ancora più netta in pazienti con tumore; gli effetti collaterali dei farmaci, derivanti spesso dalla chemioterapia e dalle terapie antiepilettiche di vecchia generazione. «Il nuovo Centro per le epilessie oncologiche» sottolinea Cognetti, «si colloca come riferimento nazionale per queste problematiche: a livello medico, offre tutte le attività che riguardano la diagnosi, la gestione della terapia, l’attenzione alla qualità di vita e al reinserimento nell’ambiente familiare e sociale e, a livello della ricerca scientifica, lavora allo sviluppo di nuove tecniche di diagnosi, monitoraggio e studio dei nuovi farmaci e delle possibili interazioni farmacologiche».
«Tutto ciò può avvenire», aggiunge Bruno Jandolo, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ire, «grazie alle significative risorse investite nel nuovo centro, sia per gli specialisti che vi operano, sia per le dotazioni tecnologiche di alta specializzazione di cui il centro dispone».
Il percorso diagnostico e terapeutico prevede un approccio globale alla persona. «Riteniamo, infatti», continua Marta Maschio, responsabile del Centro «che l’obbligo di curare il paziente da parte del medico non equivalga all’obbligo di guarire, bensì a quello di dare al paziente ciò di cui ha bisogno».
Il paziente con diagnosi oncologica viene sottoposto a visita neurologica presso l’ambulatorio per le epilessie, viene poi accolto dallo psicologo clinico e, quindi, in base all’ipotesi diagnostica, sottoposto a esami strumentali di tipo neurofisiologico e neuroradiologico. Successivamente, per una più precisa e completa diagnosi, vengono effettuati esami neurofisiologici di alta specializzazione. La dotazione di tecniche di monitoraggio neurofisiologico altamente sofisticate, quali il Sistema Video-EEG, permette l’analisi computerizzata dell’attività elettrica cerebrale e l’analisi quantitativa dell’attività di fondo EEG e della sua distribuzione topografica nelle differenti aree corticali e, insieme all’EEG Dinamico 24 ore, rende possibili numerosi campi di ricerca scientifica in ambito neurofisiologico.
I dati raccolti tramite EEG Dinamico, Video-EEG e Mappaggio Topografico consentono di definire la corretta natura delle manifestazioni cliniche del paziente, permettendo così di escludere quelle non dovute direttamente alla neoplasia, di studiare le aree cerebrali coinvolte, di scegliere la terapia antiepilettica più adatta per la specifica tipologia di crisi, nonché valutare l’efficacia e l’eventuale tossicità dei farmaci utilizzati.
Completato l’iter diagnostico epilettologico, l’equipe specialistica del centro grazie alla collaborazione interdisciplinare indirizza il paziente agli interventi terapeutici mirati: intervento neurochirurgico, chemioterapico, radioterapico, terapia antiepilettica e di supporto.
Il centro offre anche un sostegno per il reinserimento del paziente nella vita sociale, familiare e lavorativa, sostenendolo durante tutto il decorso della malattia e offrendo un punto di riferimento costante a lui e ai suoi familiari, grazie anche alla collaborazione con il Servizio di Assistenza Domiciliare Neuro-Oncologica.
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