|
A Civil Action
Corrado Marino, 5/6 maggio giugno 1999
A civil Action, con John Travolta e Robert Duvall, è un classico film di impegno civile nel quale viene riconosciuta la responsabilità civile di alcune grandi imprese chimiche per lo smaltimento illegale di rifiuti cancerogeni, da cui è dipeso un aumento delle leucemie infantili. Il film ripercorre una storia vera dalla quale si evince che, in casi come questi, un cospicuo risarcimento alle famiglie delle vittime non basta. Battaglie giudiziarie durissime e senza esclusione di colpi sono state combattute nelle aule giudiziarie americane in tema di risarcimento danni per tumori causati dal tabacco e dall'inquinamento ambientale. E col passare degli anni si é assistito ad un progressivo riconoscimento di responsabilità da parte delle case produttrici di sigarette da una parte e delle industrie che hanno fatto uso di prodotti nocivi dall'altra. All'inizio tutto era molto difficile, come lo è per altro da noi tuttora, dato che per ottenere una condanna occorreva dimostrare la cosiddetta "causalità immediata diretta" tra agente inquinante/cancerogeno e l'insorgere della patologia; poi é stato accettato, non senza contrasti, il principio dell'incidenza statistica. É stato così sufficiente provare che il fumo o la presenza di un determinato prodotto nell'aria o nell'acqua determinasse un sensibile incremento nel numero dei casi di tumore, oltre gli standard medi rilevati in situazioni analoghe. Un successivo passo in avanti é consistito nell'obbligo per i colpevoli di risarcire non solo le vittime dei tumori, ma anche le comunità locali - stati e contee - che erano costrette ad aumentare gli stanziamenti (e i prelievi fiscali sui contribuenti) per far fronte alle accresciute esigenze in tema di salute pubblica. Infine, ed e questo il punto che più ci interessa, si é imposto ai responsabili di contribuire con somme ingenti - anche nell'ordine delle decine o centinaia di milioni di dollari - alle campagne di prevenzione e agli studi sui sistemi di disinquinamento e depurazione. A questi risultati si é giunti grazie all'azione caparbia di alcuni legali, che per nulla intimoriti dagli avversari che si trovavano di fronte (potenti studi legali associati con grandi mezzi a disposizione), hanno intentato causa a colossi della chimica, rifiutando le pur cospicue offerte transattive per giungere ad una definizione extragiudiziaria della vertenza, evitando così la pubblicità negativa che inevitabilmente ci sarebbe stata. E volendo andare a tutti i costi avanti sino al verdetto hanno in qualche caso finito per compromettere la propria carriera e il proprio stesso patrimonio. È questo il soggetto di un film uscito ad aprile nelle nostre sale cinematografiche, col titolo "A Civil Action", che vede protagonista John Travolta, contrapposto al cinico avvocato della parte avversa Robert Duvall (la cui interpretazione gli è valsa una nomination come attore non protagonista). Deciso a non accettare nessun patteggiamento e ad ottenere piena giustizia, il difensore delle vittime arriverà ad un passo dal successo senza pero raggiungerlo e finirà per indebitarsi sino al collo - si tratta di una storia vera - ma alla fine un risultato riuscirà ad ottenerlo. Quello di far affermare l'obbligo non solo di metter fine al comportamento lesivo per la comunità (scarico di prodotti tossici) e di risarcire le famiglie dei bambini morti di leucemia, ma anche di cooperare attivamente, cioè con cospicue somme di danaro, alla realizzazione di programmi di prevenzione sanitaria. fino ad allora le imprese erano state in grado di cavarsela relativamente con poca spesa, soprattutto se le vittime accertate erano in numero limitato e le famiglie, di modeste condizioni, preferivano accettare un risarcimento forfetario - anche nell'ordine delle centinaia di migliaia di dollari - anziché proseguire nell'azione civile col rischio di non ottenere nulla. Ora i giudici, come detto, possono andare molto al di là di questo nel definire l'ammontare del risarcimento, e va aggiunto che l'offerta spontanea di partecipare alla ricerca scientifica per la prevenzione dei tumori non preclude le azioni giudiziarie intentate dalle vittime, a titolo personale. Conseguenza di ciò e che mettere in pericolo la salute della comunità può costare carissimo, in termini sia finanziari che di immagine, per cui ormai tutte le grandi industrie chimiche mettono in budget somme considerevoli non solo per la depurazione degli scarichi, ma anche per studi, condotti spesso in collegamento con enti scientifici pubblici, per la prevenzione delle più gravi malattie. Il film "A Civil Action" in sé non può essere considerato un capolavoro, e sembra ricalcare, senza riuscirvi a pieno, il celebre "Il Verdetto" di Sidney Lumet (magistrale in quell'occasione la parte di Paul Newman), ma non manca di tensione ed il cast é di tutto rispetto; Robert Duvall ha avuto anche una nomination all'Oscar come migliore attore non protagonista. Nel film compaiono anche alcuni dei veri protagonisti della vicenda - familiari di bambini morti di leucemia - che hanno anche approvato la sceneggiatura, il che dà una ulteriore garanzia di serietà ed autenticità. Un'alternativa alle terapie in uso, ma potrà, se i primi dati positivi saranno confermati, contribuire a impostare un'alimentazione in grado di ridurre il rischio statistico dell'insorgere di alcune forme tumorali.
