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Italia a rischio nucleare?
Mariagrazia Villa, N. 9 settembre 2000
Nell'ipotesi di un rilascio in atmosfera di particelle radioattive, le province italiane più colpite non sarebbero solo quelle vicine agli impianti (Cuneo, Torino, Aosta, Varese, Sondrio, Bolzano, Udine e Trieste), ma a seconda delle condizioni atmosferiche e della quantità di materiale liberato, potrebbe risultare coinvolto tutto il territorio nazionale. "La radioattività descrive la proprietà di alcuni elementi di emettere radiazioni ionizzanti ed è intrinseca a determinati atomi instabili che, per ritornare in uno stato stabile, liberano energia - spiega il dottor Giuseppe De Luca, specialista in sorveglianza medica della radioprotezione, del Dipartimento rischio nucleare e radiologico dell'Agenzia Nazio-nale per la Protezione Ambien-tale (Anpa) -; ed esistono elementi radioattivi sia naturali che artificiali". I cosiddetti "isotopi ra-dioattivi naturali" esistono da che mondo è mon-do. "Viviamo esposti a sorgenti radioattive che derivano da raggi cosmici, isotopi presenti nella crosta terrestre, materiali da costruzione delle nostre case..." e "l'ordine di grandezza di questo fondo naturale di radioattività supera di gran lunga quello che può essere l'incremento dovuto alle sorgenti artificiali, se si esclude l'esposizione medica - ma, nel caso di esami o terapie con radiazioni ionizzanti, il beneficio si ritiene superiore al rischio". Esistono, poi, "isotopi radioattivi artificiali", prodotti dall'uomo, in particolare negli ultimi cinquant'anni, "che hanno aumentato la quota di radioattività presente sul nostro pianeta". Fondamentalmente, ci sono due modi attraverso cui un individuo può essere esposto ad una sorgente di radiazioni: "irraggiamento esterno e contaminazione". Col termine "radioattività", intanto, s'intende tutto un gruppo di radiazioni che non sono uguali le une alle altre: "possono essere di natura corpuscolata, ossia dotate di una massa, come ad esempio le radiazioni alfa e quelle beta, o avere la caratteristica di onde elettromagnetiche, tipo i raggi x o le radiazioni gamma". Mentre, in linea generale, "le radiazioni alfa e beta, pur essendo altamente energetiche, sono poco penetranti, risultando trattenute anche da barriere di piccolo spessore, le radiazioni di natura elettromagnetica hanno una notevole capacità di penetrazione all'interno della materia e, quindi, sono in grado di percorrere una lunga distanza sia in aria sia attraverso eventuali ostacoli". Si parla, allora, di "irraggiamento esterno", "se la radiazione in causa è particolarmente energetica e penetrante - come nel caso di una radiazione di natura elettromagnetica -, per cui, anche se la sorgente si trova ad una certa distanza dalla persona, essa può essere irraggiata: l'esempio tipico è quello della radiografia, in cui parti del nostro corpo vengono esposte a fini diagnostici ad un fascio di raggi X". La "contaminazione", invece, si verifica "quando del materiale radioattivo viene a diretto contatto con la persona e questo può essere soltanto esterno, ossia cutaneo, o anche interno, se c'è introduzione di sostanze radioattive nell'organismo, per inalazione, ingestione, assorbimento percutaneo o transcutaneo - ad esempio, in caso di ferite aperte contaminate". Per quanto riguarda gli effetti della radioattività sull'individuo, invece, occorre distinguere tra quelli a breve termine, detti anche "deterministici", e quelli a lungo termine, detti anche "stocastici", o "probabilistici". Gli effetti a breve termine "hanno la caratteristica di essere a soglia, ossia si manifestano soltanto quando si supera una determinata dose di radiazioni". L'e-sem-pio più classico è la cosiddetta "sindrome acu-ta da radiazioni", che si verifica "quando c'è un'espo-si-zione esterna globale dell'organismo, ad esempio per irraggiamento esterno". I primi sintomi si hanno "per dosi superiori ad 1 Gray", che è l'unità di misura (Gy) della dose assorbita (pari ad un'energia rilasciata per unità di massa), e gli effetti sono tanto più gravi quanto più alta è la quantità di radiazioni ricevuta. "I danni principali si manifestano a carico dell'organo critico, o "organo bersaglio", che è rappresentato dal midollo osseo emopoietico". Tale sindrome "riguarda, dapprima, le cellule della serie bianca del sangue, in particolare i linfociti; successivamente, si ha una caduta dei granulociti, delle piastrine e, quindi, viene coinvolta la serie rossa con un'anemizzazione". Secondo calcoli effettuati sulla popolazione dei sopravvissuti alle esplosioni atomiche di Hiro-shima e Nagasaki e verificati in occasione del recente episodio di Chernobyl, "la dose letale 50/60, ossia quella al di sopra della quale vi può essere la morte del 50% delle persone colpite entro 60 giorni, per soggetti non sottoposti ad adeguata terapia, è attorno ai 4 Gy". Attualmente, comunque, "con cure appropriate i limiti di so-pravvivenza si sono spostati molto in alto e la conferma è venuta dall'incidente di Tokaimura, dove i lavoratori coinvolti, esposti a dosi estremamente elevate, sono sopravvissuti per diversi mesi e sono deceduti per complicanze non conseguenti alla depressione del midollo osseo". Per dosi ancora più alte, "oltre la sindrome emopoietica entra in gioco un danno a livello del sistema gastro-enterico" e, poi, per dosi ulteriori, "si ha un effetto precoce ed immediato sul sistema nervoso centrale, ossia una "sindrome neurologica". Vi sono poi danni acuti che le radiazioni ionizzanti possono determinare per esposizioni parziali di parti del corpo. L'esempio più tipico è costituito dai danni cutanei, le cosiddette "ustioni da raggi". "Per dosi piuttosto elevate, superiori ai 5-6 Gy, in zone limitate della superficie corporea, si possono avere effetti molto simili a quelli di un'ustione termica: eritema, edema, formazione di flittene, vescicole. Per dosi ancora maggiori, superiori ai 10 Gy, si può avere anche necrosi dei tessuti e, addirittura, perdita di sostanza a carico delle aree corporee colpite". Per gli effetti a lungo termine, invece, non esiste una dose al di sotto della quale non ci siano rischi. Si parla, infatti, di "relazione lineare senza soglia": "se si mette in un grafico cartesiano in ascissa la dose e sull'ordinata il numero di eventi, la relazione è descritta da una linea retta passante per l'origine; per qualsiasi dose diversa da zero, anche minima, è previsto che ci siano degli effetti". Ma quali sono le malattie indotte dalle radiazioni ionizzanti nel tempo? "Patologie degenerative che sono, fondamentalmente, neoplastiche, anche se le forme tumorali a patogenesi radiogena non sono affatto distinguibili da quelle indotte da cause naturali". Studiando le popolazioni esposte a radioattività, o per motivi accidentali - come i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki - o medici - pazienti sottoposti ad esami radiodiagnostici o radioterapie - o professionali - radiologi, ad esempio -, "si è valutato l'aumento dell'incidenza di neoplasie per determinare una stima del rischio, che viene via via aggiornata in seguito alle nuove acquisizioni". Da alcune di queste stime, compiute da un'organizzazione mondiale accreditata come l'Inter-national Commission for Radiation Protection, sono derivati ad esempio delle previsioni sul numero di neoplasie conseguenti all'incidente di Chernobyl, che dovrebbero manifestarsi tra venti o trent'anni, "ma si tratta di esercitazioni statistiche, finora non confermate dall'osservazione sulla popolazione: questi valori del tutto ipotetici sono per il momento da prendere con le molle". Ciò che è stato verificato, invece, sia epidemiologicamente sia dall'osservazione clinica, a Cher-nobyl, è stato "il notevole incremento del carcinoma tiroideo di tipo papillifero in età pediatrica, in soggetti che al momento dell'incidente erano bambini, neonati, o addirittura ancora in utero": un tumore da mettere certamente in relazione "con l'esposizione allo Iodio 131, un particolare radioisotopo rilasciato in forti quantità a Chernobyl, dotato di una grande affinità per la tiroide". Sono due i gruppi delle neoplasie radioindotte: "quelle ematologiche, ad esempio le leucemie, che generalmente sono caratterizzate da un tempo di latenza - intervallo tra l'esposizione e la malattia - più breve, ossia inferiore ai dieci anni; e i cosiddetti "tumori solidi", che hanno un tempo di la-tenza più lungo, superiore ai vent'anni". Tra questi, "soprattutto neoplasie del tubo gastroenterico, seguite da carcinomi polmonari, mammari e, in alcuni casi specifici, neoplasie tiroidee".
