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Uomo: il tumore della prostata

Lara Bettinzoli, N. 4 aprile 2005

Il rifiuto e la rabbia sono le prime reazioni, secondo la psicologa svizzera Kubler Ross, a un evento traumatico quale la diagnosi di tumore. Ancora più complessa la reazione emotiva e intenso il disagio psicologico se la “zona” colpita dalla malattia rientra nella sfera genitale-riproduttiva. Nel caso di un tumore alla prostata la paura di una possibile compromissione della sessualità, per esempio un cambiamento funzionale (erezione, fertilità, paternità) può generare forti stati d’ansia e preoccupazione. In questi casi la figura dello psicologo diventa indispensabile. Come ci spiegano il dottor Marco Bosisio e la dottoressa Simona Donegani, psicologi presso l’Unità Operativa di Psicologia dell’Istituto Nazionale Tumori, l’approccio con un paziente oncologico dovrebbe essere multidisciplinare: accanto al medico oncologo, al chirurgo, al radioterapista, la presenza di uno psicologo risulta indispensabile al fine di migliorare la qualità di vita del malato.
Il tumore prostatico: il paziente al centro del processo decisionale
Il carcinoma alla prostata presenta particolari livelli di complessità e specificità che coinvolgono il paziente nella sua totalità.
Dal punto di vista psicologico si potrebbe dire che la patologia prostatica è caratterizzata prevalentemente dall’ambivalenza: dalla diagnosi alla terapia, infatti, “l’altro lato della medaglia” è sempre presente. Ogni passo del processo di cura (diagnosi, scelta terapeutica, terapia e relative conseguenze) richiede al paziente capacità di adattamento, di ridefinizione di sé e di accoglimento dell’incertezza.
La comunicazione di una diagnosi oncologica
Più precocemente si scopre di avere un tumore alla prostata e più possibilità di guarigione ci sono, ma una diagnosi precoce avviene spesso in una situazione asintomatica. Questo genere di neoplasia, infatti, è un “male silenzioso” (la sintomatologia è pressoché assente negli stadi iniziali) per cui il paziente passa da una condizione di benessere a una di “malato di cancro”, senza percezione di malattia: non avevo nulla, ho fatto gli esami così di routine e ora…, ma io sto bene, non sento niente, come è possibile?.
In questo contesto si produce una specifica difficoltà del paziente ad attribuire un senso alle terapie proposte; infatti, se è comprensibile che una persona sia disposta a sottoporsi a diversi tipi di trattamenti, anche molto invasivi, quando si trova in una condizione di dolore fisico, di importante disagio o di grande difficoltà legata a una malattia, è invece più complesso che riesca a considerare necessari tali trattamenti, quando la sua quotidianità non è toccata dalla patologia.
A ciò si aggiunge anche l’impossibilità, da un punto di vista medico, di riconoscere e differenziare alla diagnosi un cancro prostatico che rimarrà quiescente in tutto l’arco della vita (e che quindi potrebbe non richiedere alcuna terapia) o un cancro che potrebbe svilupparsi diffondendosi nel corpo.
Gli strumenti diagnostici disponibili (PSA, biopsie, esame clinico ed ecografia), infatti, pur se adeguati a sospettare o identificare la presenza di cellule tumorali, non sono precisamente in grado di prevederne il comportamento e l’evoluzione. La cura quindi potrebbe essere “essenziale” o “inutile”, senza chiara capacità di predizione. Studi autoptici provenienti da vari paesi dimostrano infatti che negli uomini con età maggiore di cinquanta anni è possibile rinvenire focolai istologici di carcinoma prostatico nel 15-30 percento dei casi, mentre questi sono evidenziabili in circa il 70 percento dei soggetti di ottant’anni (G. Bonadonna ed altri, Medicina oncologica, VII° ed., Masson, Milano, 2003).