La fabbrica che uccide Per l'inosservanza delle norme sulla prevenzione delle malattie professionali sono stati condannati ex-dirigenti Fiat. Una sentenza (di omicidio colposo) che potrebbe rivelarsi assai importante, anche se non costituisce un precedente vincolante. Dimostrato il nesso causale tra agenti cancerogeni e insorgere del male. Cinque i morti per tumore tra gli addetti ai bagni galvanici a Mirafiori. Mentre negli Stati Uniti si susseguono le sentenze civili con risarcimenti miliardari a favore delle vittime del tabacco e degli agenti chimici cancerogeni, arriva, inattesa, una pronuncia del pretore penale di Torino. Sette ex-dirigenti della FIAT-Auto sono stati condannati per omicidio colposo plurimo, con pene che vanno da un anno e quattro mesi fino ad un massimo di due anni e sei mesi, quest'ultima senza il beneficio della condizionale, il che è abbastanza raro in casi del genere. Soltanto se la sentenza sarà ribadita in sede di appello ed eventualmente confermata dalla Cassazione, per il reo si apriranno le porte del carcere, sia pure per un breve periodo, dato che di fatto le pene inferiori ai tre anni non vengono fatte scontare, se non in minima parte, grazie all'applicazione generalizzata delle norme sull'affidamento in prova ai servizi sociali e sulla semilibertà (detenzione solo durante le ore notturne). Al di là di questi particolari, la sentenza assume un carattere di particolare rilievo e stupisce ]o scarso risalto che ha avuto sulla stampa quotidiana, che le ha dedicato solo poche righe, confinate nella pagina della cronaca giudiziaria. Alla base del fatto c'è la morte a seguito di tumore di cinque dipendenti della casa automobilistica torinese, che oltre venti anni fa erano addetti ai bagni galvanici presso il reparto carrozzeria di Mirafiori. L'insorgere del male si è verificato dopo un lungo periodo di esposizione agli agenti cancerogeni e sono stati necessari lunghi accertamenti e numerose perizie per affermare il collegamento diretto tra le condizioni di lavoro e la malattia; poi la consueta, inammissibile, lentezza della macchina giudiziaria ha fatto il resto. La fattispecie di reato, ai sensi degli articoli 589, 2° com ma e 43 del Codice Penale è quella di omicidio colposo, che si verifica quando la morte di una o più persone deriva da: "negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline". In base al principio della personalità della responsabilità penale, sancito anche dall'articolo 27, 1° comma della Costituzione, deve essere esclusa qualsiasi forma di responsabilità oggettiva, per cui nessuno può essere punito per il solo fatto di occupare una determinata posizione (capo reparto, responsabile tecnico, direttore generale ecc.), se non si dimostra che ha direttamente causato l'evento con il proprio comportamento antigiuridico. Ciò equivale a dire che deve esserci la prova che sono state violate norme poste a salvaguardia della salute dei dipendenti, e che da tale fatto è derivato il decesso per tumore delle vittime. La norma, giustamente garantista, posta a tutela di ogni imputato, esclude poi che si applichino criteri di responsabilità presunta e quindi se la prova del nesso causale tra la condotta (in questo caso omissiva) del reo ed il verificarsi dell'evento non è acquisita al di la di ogni ragionevole dubbio si deve pronunciare l'assoluzione. Proprio le garanzie di cui si è detto rendono importante la sentenza del pretore penale di Torino, anche se c'è da giurare che la difesa darà di nuovo battaglia davanti alla Corte d'Appello. Due considerazioni si rendono necessarie a questo punto: la prima è quella per cui nel nostro sistema non è possibile estendere la responsabilità penale all'impresa ("Societas delinquere non potest" afferma unanime la dottrina) a differenza di quanto accade oltre oceano, dove una società dichiarata colpevole potrebbe addirittura essere sciolta d'ufficio; nessun limite sussiste invece per ciò che concerne la responsabilità civile. La seconda riflessione è che le sentenze non fanno precedente, come prevedono invece i sistemi di Common Law, dove vale lo "stare decisis". Da noi quindi ogni giudice è indipendente e solo le sentenze della Cassazione relative all'interpretazione della legge hanno valore vincolante per le pronunce successive dei giudici. In casi simili a quello in questione perciò un altro giudice potrebbe anche assolvere i dirigenti di una impresa i cui dipendenti si sono ammalati sul lavoro, salvo che la Cassazione non si pronunci in modo inequivocabile sul concetto di responsabilità e sul nesso causale tra omissione delle misure di prevenzione e insorgere di tumori. Ancora va rilevato che la sentenza penale di condanna potrà avere riflessi in campo civilistico sia nel caso che le famiglie delle vittime si siano costituite parte civile nel processo, sia che abbiano agito in separata sede, anche extragiudiziale, per il risarcimento del danno. In ogni caso la sentenza merita attenzione perché pone in primo piano l'obbligo del rispetto delle norme per la prevenzione e potrebbe costituire un segnale dell'atteggiamento della giustizia nei confronti di chi viola tali norme. A scanso di equivoci va detto che la magistratura non ha il compito di mandare segnali, bensì deve risolvere in base alle leggi vigenti i casi che le si propongono di volta in volta, ma è chiaro che l'aver ravvisato un comportamento delittuoso in questa vicenda e l'aver sanzionato i responsabili con un certa severità (si consideri l'esclusione del beneficio della condizionale per il principale imputato) costituisce un fatto di grande rilievo. Ciò non significa ovviamente iniziare una azione persecutoria contro le imprese, anche perché non può addebitarsi soltanto a queste ultime la responsabilità per la mancata prevenzione, essendoci ancora molte carenze legislative e molti ritardi nell'azione dei pubblici poteri."
Torna ai risultati della ricerca
|