Rischi nucleari esistenti sul territorio italiano Le emergenze radiologiche che possono presentarsi sul territorio italiano sono conseguenti a : 1. incidenti oltre frontiera comportanti ricadute radioattive sul suolo nazionale; 2. caduta di satelliti con sistemi nucleari a bordo; 3. eventi incidentali derivanti da attività non conosciute a priori; 4. incidenti a centrali elettronucleari italiane attualmente in fase di disattivazione; 5. incidenti in centri di ricerca, stabilimenti nucleari o luoghi in cui comunque si detengono o si impiegano sostanze radioattive; 6. incidenti nel corso del trasporto o dell'impiego di sostanze radioattive; 7. incidenti a natanti a propulsione nucleare inclusi i sommergibili, che incrociano in prossimità delle coste italiane.
Il piano nazionale d'emergenza nucleare Un Piano nazionale d'emergenza nucleare è stato approvato in Italia nel 1996. "Prevede una fase iniziale di comunicazione fra gli enti interessati, che dovrebbe avvenire entro le prime dodici ore: l'Anpa riceve notizia dell'incidente o ha un allarme dalla rete di monitoraggio e comunica direttamente con la Protezione Civile, la quale attiva, tramite l'Anpa, l'attività dei vari laboratori di misura sparsi sul territorio e il Cevad - Centro di elaborazione e valutazione dati - che raccoglie tutte le competenze radioprotezionistiche, con rappresentanti dell'Istituto Superiore di Sanità, dell'Aeronautica Militare, dei Vigili del Fuoco, delle Agenzie Regionali per la Protezione dell'Ambiente, dell'Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro e dell'Anpa", spiega il dottor Mancioppi. Nella fase successiva, la Protezione Civile "funge sia da collettore di tutte le informazioni sia da gestore della loro diffusione alla stampa e al pubblico, relativamente e all'incidente e alle eventuali misure di sicurezza". Si sta ancora organizzando, invece, "l'informazione preventiva alla popolazione in materia di radioattività - prevista anche dalla Legge 230/95 -, fondamentale perché la comunicazione in caso d'emergenza risulti efficace". Ma le prime contromisure quali sarebbero, in caso di nube radioattiva? "Non si corrono pericoli immediati, ma le indicazioni generali sono: non stare all'aperto, soprattutto le fasce più a rischio, in particolare bambini; non consumare i primi alimenti coinvolti dalla radioattività, ossia latte e verdure; e poi, se c'è il rischio dello Iodio 131, seguire una iodioprofilassi". Comunque, "tutte e tredici le centrali che stanno ad un passo da casa nostra sono sicure, perché realizzate con tecnologia occidentale, anche se il rischio non si può mai escludere". Appunto. Da cosa può essere determinato un incidente in un impianto nucleare? "Da due fattori: il malfunzionamento di uno o più dei sistemi di sicurezza e l'errore umano. Si tratta, quindi, di eventi interni, perché è difficile che questo tipo di centrali, escludendo ovviamente atti bellici o terroristici, vadano incontro ad incidenti esterni".
