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Tumori dal carattere imprevedibile

Maria Grazia Villa, N. 11/12 novembre/dicembre 2002

Buone notizie dalla ricerca, sia come sopravvivenza che come qualità di vita, ma rimangono tra i più complessi da trattare: veri e propri ossi duri dell’oncologia. Sono i tumori del pancreas e delle vie biliari. I motivi che li rendono così “imprendibili” sono fondamentalmente due. Anzitutto, non è possibile fare una diagnosi precoce, perché sono neoplasie che hanno un esordio subdolo, non presentando all’inizio alcun sintomo: quando cominciano i primi campanelli d’allarme, sono già a uno stadio di sviluppo avanzato e, di sovente, le cellule malate hanno colonizzato altre parti dell’addome. In secondo luogo, questi tumori riguardano una regione dell’organismo ricca d’organi e vasi sanguigni fondamentali alla sopravvivenza, per cui, da un lato, la metastasi va a colpire elementi vitali, dall’altro, l’intervento chirurgico rischia di andare a lesionare distretti del corpo umano estremamente importanti.
Ma quali sono i sintomi che compaiono tardivamente? Dolori nella parte superiore dell’addome che s’irradiano alla schiena, in sede dorso-lombare; la comparsa, a causa dell’occlusione delle vie biliari, di un ittero (colorazione giallastra della pelle e della parte bianca dell’occhio, dovuta all’accumulo della bile nel sangue), di feci acoliche (biancastre, tipo creta, a causa dell’assenza di bile nell’intestino), di urine ipercromiche (giallo-rossastre, simile a quella del vino marsala, per l’eliminazione di parte della bile con le urine), di prurito (dovuto all’incremento dei livelli di sali biliari nel sangue), oltre a gravi difficoltà digestive, affaticamento, malessere, astenia, inappetenza e calo di peso.
Purtroppo, è un tumore in aumento. A livello mondiale, l’incidenza varia da 8 a 12 casi su 100.000 persone ogni anno, ma esistono aree in cui è molto bassa (ad esempio, in India è inferiore a 2 casi su 100.000 persone ogni anno) e altre in cui è altissima (ad esempio, negli Stati Uniti la popolazione maschile di colore registra 13 casi su 100.000 persone ogni anno).
Ad essere colpiti sono più gli uomini, ma la percentuale delle donne sta aumentando.
Le guarigioni a cinque anni dalla diagnosi sono ancora limitate, inferiori al 5 per cento, ma stanno migliorando rispetto al passato, dove le percentuali di sopravvivenza erano attorno all’1 per cento, se il tumore aveva raggiunto i linfonodi. Mediamente, la sopravvivenza si aggira oggi dai 4 ai 6 mesi, perché risulta operabile solamente il 20 per cento dei pazienti.
Per fortuna, proprio perché si tratta di neoplasie così difficili da curare e stanno aumentando la loro diffusione, la ricerca ha cercato in questi anni di tirarsi su le maniche, concentrando tempo ed energia nel tentativo di trovare nuovi modi per affrontarle. Nel nostro Paese, sono stati finanziati molti studi in questa direzione e tanti sono attualmente in corso. L’obiettivo è una sfida: mettere a punto strumenti diagnostici e terapeutici sempre più mirati e sofisticati. Di fatto, la situazione promette bene, sia a livello di studi di laboratorio che di pratica clinica. Adesso, quando il cancro al pancreas e alle vie biliari è operabile, i pazienti che sopravvivono sono il 40 per cento e arrivano fino al 70 per cento, se la sede d’insorgenza è di quelle a miglior prognosi, come la papilla di Vater.
Le sedi d’insorgenza più frequenti dei carcinomi del pancreas e delle vie biliari sono il dotto distale (il tratto di coledoco che attraversa il pancreas), la testa del pancreas, la papilla di Vater e il dotto epatico comune (la maggior parte dei tumori benigni si riscontra, invece, nel corpo e nella coda del pancreas). Al momento, non si conoscono fattori di rischio accertati per queste forme tumorali, benché siano state più volte indicate delle possibili cause: fumo, alcol, diabete mellito, pancreatite cronica, cirrosi epatica, adenomi pancreatici, calcolosi biliare. Dunque, non è possibile indicare eventuali misure di prevenzione, se non la necessità d’effettuare un’ecografia addominale ogni 2 anni, a partire dai 40 anni d’età. Per diagnosticare l’eventuale presenza del tumore, di solito si parte