La decisione terapeutica
Due sono le terapie curative localizzate disponibili: la chirurgia e la radioterapia, quest’ultima sia conformazionale esterna, sia con sostanze radioattive introdotte in sede (brachiterapia). La loro sostanziale parità di efficacia offre diverse possibilità di scelta e garanzia di cura ma, d’altro canto, pone il paziente in una situazione di incertezza, in un momento di vita già spesso caratterizzato da confusione e disorientamento. La psicologa svizzera Kubler Ross, infatti, aveva identificato il rifiuto (negazione) e la rabbia come le prime reazioni a un evento traumatico quale una diagnosi di cancro.
Le reazioni psico-emotive dei pazienti oncologici
Ma dica lei dottore, al posto mio cosa farebbe? Dottore mi dia un consiglio per favore, io non so cosa fare, È lei il dottore, è lei che deve decidere.
Queste sono frasi comuni, reazioni che si ritrovano al momento della comunicazione di una diagnosi oncologica rispetto alla quale il medico si trova spesso in difficoltà o comunque sprovvisto di risposte. Di fatto, se è ormai opinione comune e condivisa che il paziente debba essere informato della sua patologia e una terapia debba essere sempre concordata con lui, meno frequentemente paziente e medico si trovano nella situazione in cui non esiste una chiara terapia d’eccellenza.
Nella patologia prostatica, quindi, per il medico non si tratta solo di spiegare al paziente la sua situazione e i possibili sviluppi e approfondire le metodologie e gli effetti della terapia che ritiene adatta alla sua condizione, ma è chiamato ad accompagnarlo nella scelta della strategia terapeutica da attuare; il paziente dal canto suo, a fronte del trauma dato dalla diagnosi, non può meramente “affidarsi” al sapere della Scienza (cercando semmai di gestire le proprie preoccupazioni legate alla prognosi e agli effetti collaterali delle terapie), ma deve assumersi pienamente la responsabilità del proprio percorso terapeutico.
Accettare la terapia
Le terapie radicali disponibili, chirurgia, radioterapia associate o meno all’ormonoterapia, garantiscono un buon controllo della malattia, ma possono avere un impatto significativo sulla qualità di vita del paziente. Ridefinire il proprio ruolo sociale e di coppia, ricercare e ristrutturare una nuova modalità di vivere la propria sessualità, ricostruire un’immagine maschile di sé accettando le modificazioni e i limiti derivati dall’esperienza di malattia, possono considerarsi alcuni dei compiti che prima o poi, dopo la terapia, il paziente si trova comunque a dover affrontare.
Le strategie che un soggetto può mettere in atto possono essere più o meno funzionali, aiutando, in un caso, a ripristinare una buona qualità di vita piuttosto che, viceversa, diventare esse stesse un problema da gestire. Vale la pena proporre un esempio relativo alle principali strategie di adattamento alle implicazioni della terapia ormonale (ovvero la deprivazione di androgeni). Gli effetti collaterali di questo trattamento hanno un impatto significativo su diverse aree della qualità della vita (modifica dell’immagine corporea, effetti sulle funzioni cognitive, effetti sulla funzionalità sessuale…) e impongono una profonda ristrutturazione, fra l’altro, dell’immagine di sé e del proprio mondo relazionale.
Prendersi cura dell’incertezza del paziente
A fronte di questa situazione sfaccettata e problematica, compito dei curanti diventa anche quello di porre particolare attenzione al coinvolgimento attivo del paziente in ogni fase della terapia (a partire dalla diagnosi e dalla scelta terapeutica), fornendo un contenitore il più possibile coerente, caratterizzato da supporto informativo ed emotivo continuo. In altre parole, la cura della malattia prostatica, dovrebbe divenire anche “prendersi cura dell’incertezza” della persona che la vive:

  • stimolare il paziente a promuovere la propria soggettività divenendo “parte attiva” nella decisione terapeutica, affrontando con lui anche le tematiche relative alla qualità di vita;
  • aiutare il paziente a prendere una decisione aderente ai propri valori e alle priorità individuali, legittimando anche i dubbi derivanti dalle difficoltà emotive determinate dalla malattia;
  • aiutare il paziente a uscire da una prospettiva temporale sentita senza futuro a causa dalla diagnosi di tumore maligno e accompagnarlo in una riprogettazione di sé che possa tener conto anche dei limiti imposti dalla malattia.

