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La giornata nazionale per la ricerca sul cancro
Cristina Mazzantini, N. 1 gennaio 2002
In occasione della Giornata Nazionale per la Ricerca sul Cancro del 18 novembre, su tutto il territorio italiano si sono tenuti 40 incontri scientifici a cui hanno partecipato oltre 500 ricercatori disponibili per il pubblico. La manifestazione è stata preceduta a Roma, nella prestigiosa sede del Complesso San Michele a Ripa Grande, da una Conferenza Scientifica Internazionale su Ricerca sul cancro tra tecnologia e nuovo umanesimo organizzata dallAIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro). Allincontro erano presenti scienziati di fama internazionale, come Peter Boyle, David Livingston, Paolo Comoglio, Silvio Garattini, Roberto Passariello e Umberto Veronesi. In tale occasione si è cercato di coniugare la potenza della tecnica con il rispetto per la complessità dellessere umano. Gli esperti hanno lanciato la sfida dellumanesimo puntando a chiudere la forbice apertasi tra uomo e scienza. Come? Si è risposto in coro: la nuova ricerca dovrà essere strabica ovvero con un occhio al microcosmo di cellule e molecole e laltro attento ai bisogni delluomo.
Per questo il professor Umberto Veronesi, nellintrodurre le relazioni, ha dichiarato: «Questanno lAIRC ha sentito il bisogno di una riflessione sulla necessità di adeguare lo sviluppo della ricerca allevoluzione culturale e filosofica di una società, di un mondo in continuo cambiamento ai concetti della centralità delluomo, della sua condizione esistenziale, dei suoi dilemmi. Tutto il Paese, oggi, è invitato a discutere e meditare sulla necessità di un tale dialogo. Tanti anni di ricerca sul cancro hanno prodotto risultati di grande rilievo, il più importante dei quali è la documentata riduzione di mortalità nel nostro continente, grazie anche al grande sforzo e allimpegno del Progetto Europa contro il Cancro».
Sulla diminuita mortalità il professor Peter Boyle, direttore della divisione di Epidemiologia e Biostatistica dellIstituto Europeo di Oncologia di Milano, ha rammentato: «Nei primi anni 80, cera un forte timore che ci trovassimo sullorlo di una grande epidemia di cancro. I casi di neoplasie e i tassi di mortalità erano in ascesa e la popolazione era preoccupata che lambiente provocasse un aumento rilevante del rischio». Boyle ha aggiunto «Nel 1985, i capi di Stato dei Paesi membri della Comunità Europea, preoccupati del costante aumento dei tassi di mortalità per cancro, organizzarono un incontro a Milano. In tale occasione prese lavvio il programma che divenne LEuropa contro il cancro». Lo scopo fondamentale delliniziativa era quello di raggiungere entro il 2000 la riduzione del 15% dei decessi per tumore. Per conseguire questi risultati, come ha puntualizzato il professor Boyle, si delineò «un piano basato su tre elementi principali: 1) prevenzione primaria, rivolta in particolare alla lotta al tabacco; 2) diagnosi precoce e indagine di massa; 3) un programma di educazione e formazione».
Nonostante i grandissimi sforzi, tuttavia, il traguardo non è stato pienamente conseguito. Infatti, negli uomini la diminuzione è stata del 10% nei decessi per neoplasia, mentre per le donne dell8%. Il risultato è stato comunque positivo. Tantè vero che, nel solo 2000, grazie a quel programma, sono stati evitati 92.000 casi di morte per cancro nellUnione Europea. Ma le buone notizie non finiscono qui. Vi sono quattro nazioni (Austria, Finlandia, Regno Unito e Italia) dove lobiettivo del 15% è stato centrato. Il motivo? «Questi sono i Paesi europei in cui i programmi di controllo del cancro hanno avuto maggiore riuscita. E il contributo più importante a tale risultato viene dalla lotta al fumo», ha precisato il nostro epidemiologo, ricordando come tali traguardi siano stati possibili «anche grazie alle conoscenze derivanti dalla ricerca di base, da quella epidemiologica e da quella applicativa».
