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Uranio impoverito: usi militari

Mariagrazia Villa, N. 4 aprile 2000

Anche gli utilizzi militari dell'uranio impoverito (DU) non sono privi di conseguenze sanitarie ed ambientali. Anzi, costituiscono la testimonianza tangibile dei gravissimi danni causati da questo metallo pesante.
Uno degli impieghi più tristemente conosciuti è per le munizioni anticarro, prodotte finora negli Usa, Francia e Gran Bretagna e presenti negli arsenali americani e delle forze armate di molti paesi del mondo.
Se adeguatamente legato con Molibdeno, o Titanio, temprato rapidamente a 850 °C in olio, o acqua, e successivamente mantenuto a 450 gradi per 5 ore, il DU diviene duro e resistente come l'acciaio e, grazie anche alla sua elevata densità, si dimostra decisamente più efficace del costoso tungsteno monocristallino (benché sia radioattivo e dalle 20 alle 25 volte più tossico). L'uranio 238, infatti, viene impiegato per rinforzare le corazzature cosiddette "avanzate", come quelle del nuovo carro armato M-1 Abrams, inserendolo come in un wafer nel normale acciaio del tank e poi saldandolo, e per i proiettili, sia sotto forma di rivestimento che di penetratore ad energia cinetica, ossia dense barre metalliche sparate ad alta velocità (al momento, si pensa che le armi candidate a contenere uranio impoverito siano davvero molte, benché ancora sottoposte a segreto militare).
Quando la munizione rivestita d'uranio 238 o il penetratore ad energia cinetica centra il bersaglio, il 70% del DU brucia, provocando nell'ambiente una dispersione di polvere radioattivamente e chimicamente tossica, la quale può essere trasportata dal vento o dall'acqua, scendere nel sottosuolo, inquinando le falde acquifere, penetrare nel corpo umano o animale, mediante inalazione o ingestione. Può, inoltre, entrare nella catena alimentare, o causare un'intossicazione diretta, attraverso una ferita provocata da un frammento incandescente.
Il "debutto" delle munizioni all'uranio impoverito è avvenuto durante la Guerra del Golfo del 1991 da parte delle truppe alleate. Con una conseguenza letale: si stima che siano state lasciate nel sud dell'Iraq, principale teatro dei bombardamenti anticarro, dalle 350 alle 800 tonnellate di DU a contaminare suolo, acqua ed aria.
Gli effetti li stanno registrando, da qualche anno, i medici iracheni. Secondo il Talimi College di Basrah, si sta verificando nell'Iraq meridionale un significativo incremento di patologie strettamente connesse alla radioattività: forme tumorali maligne (aumento del 120%, in particolare neoplasie cerebrali, nei minori di 15 anni), linfomi, sindromi di Hodgkin e leucemie (più del 60% nella stessa fascia di età), oltre a malformazioni alla nascita. Le vittime sono figli di persone che vivono nelle aree contaminate dal DU, o di soldati che hanno partecipato alla guerra. Secondo l'Istituto di medicina nucleare di Baghdad, specializzato in oncologia, i casi di tumore sono aumentati di almeno il 50%, mentre l'incidenza della leucemia sul totale dei casi di cancro è raddoppiata e, in alcune zone, addirittura triplicata, rispetto al periodo anteguerra.
Secondo le associazioni americane dei veterani, l'avvelenamento da uranio 238 sarebbe anche responsabile, oltre all'uso delle armi chimiche e batteriologiche, della cosiddetta "sindrome del Golfo" (soprattutto per i tumori linfatici), che ha già colpito 60 mila soldati americani e la loro prole (benché il Pentagono continui a minimizzare gli effetti del DU sull'uomoŠ).
Purtroppo, dopo la bomba atomica, sganciata su Hiroshima e Nagasaki, l'operazione "Tempesta nel Deserto" non è stata la sola occasione di conflitto nucleare. La Nato e gli Usa hanno utilizzato munizioni all'uranio impoverito (più di 500 mila, di cui la metà effettivamente scoppiata) anche nella recente Guerra dei Balcani e, secondo le previsioni di uno scienziato gallese, Roger Coghill, questo causerà nella ex Jugoslavia circa 10 mila morti per cancro nei prossimi mesi, dato che nelle zone, sede dei combattimenti, i livelli di radioattività sono attualmente molto elevati.
Il problema di quest'ultimo inquinamento atomico, però, non è così distante da noi: gli aerei che hanno sganciato i proiettili al DU sulle postazioni serbo-bosniache sono partiti dalla base Nato di Aviano e, dunque, anche il nostro paese potrebbe essere deposito delle micidiali e pericolose armi (per non parlare delle bombe disperse nel lago di Garda).
