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Suicidio e sopravvivenza cellulare
Dario Vascellaro, N. 9 settembre 2000
Una nuova scoperta, pubblicata il 10 dicembre 1998 su Nature, ha aperto prospettive inedite per la cura di malattie come il cancro o il morbo di Alzheimer, segnando un punto di svolta nello studio dei meccanismi che regolano il suicidio cellulare e del modo in cui questi possono fallire. Le cellule che compongono il corpo di un animale e dell'uomo possono "suicidarsi". Lo fanno per il bene dell'organismo, perché sono alterate o perché la loro scomparsa è necessaria per garantire l'armonia fra le varie parti del corpo. A volte, però, il suicidio non viene messo in atto quando dovrebbe, o si verifica quando non dovrebbe. Il risultato di questo mancato suicidio è la comparsa delle gravi malattie cui abbiamo appena accennato. La ricerca, condotta da Dario Altieri, del centro di medicina molecolare dell'università di Yale, nel Connecticut, e da Pier Carlo Marchisio, del dipartimento di ricerca biologica e tecnologica dell'Istituto San Raffaele a Milano, ha portato a individuare una proteina, prontamente denominata "survivin", dall'inglese "sopravvivenza". Quest'ultima funzionerebbe da "corpo di guardia", evitando che si suicidino cellule destinate a vivere, ma spingendo alla morte quelle che debbono essere eliminate. Il suicidio cellulare viene detto apoptosi, un nome derivato dal greco e che significa "caduta delle foglie". Agli scienziati che per primi osservarono il fenomeno infatti la scomparsa di queste cellule aveva ricordato l'immagine di foglie che in autunno si distaccano dai rami. A più di un anno da questa importante scoperta, abbiamo sentito i due scopritori per fare il punto della situazione e per delineare le prospettive future per la cura del cancro.
Professore Marchisio, può dirci qual è stato il punto di partenza della vostra ricerca che ha portato alla scoperta del survivin? "Molte malattie diverse vengono chiamate cancro. Tutte condividono caratteristiche comuni e molte forme di cancro sono oggi perfettamente curabili purché diagnosticate in tempo, cioè prima che invadano organi vitali con la loro maligna proprietà di dare metastasi. La principale di queste comuni caratteristiche è l'alterazione di un gene, sotto forma di una mutazione che oggi è spesso precocemente identificabile, e me-glio ancora lo sarà quando l'intero genoma umano sarà disponibile alla comunità scientifica".
Ma se conosciamo bene queste mutazioni genetiche, perché non ci sono ancora farmaci selettivi per combattere gli effetti di queste mutazioni? "La ragione è sorprendentemente semplice in quanto il meccanismo d'azione dei geni che controllano la crescita del cancro è condiviso dalle cellule sane: è dunque difficilissimo colpire con precisione la sola cellula cancerosa. Ci prova la chirurgia ad aggredire il cancro con mezzi sempre più complessi, ma soprattutto la chemioterapia tende a colpire bersagli sempre più specifici in maniera di interessare le cellule tumorali e risparmiare danni alle cellule sane. Queste rimangono le principali strategie d'attacco al cancro, ma pur sempre parziali e insicure."
Vi sono oggi strade alternative? "Nell'ambito della strategia d'attacco alla progressione neoplastica esistono diverse tattiche, tutte promettenti. Una consiste nel bloccare la nutrizione del tumore impedendo la crescita dei vasi sanguigni che lo alimentano. Un'altra tattica consiste nel bloccare la diffusione delle cellule neoplastiche dal tumore principale. Ambedue queste tattiche sono in fase di sperimentazione clinica e i risultati li conosceremo presto. Esiste tuttavia un terzo tipo di attacco al cancro diretto a colpire il principale vantaggio che la cellula maligna possiede e che le permette di sopravvivere anche nell'ambiente ostile di un tessuto estraneo. Questo vantaggio consiste in una sorta di resistenza ambientale che le cellule normali non hanno: esse infatti, quando si vengono a trovare in un tessuto a loro estraneo, muoiono spontaneamente per un processo di suicidio cellulare chiamato apoptosi. Inoltre le cellule normali quando subiscono accidentalmente una mutazione vengono eliminate per una sorta di suicidio spontaneo che avviene al momento della divisione cellulare. Quindi da una cellula alterata non si originano due cellule figlie portatrici dello stesso difetto. Nei tumori ciò non capita perché viene a mancare proprio questo fenomeno di sorveglianza fisiologica che non permette il propagarsi di mutazioni."
Ecco che entra in scena la proteina studiata da lei e dal professor Altieri. "Infatti. Uno dei meccanismi più promettenti sul quale si va basando una nuova strategia antitumorale è fondato su una nuova proteina che è stata chiamata survivin. Survivin è stata scoperta da Dario Altieri all'Università di Yale circa quattro anni fa. Per ragioni quasi fortuite Dario Altieri e io abbiamo scoperto che survivin si lega alla macchina della divisione cellulare ed esercita un precisissimo meccanismo di sorveglianza sulle cellule normali inducendole all'apoptosi quando vengano sottoposte a meccanismi che alterano la divisione cellulare. È stato quasi naturale pensare che nei tumori la sorveglianza operata da survivin fosse alterata e che questo potesse permettere di eludere l'apoptosi. Questo è ciò che in realtà capita in tutte le cellule tumorali dove di survivin ce n'è molta di più".