La nuova rete di rilevamento dell'ANPA Per far fronte ad un possibile rischio nucleare, l'Anpa sta completando una rete di rilevamento della radioattività in atmosfera. "L'idea è venuta subito dopo l'incidente di Chernobyl, perché l'Italia non era dotata di alcun strumento automatico per rilevare in tempo reale quando le sostanze radioattive entravano nel territorio e come si distribuivano al suo interno", spiega il dottor Sergio Mancioppi, responsabile del Coordinamento Emergenze Nucleari dell'Anpa. "Gli scenari incidentali di riferimento erano a livello locale, per cui esistevano sistemi di monitoraggio abbastanza attrezzati, ma solo intorno agli impianti, e questo valeva per tutta l'Europa". Solo con un incidente talmente grave da coinvolgere intere nazioni, "è emersa l'esigenza di uno strumento di grandi dimensioni territoriali, che segnalasse la presenza di radioattività dovuta ad eventi anomali". In seguito, "dopo la decisione del governo italiano di chiudere gli impianti nucleari del Paese, è diventato un modello di riferimento perché, a quel punto, le vere sorgenti di rischio rimanevano le centrali europee". Ma cosa prevede la rete d'allarme? "Alcune stazioni automatiche di grande complessità tecnica, che raccolgono particolato atmosferico su filtro, sul quale si compiono tutta una serie di misurazioni con un sistema robotizzato, in particolare una spettrometria gamma ogni due ore, per determinare i radionuclidi artificiali che emettono raggi gamma, la cui presenza è segno di un incidente nucleare, perché si producono quasi esclusivamente all'interno di reattori nucleari, o di impianti dove si manipolano sostanze radioattive". Le stazioni previste dal progetto sono sette, tutte posizionate in siti dell'Aeronautica Militare "scelti per la particolare importanza meteorologica" e ciascuna collegata al Centro di controllo, che si trova nella sede romana dell'Anpa. Al momento ne sono funzionanti tre, realizzate con il finanziamento del Dipartimento della Protezione Civile: a Tarvisio in Friuli-Venezia Giulia, a Monte Sant'Angelo in Puglia e a Capo Caccia in Sardegna (altre tre sorgeranno a Monte Cimone sull'Appennino tosco-emiliano, a Bric de la Croce in Piemonte e a Cozzo Spadaro nel vertice meridionale della Sicilia, mentre per la settima deve ancora essere decisa la localizzazione). Oltre a questa rete per segnalare in tempo reale l'ingresso di una nube radioattiva sul territorio - "è chiaro che più tempestivo è l'allarme, più immediate sono le contromisure e, dunque, maggiormente tutelata è la salute della popolazione" -, ne esiste una seconda, per rilevare come tale nube si sposti nel territorio italiano, costituita da "una cinquantina di stazioni di misura di tipo più semplice - valutano solo la dose gamma in aria -, circa tre per regione, già tutte in funzione". Si trovano nei siti del Corpo Forestale dello Stato e, anche in questo caso, trasmettono direttamente le misure effettuate al Centro di controllo. Dopo Chernobyl, è stata anche emanata una direttiva dalla Comunità Europea che ha istituito un sistema detto "di pronta notifica": "prevede che ciascun paese, al cui interno si verifichi un incidente nucleare di dimensioni rilevanti, debba comunicare immediatamente tutte le informazioni relative all'evento agli Stati membri dell'UE. Per l'Italia, l'Anpa è stata identificata come il punto di contatto per unificare la gestione delle notizie, per quanto l'autorità competente rimanga il Dipartimento della Protezione Civile, che dipende dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri".
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