Durante lincontro romano, oltre ai dati epidemiologici sono stati fornite le ultime conoscenze sulla patologia o, meglio, sindrome neoplastica. Largomento è stato illustrato dal professor Paolo Comoglio, direttore scientifico dellIstituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo, che ha così spiegato: «Il cancro è una malattia genica, non ereditaria nella maggior parte dei casi, causata dallaccumulo di mutazioni (da 3 a 7, secondo i modelli epidemiologici) in geni critici per funzioni cellulari responsabili del controllo della moltiplicazione. Le funzioni alterate sono essenzialmente 6: autonomia replicativa, illimitata capacità di crescere, insensibilità ai fattori inibitori, immortalizzazione, capacità angiogenica, capacità di invadere e metastatizzare. Ma i geni che le controllano sono assai più numerosi. Ogni caso clinico di cancro può pertanto apparire diverso dagli altri, rendendo limpressionante quantità di informazioni raccolte dalla biologia molecolare come tasselli di un mosaico complesso».
La tecnologia ha consentito attivamente questi grandi successi, aprendo così la strada a nuove frontiere e ponendo nuovi traguardi al mondo della ricerca oncologica. Attingendo alla Information Technology e alla robotica, le moderne tecnologie dindagine genomica e post-genomica hanno collaborato alla realizzazione di modelli in vitro e in vivo delle malattie. Queste permettono di individuare e specificare funzionalmente geni e proteine correlati ai meccanismi di formazione e sviluppo di tumori e metastasi. «È proprio dalle più recenti tecnologie che nasce la diagnostica molecolare», ha specificato il professor Comoglio. «Essa infatti aiuta a identificare le lesioni tumorali sin dalle prime fasi di sviluppo, ovvero quando sono ancora perfettamente aggredibili dalla terapia».
Si è poi rammentato che il compito della diagnostica molecolare non termina qui. Infatti, essa ha consentito la messa a punto di test genetici capaci di individuare i soggetti predisposti allo sviluppo del cancro, prima che la malattia si manifesti. «Sono oggi disponibili esami di laboratorio in grado di identificare nelle famiglie a rischio (cioè in quelle in cui il cancro compare con particolare frequenza) le alterazioni geniche responsabili della predisposizione», ha puntualizzato sempre il nostro oncologo. «In molti casi è possibile, sulla scorta di tali informazioni, prevenire linsorgenza della malattia attraverso interventi farmacologici o chirurgici, o almeno attuare la prevenzione secondaria poiché la diagnosi precoce permette una cura tempestiva e quindi la guaribilità». Ha aggiunto ancora il professor Comoglio «Le innovazioni tecnologiche non hanno aperto solo la strada alla diagnostica molecolare, ma scoprono anche scenari terapeutici inediti. Infatti, lidentificazione dei danni genici, che stanno alla base dello sviluppo del tumore, attuata grazie alle recentissime nanotecnologie, permette ora di disegnare farmaci ad hoc per bloccare le pericolose conseguenze provocate da ogni singolo gene alterato. Siamo alla frontiera di un nuovo domani, dove le terapie saranno finalmente mirate al blocco della crescita e della diffusione delle cellule neoplastiche attraverso linterferenza con i meccanismi che le controllano».
Infine gli esperti hanno riconosciuto che la moderna ricerca oncologica trova un vero e proprio arsenale nel settore delle tecnologie dimmagine: dalla radiologia digitale allecografia, dalla tomografia computerizzata spirale multistrato alla risonanza magnetica, alla tomografia a emissione di positroni. È vero infatti che la diagnostica per immagini apporta un notevole miglioramento nella diagnosi oncologica. A tale proposito è intervenuto il professor Passariello dellIstituto di Radiologia dellUniversità La Sapienza di Roma, che ha sostenuto «Grazie al progresso tecnologico delle macchine e allo sviluppo di software dedicati, la diagnostica molecolare ha conseguito unelevata sensibilità». E proprio per accrescere una tale sensibilità, attualmente sono in corso numerose ricerche di base nel settore del molecular imaging. Queste indagini, un esempio delle quali è langiogenesi tumorale (o più precisamente lo studio dei processi di formazione del sistema vascolare dei tumori), consentiranno in prospettiva di aumentare maggiormente la specificità della diagnosi.