con semplici esami del sangue che rilevano, in caso di cancro, l’innalzamento degli indici di colestasi (aumento dei valori di bilirubina totale e diretta, della gamma-GT e della fosfatasi alcalina), ma anche dei livelli delle transaminasi. Gli indici che rilevano la capacità di coagulazione del sangue (fra i principali l’attività protrombinica e il PTT) possono essere invece ridotti, a causa del mancato assorbimento della vitamina K (che nell’intestino avviene grazie alla presenza della bile). Alcuni marcatori tumorali dosabili nel sangue possono essere d’aiuto: il CEA ed il Ca 19-9 sono i più utilizzati, con una sensibilità che supera l’80 per cento.
L’ecografia addominale è la prima indagine strumentale da effettuare; poi la tomografia assiale computerizzata, per individuare possibili metastasi linfonodali o infiltrazioni di cellule maligne agli organi limitrofi; più raramente, la risonanza magnetica nucleare o la wirsungrafia retrograda (in cui una sonda a fibre ottiche inietta un liquido di contrasto nel sistema escretore, che poi viene visualizzato radiograficamente). La terapia d’elezione per questi carcinomi è la chirurgia. Nei casi inoperabili è d’obbligo l’intervento cosiddetto “palliativo”, che consiste nella creazione di due by-pass – uno tra vie biliari e intestino, per risolvere l’ittero, e l’altro tra stomaco e intestino, per evitare occlusioni del duodeno –, cui si possono aggiungere chemioterapia e radioterapia, con l’obiettivo di ridurre il dolore.
Nei casi operabili, invece, l’operazione può comportare l’asportazione totale o parziale del pancreas, per eliminare in modo radicale la massa tumorale (il paziente a cui venga asportato il pancreas è destinato a diventare diabetico ma, siccome altre ghiandole compiono la regolazione del metabolismo degli zuccheri nell’organismo, il diabete non assume un decorso tale da mettere a repentaglio la vita). I miglioramenti in campo chirurgico, cui si stanno affiancando cicli di chemioterapia e/o radioterapia da eseguire prima dell’intervento chirurgico per ridurre la massa tumorale e permettere così un intervento che non provochi danni agli organi limitrofi, stanno diventando l’arma migliore per sconfiggere queste neoplasie. Rispetto al passato, adesso si riesce ad asportare il tumore in un maggior numero di persone. Alla Divisione di Chirurgia epato-gastro-pancreatica dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano, ad esempio, è stato messo a punto un protocollo d’intervento, che rende oggi operabili un 25 per cento dei pazienti che, sino a qualche anno fa, erano giudicati inoperabili. Questi nuovi schemi terapeutici sono possibili grazie al perfezionamento delle tecniche d’intervento, alla maggior precisione delle strumentazioni e allo sviluppo di una grande esperienza e competenza dovute all’ampia casistica (a questo proposito, è fondamentale che tali forme tumorali vengano trattate in centri specializzati, dove si concentra la massima preparazione, abilità e pratica degli operatori).
Qualsiasi operazione chirurgica dev’essere preceduta da un’eliminazione del blocco biliare. Attualmente sono allo studio, in fase di sperimentazione o già applicate nella clinica, varie tecniche per far fronte al problema. Lo sviluppo di un carcinoma del pancreas e delle vie biliari finisce quasi sempre col determinare un ostacolo al naturale afflusso della bile dal fegato all’intestino. Così, la bile, seguendo altri percorsi, comporta un intasamento di fegato, sangue e reni, producendo un’insufficienza epatica e renale, che porterebbe a morte il paziente, prima ancora del tumore, se non venisse trattata. È necessario, quindi, intervenire per favorire il drenaggio biliare, sia per migliorare la qualità che le aspettative di vita del paziente.
Secondo metodiche messe a punto da radiologi ed endoscopisti, è oggi possibile inserire particolari tubicini in plastica o in metallo (detti “stent”), che permettono di mantenere dilatate le vie biliari, assicurando il flusso della bile. I modelli in plastica, più economici, hanno il limite di non durare oltre i sei mesi, perché la bile tende a creare dei tappi, e vanno sostituiti. Quelli di metallo, invece, benché più costosi, hanno la proprietà d’espandersi e tendono a funzionare più a lungo, per quanto presentino l’inconveniente di non poter essere sostituiti. Da qualche anno, esiste uno stent, studiato e realizzato dall’Istituto Europeo d’Oncologia di Milano con i finanziamenti dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, in metallo rivestito da un film di poliuretano.