E non è tutto. Il disastro causato dall'utilizzo militare dell'uranio impoverito sembra, almeno per ora, irrecuperabile, perché i costi per bonificare le aree contaminate sarebbero stratosferici. Per pulire, ad esempio, il Jefferson Proving Ground nell'Indiana (Usa), un poligono recentemente chiuso, dove sono stati sperimentalmente sparati 60 mila chili di DU in un'area di 500 acri, si è stimato che ci vorrebbero dai 4 ai 5 miliardi di dollari. Figuriamoci, per neutralizzare intere nazioni!
Cos'è l'uranio impoverito
L'uranio impoverito (DU) è il prodotto di scarto, piroforico (capace di accendersi spontaneamente), altamente tossico e radioattivo, del processo di arricchimento dell'uranio naturale, al termine del quale si ottiene l'uranio arricchito, utilizzato come combustibile per i reattori atomici e per la produzione di armi nucleari. L'uranio impoverito viene così definito perché il suo contenuto di uranio "buono", l'uranio 235 fissionabile, è ridotto dallo 0,7 allo 0,2 %, mentre contiene elevate quantità d'uranio 238.
A causa del recente calo del costo dell'uranio, la concentrazione dell'isotopo U-235 delle code di lavorazione americane è progressivamente aumentata, perché è molto più conveniente comprare nuovo uranio naturale, anziché estrarre l'U-235 in concentrazioni così basse.
Si stima che gli Usa possiedano circa 560 mila tonnellate di DU sotto forma di esafluoruro (UF6), attualmente stoccate in tre impianti (a Paducah nel Kentucky, a Portsmouth nell'Ohio e ad Oak Ridge nel Tennessee), ma questo non è probabilmente l'inventario completo.
Trovare utilizzi per gli accumuli di uranio impoverito, che rappresenta una scoria nucleare abbondante e di scarso valore, è stato un problema per gli impianti di arricchimento, fin dagli anni Settanta. Gli usi trovati, sia militari che civili, sono stati collegati alla sua alta densità e al costo comparativamente basso.
Sia l'uranio naturale che quello impoverito
presentano le stesse proprietà fisiche e chimiche ma, a causa della rimozione dell'U-235, il secondo è meno radioattivo del primo.
La radioattività naturale è la proprietà che hanno alcune specie atomiche di emettere spontaneamente delle radiazioni corpuscolari (particelle alfa e beta) ed elettromagnetiche (raggi gamma). Ogni disintegrazione radioattiva, cioè l'emissione di radiazioni, che allo stato attuale delle ricerche sembra avvenire casualmente, provoca una trasmutazione atomica, poiché, a causa dell'irradiamento, il nucleo di un elemento radioattivo si trasforma nel nucleo di un altro elemento, ancora radioattivo, e così via fino a giungere ad un elemento stabile non più radioattivo. Per "periodo di dimezzamento" s'intende il tempo necessario affinché una quantità qualunque di sostanza radioattiva si riduca della metà. Nel caso del DU è di circa 4,5 miliardi di anni, praticamente l'eternità.
Gli effetti sulla salute delle radiazioni ionizzanti dipendono dal tipo di radiazione e da dove si trova il materiale radioattivo, se fuori o dentro il corpo. Le radiazioni alfa sono le più ionizzanti: quando la particella alfa entra nel corpo, i tessuti interni assorbono l'energia, causando una distruzione massiccia delle cellule vicino alla particella.
Allora, poiché l'uranio impoverito è un
emettitore alfa, benché possano venire emesse anche particelle beta e raggi gamma dai prodotti di decadimento radioattivo, la sua radioattività costituisce il tipo più pericoloso di contaminazione, se contenuta nel corpo.
Gli effetti a breve termine dell'esposizione ad alti dosaggi di DU possono causare la morte, a lungo termine (anche ad anni o decenni di distanza) per dosaggi bassi delle gravissime patologie, come dimostrano molti studi condotti sugli esseri umani e gli animali (mammiferi): danni permanenti a carico dei vari organi, in particolare reni e fegato, immunodepressione, neoplasie, soprattutto cancri ossei e dei polmoni, leucemie, danni genici e cromosomici e difetti neonatali. Malattie da radiazione ed alterazioni genetiche che da sempre colpiscono chi tratta con la sostanza incriminata, ad esempio i lavoratori nelle miniere d'uranio.
Insomma, i pericoli per le future generazioni e per l'ambiente, in particolare per i sistemi acquatici (come ha fatto notare in un documento ufficiale Greenpeace, l'aprile scorso), risultano, a dir poco, ingenti ed allarmanti.

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