Professor Altieri, come siete arrivati all'individuazione del survivin? "In svariati tipi di tumore, indipendentemente dalla loro fotografia genetica, si è arrivati alla identificazione di un ristretto pool di geni che viene selezionato o in positivo come incremento di espressione rispetto alle cellule normali, o in negativo come delezione cromosomica o mutazione inattivante per facilitare crescita ed espansione neoplastica. Il gene di survivin è probabilmente un esempio di questo tipo di gene quasi universalmente selezionato ed espresso dai tumori, ma assente nelle cellule normali. Questa espressione differenziale di survivin nei tumori rispetto ai tessuti normali venne per la prima volta riconosciuta nella nostra originale pubblicazione del gene, più di tre anni fa, ma bisognava aspettare l'era attuale di analisi dell'intero genoma umano per trovarne la più significativa conferma. In studi recentemente pubblicati dalla Johns Hopkins University, un'analisi di 3,5 milioni di sequenze dimostrava che survivin era infatti il quarto gene più abbondantemente espresso nei 5 più comuni tipi di tumore umano, mentre era assente nei corrispettivi tessuti normali".
In sintesi, qual è l'azione del survivin? "Non proprio un oncogene nel senso stretto della parola; survivin facilita la sopravvivenza delle cellule tumorali prevenendo il processo di morte cellulare programmata, o apoptosi. Esperimenti pubblicati due anni fa in collaborazione tra il nostro laboratorio e il gruppo del professor Marchisio, chiarirono che survivin agisce in modo peculiare rispetto ad altri inibitori dell'apoptosi. Localizzandosi direttamente sull'apparato mitotico, survivin agisce come guardiano di una delle più critiche transizioni del ciclo cellulare, la mitosi, o divisione cellulare. Questo ha importanti implicazioni pratiche perché numerosi farmaci usati in chemioterapia bersagliano il fuso mitotico e stimolano morte cellulare per apoptosi, per cui l'espressione di survivin in questo compartimento subcellulare può diminuirne l'efficacia e favorire il meccanismo di resistenza neoplastica alla terapia."
Professore Marchisio, quali sono le prospettive future dell'impiego del survivin? "C'è da essere ottimisti anche perché, per la prima volta, siamo davanti a un bersaglio aggredibile specifico del cancro e assente nelle cellule normali. Tanto da far sperare che in futuro si potrà sviluppare una sorta di pallottola magica capace di uccidere solo il tumore risparmiando l'organismo sano. Si pensa per la prima volta a una chemioterapia selettiva priva di effetti collaterali per il paziente di tumore. Non bisogna tuttavia alimentare facili illusioni. La via è ancora lunga prima che da survivin nasca un farmaco pronto, sicuro e selettivo."
La ricerca sul survivin "Per le sue caratteristiche biologiche e genetiche - dice il professor Altieri - la ricerca su survivin ha avuto una drammatica impennata a solo tre anni di distanza dalla scoperta del gene. Vari studi sono apparsi nella letteratura scientifica confermando che l'espressione di survivin nei tumori è fortemente associata con un decorso clinico più aggressivo, più invasivo e, purtroppo, con una riduzione della sopravvivenza dei pazienti. Dal punto di vista della ricerca di base, una corsa alla definizione della struttura cristallina di survivin si è conclusa proprio in questo mese con la pubblicazione da parte di tre gruppi, compreso il nostro, della struttura terziaria della molecola e della base strutturale della sua interazione con i microtubuli dell'apparato mitotico. Da un punto di vista della ricerca applicata si moltiplicano gli studi, sempre in vitro per il momento, ma con ovvie prospettive di applicazione nell'animale da esperimento, dell'uso di antagonisti di survivin per facilitare la morte delle cellule neoplastiche, da soli, o in combinazione con noti agenti chemioterapici. E chiaramente l'espressione differenziale di survivin nei tumori, e non nei tessuti normali, fa ben sperare che questa classe di antagonisti possa avere una più bassa tossicità e una migliore selettività di azione. Svariate industrie farmaceutiche negli Usa e in Europa hanno programmi di ricerca per sviluppare antagonisti di survivin, un processo che verrà certamente facilitato dalla definizione della struttura cristallina della molecola. Tutto questo fa sperare in future prospettive per un attacco più mirato, genetico, alla cellula neoplastica. Lungi dall'essere il magic bullet, il proiettile magico in cui si sperava alla metà degli anni settanta, strategie che combinano la "tessera genetica dei tumori con nuove conoscenze di biologia cellulare, come la funzione di survivin, possono portare a nuove terapie con migliore selettività e minore tossicità per le cellule normali. Come sempre nella ricerca scientifica non ci sono risposte semplici, e non ci possono essere scorciatoie, e nuovi potenziali antagonisti di survivin, attualmente in uso in laboratorio, sono sottoposti alla più rigorosa, indipendente e completa sperimentazione pre-clinica e clinica."
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