Una volta conseguito questo sforzo straordinario (da parte degli operatori) non sarebbe privo di senso se non fosse costantemente al servizio della salute. È allora normale chiedersi se chi lavora nei laboratori riesca a porsi sempre come obiettivo finale il malato? Alla domanda risponde il prof. David Livingston, docente di Medicina e Genetica presso il Dana-Faber Cancer Institute di Boston, che, riferendosi alle potenzialità della comunicazione tra medico e paziente, ha precisato: «Lattuale stato della conoscenza in oncologia ha prodotto un grande fermento di attività nellindustria farmaceutica e nei lavori accademici». È risaputo infatti che la tecnologia, in quanto canale di trasferimento tra biologia molecolare e applicazione sulluomo, possa contribuire in maniera sostanziale alla messa a punto di nuove e più efficaci metodologie diagnostiche, terapeutiche e di definizione del rischio. «Nonostante i promettenti sviluppi, lavanzamento della conoscenza ha sollevato delicate questioni sociali, soprattutto a proposito del reclutamento di pazienti per le sperimentazioni cliniche», ha rilevato il professor Livingston. «I pazienti devono essere rassicurati sul fatto che ogni intervento innovativo, in diagnosi come in terapia, sarà in grado di offrire benefici sociali concreti. Perciò devono essere sempre informati sui rischi potenziali». Affinché il rapporto tra medico e paziente sia improntato a una mutua e fruttuosa collaborazione, il mondo della ricerca oncologica oggi necessita, secondo Livingston, di professionalità specializzate non solo nel campo medico, ma anche nel settore della bioetica e della comunicazione informatica. E tutto ciò richiede un forte impegno di collaborazione tra medicina, industria e istituzioni governative. Dalla conferenza romana è emerso quindi un messaggio per il mondo della ricerca oncologica. È un vero e proprio appello a recuperare la centralità delluomo quale motore del progresso scientifico. Lappello è stato lanciato dal coordinatore scientifico Alberto Costa che ha invitato tutti i ricercatori a «non separare mai i progressi della tecnologia dal loro destinatario, il paziente».
Costa ha così concluso: «Sappiate che dovete trovare il tempo per parlare al paziente, lambiente giusto e le parole comprensibili. Date speranza, ma non nascondete la verità».
Compiti e doveri del bravo medico
Il professor Silvio Garattini, dellIstituto di Ricerche Farmacologiche presso il Mario Negri di Milano, ha riconosciuto un dato. «Molti medici che hanno avuto lopportunità di essere esposti al lavoro di ricerca si trovano di fronte a un dilemma, spesso difficile da risolvere: occuparsi da clinici, quindi focalizzare la propria attività sul singolo ammalato oppure dedicarsi allaumento delle conoscenze, nella speranza di contribuire al progresso diagnostico o terapeutico che gioverà a molti ammalati?». Sempre Garattini ha tenuto a sottolineare: «La scelta della seconda alternativa, come nel mio caso, pone una serie di doveri e di compiti che possono essere così riassunti:
limpegno primario nel dedicare tutte le proprie capacità alla ricerca scientifica. Ogni settore dalla biologia molecolare allepidemiologia dei tumori è importante e rappresenta un piccolo tassello di uno sforzo mondiale per debellare il terribile male;
limpegno alla lealtà, nella convinzione che tutti contribuiscano allo stesso fine. È necessario un grande spirito di collaborazione per mettere a disposizione dei colleghi tutte le informazioni utili, senza segreti e gelosie;
sentire il dovere di informare il pubblico sui progressi della scienza, evitando la spettacolarizzazione, in modo da non alimentare eccessive speranze negli ammalati e nei loro familiari. Essere disponibili a dire la verità anche quando si può rischiare di essere impopolari;
non stancarsi di privilegiare gli aspetti preventivi (fumo, alcol, alimentazione, ecc.) come modalità primaria per diminuire lincidenza dei tumori;
essere sempre dalla parte dellammalato contribuendo a migliorare i rapporti fra medico e paziente. Il paziente deve essere protetto da interventi non strettamente necessari e non sostenuti da adeguata documentazione scientifica;
occorre garantire un maggiore coinvolgimento degli ammalati e dei loro familiari nella sperimentazione clinica, per evitare che si realizzino studi clinici controllati solo al fine di ottenere la commercializzazione di un farmaco.
In conclusione, è necessario che tutti i ricercatori mettano al centro delloncologia linteresse del malato».
Indirizzi utili
AIRC
Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro
Via Corridoni, 7 - 20122 Milano - tel 02/7797.1
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