Nuove risorse terapeutiche per questi carcinomi sono state aperte anche dalla radiologia cosiddetta “interventistica”. È stato messo a punto, ad esempio, dall’Istituto Nazionale Tumori di Milano, in collaborazione con il Dipartimento di Bioingegneria del Politecnico milanese e l’Istituto di Fisica Atomica e Molecolare del Cnr di Pisa, un metodo d’intervento per ipertermia: con un sottile catetere, introdotto direttamente all’interno delle vie biliari, attraverso il fianco destro o appena sotto la punta dello sterno del paziente, si cerca d’andare a distruggere le cellule neoplastiche con il calore. Il catetere, infatti, dispone all’estremità di un palloncino nel quale si trova un dispositivo che emette microonde. Di solito, all’uso di questo catetere, si associa una radioterapia dall’esterno, la somministrazione di farmaci antitumorali e una radioterapia praticata direttamente all’interno della via biliare. In questo caso, il catetere ha, al suo interno, un filo di iridio 192, una sorgente radioattiva in grado di colpire le cellule malate. Promettono buoni risultati anche le metodiche di natura endoscopica: già oggi è possibile, per tutti quei tumori che non abbiano ancora intaccato il pancreas, ma si siano sviluppati solo all’interno delle vie biliari, seguire, per via endoscopica, una terapia a base di radiazioni ionizzanti, tossiche per le cellule tumorali. Questa tecnica, chiamata “radioterapia endocavitaria”, permette di rallentare il progredire del tumore.
Attraverso strumenti endoscopici sarà anche possibile, in futuro, prelevare dei campioni di carcinoma da sottoporre a indagine molecolare per mettere a punto una chemioterapia più mirata, o trasportare i farmaci chemioterapici a diretto contatto con le cellule cancerose, o ridurre la massa del tumore attraverso strumenti chirurgici collegati alla sonda.
Anche il settore d’intervento farmacologico risulta particolarmente attivo. A livello nazionale, è in corso una ricerca coordinata dall’Ufficio sperimentazioni cliniche dell’Istituto Nazionale Tumori di Napoli, cui partecipano Goim (Gruppo Oncologico Italia Meridionale), Giscad (Gruppo Italiano per lo Studio dei Carcinomi dell’Apparato Digerente), Goirc (Gruppo Oncologico Italiano per la Ricerca Clinica) e Cattedra di Endocrinochirurgia dell’Università di Verona. Si sta valutando l’efficacia, in termini di sopravvivenza, ma anche di beneficio clinico per il paziente, della somministrazione di due farmaci associati, gemcitabina e cisplatino, rispetto al solo utilizzo della gemcitabina. Inoltre, sono allo studio i farmaci di nuova concezione, i “target based”, e quelli destinati a lavorare sull’antiangiogenesi, per contrastare la formazione dei vasi sanguigni che alimentano il tumore (questi ultimi hanno già fornito i primi risultati, purtroppo non positivi).
Sempre più incoraggianti, le ricerche su alcune alterazioni genetiche, che sembrerebbero essere all’origine di diverse neoplasie del pancreas e delle vie biliari. Anzi, si può affermare che la genesi molecolare di questi carcinomi sia stata molto ben studiata. In particolare, nel 90 per cento dei casi risulta alterato il K-ras, uno di quei geni definiti “oncogeni” perché, una volta attivati, contribuiscono alla progressione del tumore e alla sua aggressività, nell’80 per cento il gene TP16 e nel 50 per cento i geni TP53 e DPC4.
Alcune di queste mutazioni genetiche si è scoperto che indicano un elevato rischio di sviluppare un tumore al pancreas e alle vie biliari. Nel 30 per cento dei pazienti affetti da pancreatite cronica, ad esempio, si è notata una significativa alterazione del gene TP16 e, nel 10 per cento, delle mutazioni del K-ras. Al momento, sono in corso studi per trovare nuove sostanze farmacologiche in grado di fermare le proteine codificate da questi geni alterati, implicati nella nascita e nella crescita dei tumori pancreatici e biliari.