In aiuto un’équipe multidisciplinare
Presso l’INT, per raggiungere gli obiettivi descritti, si è agito in modo specifico. È stata promossa la costituzione di un’équipe multidisciplinare stabile ed esclusivamente rivolta ai soggetti con patologia prostatica che garantisca una compresenza di più professionisti durante la prima visita, dove la partecipazione dello psicologo ha anche l’obiettivo di contenere il disorientamento e la sensazione di perdita di controllo, che spesso caratterizza i soggetti con diagnosi di tumore.
L’aiuto nella scelta della terapia (decision making counselling) trova il momento di massimo significato nel colloquio psicologico individuale, sistematicamente previsto al termine della visita in compresenza con radioterapista e urologo. Durante tale incontro, attraverso la condivisione dei vissuti emotivi relativi alle informazioni mediche avute, l’esplicitazione delle priorità soggettive e l’esplorazione delle fantasie riguardanti i diversi scenari possibili, si cerca di favorire un processo di decisione consapevole.
La fiducia alla base del rapporto medico-paziente
Obiettivo non secondario è quello di porre le basi per una relazione di fiducia alla quale poter fare riferimento in caso di bisogno. Vale la pena sottolineare che, seppur in crisi, il modello maschile che permea la nostra società, centrato su autonomia, forza, solidità, tende a disincentivare il contatto profondo con i propri vissuti emotivi e la richiesta d’aiuto per problemi riguardanti la sfera psicologica. Ciò rende difficile il legittimarsi del soggetto nel ruolo di chi ha bisogno e il superamento dell’imbarazzo nell’affrontare tematiche inerenti aree estremamente intime. Inoltre, abbiamo avuto prove di quanto il nostro approccio agevoli la decisione di entrare in un percorso fisioterapico con fine riabilitativo, facilitando
la risoluzione dell’ambivalenza spesso presente.
Diverse reazioni emotive alle differenti alternative terapeutiche
L’attenzione all’universo soggettivo dei pazienti ha fatto emergere percezioni ricorrenti circa le differenti alternative terapeutiche.
Al trattamento chirurgico viene riconosciuto il grosso vantaggio psicologico di rimuovere concretamente il tumore dal corpo: Così si toglie tutto, lo tolgo e non ci penso più. Un altro elemento che amplifica la percezione favorevole pare essere rappresentato dal maggiore radicamento culturale: è una pratica terapeutica impiegata per differenti patologie e in uso da molto tempo. Pesano a sfavore l’invasività e le caratteristiche dei possibili effetti collaterali (gravosità e immediatezza): Bisogna portare sempre i pannolini, Se tagliano lì poi non funziona più nulla..., Sa a certe cose io ci tengo ancora…, Bisogna rinunciare ai piaceri della vita.
La necessità di ricorrere ad anestesia totale pare essere uno svantaggio soprattutto per i pazienti ansiosi, che con più difficoltà tollerano la totale perdita di controllo. È comunque frequente il timore dei rischi fisiologici annessi alla pratica chirurgica e, in parte, anche il disagio per la necessità di ricovero: Non voglio farmi mettere i ferri addosso, Con l’anestesia non si sa mai come finisce, Stare in ospedale non fa mai bene.
Per quanto riguarda la radioterapia è invece meno evidente il meccanismo di cura, come eliminazione della malattia: Così può sempre rimanerne un po’ di malattia in giro, Se non lo tolgo allora il tumore resta lì, E se non funziona poi lo si può togliere?.
Oltre a ciò, nell’immaginario collettivo le radiazioni vengono associate allo sviluppo della patologia che si desidera curare o più generalmente alla nocività: Poi rimango radioattivo, Non si sa mai con le radiazioni cosa può succedere, …e se attacco le radiazioni a chi ho intorno?. Il fattore tempo gioca un ruolo disincentivante sia in relazione alla durata del trattamento (poco meno di due mesi) sia, in base ai differenti centri, i possibili lunghi tempi d’attesa. Sono vantaggi percepiti la modernità della terapia, la minor invasività: Non mi devono aprire, Non mi devono ricoverare, Non ci vuole l’anestesia e la presenza di effetti collaterali meno pesanti e meno immediati: Posso ancora funzionare con mia moglie, Non devo portare i pannolini.
