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Voli di linea radioattivi

Mariagrazia Villa, N. 4 aprile 2000

Di recente, il pubblico ministero Felice Casson della Procura della Repubblica di Venezia ha aperto un'inchiesta per accertare il presunto utilizzo di uranio impoverito, chiamato anche DU (dall'inglese "Depleted Uranium") nella costruzione degli aerei ed il relativo rischio per la salute di passeggeri ed addetti alla manutenzione.
Le indagini, avviate in seguito ad un esposto presentato da Medicina Democratica, movimento di lotta per la salute e l'ambiente, secondo cui il pericoloso materiale, cancerogeno e mutageno, sarebbe impiegato nella realizzazione della coda e del contrappeso delle ali dei velivoli, sia civili che militari, non hanno finora condotto a nulla di fatto: sono stati sentiti due dirigenti romani dell'Alitalia, la compagnia di bandiera italiana, ed alcuni rappresentanti sindacali dell'aeroporto veneziano Marco Polo, che avrebbero detto di non essere a conoscenza di circostanze utili agli inquirenti.
In realtà, però, stando anche a quanto affermato dal senatore Stefano Semenzato, vice presidente del gruppo Verdi-L'Ulivo, in un articolo apparso su "Il Manifesto" qualche mese fa, "rispondendo a numerose interrogazioni ed interpellanze, il governo ha confermato l'uso e la presenza d'uranio 238, il cosiddetto uranio impoverito, in numerose applicazioni civili". Quello stesso materiale che, paradossalmente, la legislazione del nostro paese segnala per i suoi catastrofici effetti tossici e, soprattutto, radioattivi. In particolare, "risulta che da molti anni grandi quantità d'uranio impoverito, nell'ordine di centinaia di chili, vengano utilizzate nella costruzione degli aerei" soprattutto di produzione Usa "che regolarmente operano in Italia". Boeing 747, Mc-Donnell Douglas DC10, Mc-Donnell Douglas MD11, Lockeed L 1011, Hercules C-130, tanto per citarne alcuni.
Tenendo conto che l'Italia è un paese particolarmente trafficato, quanto a linee aeree, e che spesso gli aeroporti, Malpensa 2000 ad esempio, si trovano nelle immediate vicinanze di centri abitati, ce n'è abbastanza da preoccuparsi.
Va da sé, infatti, che il rischio sanitario connesso all'utilizzo di una sostanza tanto velenosa ed infiammabile è molto elevato, non solo perché è insicura anche a livello inerte, essendo naturalmente radioattiva, ma soprattutto perché, in caso d'incidenti aerei con conseguenti incendi, è in grado di liberare particelle d'ossido d'uranio sotto forma di polveri od aerosol. Un vero e proprio attentato alla salute tanto della popolazione quanto dell'ambiente: in determinate condizioni atmosferiche, infatti, potrebbe formarsi una nube tossica, capace di contaminare vaste aree.
Si pensi al Boeing 747 coreano, caduto il 22 dicembre scorso nei pressi dell'aeroporto di Stansted, nella regione inglese dell'Essex: secondo il rapporto steso da un organo investigativo britannico sugli incidenti degli aerei di linea, l'aeromobile in questione era stato costruito con ben 300 chili di DU. Naturalmente, la Boeing ha fatto sapere che "prima che venga emesso dell'ossido d'uranio, ci sarebbe bisogno dell'esposizione per più di quattro ore a temperature superiori agli 800 gradi Celsius" ma, intanto, ha confermato anche la presenza della dannosissima sostanza sull'aereo: "abbiamo cominciato ad usare uranio impoverito negli anni Sessanta e, all'inizio degli Ottanta, lo abbiamo rimpiazzato con il tungsteno". In realtà, sembra una scelta bizzarra, visto che l'uranio 238 è disponibile in quantità maggiori e a costo inferiore rispetto al tungsteno, oltre ad essere, come metallo pesante, superiore in efficacia.
La vicenda del jet precipitato in Gran Bretagna non è il solo caso, purtroppo. Si è scoperto, ad esempio, che anche il Boeing 747 della El Al, compagnia di bandiera israeliana, caduto otto anni fa alla periferia di Amsterdam, era "imbottito" d'uranio 238 (con l'aggravante che l'aereo trasportava anche sostanze chimiche per la produzione del letale gas Sarin): stando ad una commissione d'inchiesta olandese, circa 130 chilogrammi d'uranio impoverito furono inalati dai soccorritori e dalla gente del posto e si ebbero oltre 800 persone contaminate.
Sempre Semenzato osserva che non esistono, nel nostro paese, normative di sicurezza: "grazie ad un'apposita deroga prevista da un decreto ministeriale del 1970, la presenza anche di consistenti quantità d'uranio impoverito negli aerei non è assoggettato ad alcuna comunicazione preventiva alle autorità di controllo". Tuttavia, per trasportare un carico di soli 10 chili di DU nella stiva di un velivolo, "sono necessarie dichiarazioni, autorizzazione e assicurazioni"Š
Purtroppo, non risulta nemmeno che "le compagnie aeree siano assicurate contro ipotetici rischi d'intossicazione e contaminazione a causa dell'uranio impoverito, né che vi sia alcuna normativa di protezione specifica per tutti quegli operatori, vigili del fuoco in primo luogo, chiamati ad intervenire a ridosso degli aerei in caso di incidente".
A conferma dell'entità dei pericoli connessi all'uso del DU, si pensi alle sofisticate misure di sicurezza e di smaltimento delle scorie radioattive che vengono adottate al poligono inglese di Eskmeals, sulla costa della Cumbria, dove si testano le munizioni all'uranio impoverito dal 1981. Come si scopre da un articolo apparso sull'"Independent" di due anni fa, il Ministero della difesa e il Dipartimento per l'ambiente sono così preoccupati dei rischi dei test nucleari sui cittadini che hanno attivato un laboratorio medico permanente per il personale militare, una stazione di controllo per la popolazione e sette centrali di monitoraggio dell'aria ad alta capacità, che analizzano mille campioni d'aria ogni anno. Curiosamente, però, le autorità governative del Regno Unito, in buona compagnia con gli Usa e le altre Nazioni Unite, continuano ad affermare che l'uranio impoverito non causa danni reali e non si sono ancora assunte alcuna responsabilità per l'inquinamento atomico provocato dalle testate al DU durante la guerra del Golfo e quella dei Balcani.
Rimanendo comunque agli usi civili, l'uranio impoverito non sembra essere solo impiegato come contrappeso in applicazioni aerospaziali (sembra che ogni Boeing 747 contenga 1500 chili d'uranio 238), ma anche come materiale per la schermatura dalle radiazioni, nelle "sinker bars", ossia i pesi usati per far affondare gli strumenti nei pozzi petroliferi pieni di fango, nei rotori giroscopici ad alte prestazioni e negli yacht da competizione.
Il rischio vero, allora, qual è? Che una sostanza temibile come l'uranio 238 venga utilizzata, in maniera silente e, per giunta, legale, per fini civili o militari a noi ancora sconosciuti, ma in grado di compromettere gravemente la salute nostra e dell'ambiente. Poiché il DU è presente in grandi quantità e a costo bassissimo ed esiste il problema del suo smaltimento, non è da escludere che si stiano studiando nuovi modi per riciclarlo su vasta scala. L'ipotesi, dunque, di un'epidemia radioattiva a livello planetario è molto concreta, anche se, almeno finora, sembra non interessare affatto chi ha il potere dalla parte del manico.


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