Cosa sono pancreas e vie biliari?
Il pancreas è una ghiandola grigio-giallognola, di forma allungata e appiattita, lunga circa 13 centimetri, disposta trasversalmente nella parte superiore dell’addome, dietro lo stomaco. La cosiddetta “testa” del pancreas, la porzione più voluminosa, è alloggiata nell’ansa duodenale, con cui è a contatto; il “corpo” è disposto in direzione leggermente obliqua dal basso verso l’alto; la “coda”, la parte più assottigliata, si trova a contatto con la milza.
Il pancreas è una ghiandola a secrezione mista: in parte esocrina (esterna), in parte endocrina (interna). Per svolgere la sua prima funzione, legata alla produzione di sostanze chimiche essenziali ai processi digestivi, si serve degli acini pancreatici, gli organi secernenti, che sfociano attraverso piccoli canali nel dotto pancreatico principale (o di Wirsung), che attraversa la ghiandola per l’intera lunghezza e sfocia nella papilla di Vater (la prominenza mucosa del secondo tratto del duodeno), insieme al dotto coledoco, cui è unito nella parte terminale. La funzione endocrina, invece, è data dalle isole di Langerhans, gruppi di cellule distribuiti nel tessuto ghiandolare e implicati nella produzione e immissione nel sangue di insulina, somatostatina e glucagone, ormoni che regolano il metabolismo degli zuccheri nell’organismo.
Il 95 per cento di tutti i tumori del pancreas riguarda la parte esocrina della ghiandola e può colpire l’epitelio dei dotti, gli acini pancreatici, il tessuto connettivo e quello linfatico. Il 75 per cento sorge nella testa della ghiandola, dal 15 al 20 per cento nel corpo, dal 5 per cento al 10 per cento nella coda.
Il dotto coledoco appartiene al sistema delle vie biliari. Con tale locuzione s’intende il complesso di canalicoli che, col concorso della colecisti (o cistifellea, o vescichetta biliare), un organo muscolo-membranoso situato sulla faccia posteriore del fegato, hanno il compito di raccogliere la bile prodotta dal fegato e di condurla nell’intestino. Più precisamente, si hanno: il condotto epatico, che proviene dal fegato; il condotto cistico, che proviene dalla colecisti; e il coledoco, che si forma dall’unione dei due e sbocca nell’intestino attraverso la papilla di Vater.
La colecisti ha il compito di concentrare la bile, assorbendone acqua e sali minerali, per immetterla nell’intestino, quando è necessaria, ossia dopo ogni pasto. E la bile a cosa serve? È un liquido composto da acqua, sali biliari, bilirubina, mucina, lecitina, colesterolo e sali minerali, indispensabile per la digestione dei grassi alimentari e l’assorbimento intestinale di alcune vitamine.

Indirizzi utili

  • Isituto Nazionale dei Tumori
    V. Venezian, 1 - Milano
    Tel. 02/70639139
  • Fondazione Maugeri
    Prof. A. Catona
    V. Ferrata, 8 - 27100 Pavia
    Segreteria tel. 0382/592292 fax 0382/592073
    www.fsm.it

Per saperne di più:
www.see.it/infomed/sarcomi
www.airc.it
www.uicc.org
www.cancerbacup.org.uk
www.cancer.org
www.uicc.ch/ecl/

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