A livello informativo, nonostante la completezza delle spiegazioni fornite dagli specialisti, la comprensione da parte del paziente risente spesso del particolare contesto in cui avviene la comunicazione (per esempio il fatto stesso di essere all’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori può provocare stati emotivi che interferiscono con la capacità di assimilare informazioni). Relativamente alle possibili alternative terapeutiche, le aree che più frequentemente necessitano di integrazione informativa riguardano: modalità d’esecuzione ed esatta funzione (in particolare la radioterapia); effetti collaterali (a breve, medio e lungo termine) e loro possibile controllo; dati prognostici.
La reazione emotiva e il disagio psicologico
L’esperienza maturata nella relazione clinica ha confermato quindi l’importanza di un approccio che preveda una specifica attenzione alle componenti emotive della situazione. Sia, dunque, a livello contingente, in relazione alla scelta terapeutica, sia, a lungo termine, per favorire l’adattamento alla condizione successiva al trattamento.
La sfera sessuale e quella relativa alla funzionalità urinaria possiamo identificarle come principali aree critiche. La possibile compromissione della sessualità genera ansia e preoccupazione almeno su due livelli: affrontare un cambiamento funzionale concreto (erezione, fertilità e paternità) e ridefinire la propria percezione di sé (immagine maschile “funzionante” e adeguatezza ai bisogni del partner). Alterazioni potenziali della funzionalità urinaria generano problematiche emotive soprattutto in riferimento alla futura vita sociale e di relazione (vergogna e imbarazzo per il sintomo in sé e per l’utilizzo di assorbenti, timore per la possibile riduzione della libertà).
La logica di dare una risposta di cura centrata non solo sulla rimozione di un problema organico, ma anche di accompagnamento durante un’esperienza spesso colma di emozioni, ha dato il via allo sviluppo di un percorso riabilitativo integrato per l’incontinenza urinaria e alla costituzione di un ambulatorio ad hoc per le problematiche inerenti la sfera sessuale.

L’unità operativa di psicologia dell’INT
L’U.O. di Psicologia, il cui responsabile è il dottor Marcello Tamburini, si propone di aiutare le persone a migliorare la qualità della loro vita. L’assistenza psicologica si rivolge a malati, familiari, amici e operatori sanitari. Nasce nel 1990 all’interno del dipartimento della Direzione Scientifica e collabora con medici, infermieri, assistenti sanitari, assistenti spirituali e con i volontari della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori. Si impegna principalmente in tre aree di intervento: area clinico-psicologica; area di ricerca psico-oncologica; area di formazione psicologica degli operatori sanitari. Il servizio offerto dall’U.O. di Psicologia è nel panorama italiano una delle poche realtà che operano nel campo oncologico. Tutte le prestazioni psicologiche di sostegno sono erogate in base alle disposizioni previste dal Servizio Sanitario Nazionale.
Per avere ulteriori informazioni contattare direttamente l’U.O. di Psicologia:
Tel. 02.2390-2800
Fax 02.2390-2819
psicologia@istitutotumori.mi.it
L’attività di psicologia clinica individuale e di gruppo è resa possibile grazie al contributo della Sezione di Milano della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori e dei suoi volontari.

Indirizzi utili
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www.istitutotumori.mi.it
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Per saperne di più
Dottor Marco Bosisio
Psicologo presso l’INT dal 2000, si occupa di attività clinica, di ricerca e di formazione in oncologia. È membro del Consiglio Direttivo della Scuola di Formazione Psicologica in ambito Oncologico dell’INT. È consulente della sezione di Milano della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori e dell’Associazione per la Ricerca Oncologica Multidisciplinare.
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Dottoressa Simona Donegani
Psicologa specializzata in psico-oncologia, consulente dell’Associazione Per la Ricerca Oncologica Multidisciplinare è responsabile dal 2003 presso l’INT del progetto “Per un Sentire Condiviso: L’Uomo e il Tumore alla Prostata”, finanziato dalla Fondazione Italo Monzino, dedicato al sostegno dei pazienti affetti da patologia prostatica (e loro familiari).
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