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Allarme seno e collo dell'utero

Dario Vascellaro, N. 7/8 luglio-agosto 2000

Il cancro al seno è la principale causa di morte nelle donne tra 35 e 54 anni e di morte per tumore nell'universo femminile. In Europa le donne che si ammalano ogni anno oggi sono più di 300.000, molte più delle 255.000 registrate nel 1995. In Italia ogni anno colpisce più di 31 mila donne e fa più di 11 mila vittime. Molte più del secondo cancro più comune, quello del colon, che colpisce 18 mila donne l'anno con 9 mila vittime.
In dieci anni la mortalità per tumore al seno in Italia è salita del 15 per cento: rispetto ai 9.836 decessi per cancro mammario registrati nel 1984, sono state 11.343 le donne che hanno perso la vita nel 1994. I dati, forniti di recente dalla Lega tumori di Roma, sono preoccupanti, specie se confrontati con quelli di paesi come gli Usa, dove dal 1990 al 1994, le vittime sono diminuite di oltre il 5 per cento. La ragione? La scarsa partecipazione delle donne italiane alle scadenze che ritmano i controlli diagnostici, mammografia in testa, essenziali per scoprire il tumore in tempo utile.
Se si arriva presto alla diagnosi e se il cancro è curato bene, 9 donne su 10 sopravvivono 5 anni e 7-8 superano la soglia dei 20. Arrivare presto significa riconoscerlo quando è piccolo, più o meno di 2 centimetri, e non è andato oltre la mammella.
Come spiega Dino Amadori, responsabile della Divisione di oncologia medica dell'Ospedale di Forlì: "Il cancro della mammella presenta una caratteristica unica: la sua storia può essere profondamente influenzata sia dalla diagnosi precoce sia dalle terapie. Per questo dove si fa ricerca, dove si studiano nuovi farmaci e si tiene sotto controllo la popolazione si hanno i risultati migliori". E i numeri gli danno ragione: secondo i registri ufficiali, i dati di sopravvivenza di Forlì e Ravenna, dove da anni si affronta la questione in modo organico e dove la ricerca procede nell'ambito delle più innovative sperimentazioni a livello internazionale, sono i più alti in Italia e anche in Europa.
Il segreto della lotta al cancro al seno, dunque, sta tutto nella diagnosi precoce. Tanto prima, infatti, si individua la neoplasia, tanto maggiori sono le probabilità di successo della cura. Anche se molte polemiche sono sorte a proposito degli screening di massa che potrebbero portare a un eccesso diagnostico e a un buon numero di falsi positivi. "Oggi la situazione sta cambiando", spiega da Forlì Dino Amadori. "Le biopsie sono più mirate e vengono eseguite con strumenti molto precisi, che consentono di circoscrivere al massimo l'area da asportare".
Le stesse considerazioni valgono per il cancro del collo dell'utero.
Il Pap test ha permesso di individuare un numero crescente di lesioni non ancora maligne ma che, lasciate alla loro evoluzione naturale, darebbero origine a un cancro. Asportarle subito significa prevenire questa eventualità. "Quando si parla di tumore del collo dell'utero", spiega Fabio Landoni, responsabile dell'oncologia chirurgica presso l'Ospedale San Gerardo di Monza, "occorre distinguere, come sempre, lo stadio in cui si trova la malattia". Se il tumore è molto piccolo la guarigione completa è quasi sempre possibile; la percentuale di sopravvivenza a cinque anni scende al 55-60 per cento nei casi in cui la massa iniziale supera i quattro centimetri di diametro. Continua Landoni: "Rispetto ad altri tumori le prospettive si possono definire buone anche negli stadi più avanzati: purché non vi siano metastasi, il 45 per cento delle donne raggiunge la fatidica tappa dei cinque anni. L'aspettativa di vita aumenta se si riduce la massa del tumore con la chemioterapia prima di toglierlo".
Su cosa puntare allora, sulla prevenzione o sulla cura? Anche se sono due facce del problema c'è una discussione continua tra le due comunità di esperti, gli oncologi e gli epidemiologi. Del resto, non è la prima volta che si confrontano i seguaci delle due prospettive, preventiva e curativa, l'una rivolta a tutelare la comunità dei sani, l'altra a farsi carico della singola persona malata. La ragione è innanzitutto una: non ci sono soldi per tutti. Le risorse economiche sono limitate e servono scelte di politica sanitaria per distribuirle.
In genere i ministri della Sanità sono restii a tagliare i fondi all'assistenza utile alle persone, cioè alla cura, per indirizzarla verso obiettivi di medio-lungo periodo utili alla comunità, cioè alla prevenzione. E questo per varie ragioni. Per esempio, perché i successi della prevenzione sono variazioni percentuali in questa o quella tabella e non casi umani toccanti, come si usa dire nei talk-show.
Facciamo un esempio di questo conflitto singolo-comunità e delle sue possibili conseguenze. Con una cifra si può pagare a una donna col cancro in fase avanzata una cura sperimentale o finanziare per 10 anni le mammografie a 150 donne tra 50 e 60 anni. Nel primo caso il risultato sarebbe un anno e mezzo di vita, nel secondo 12 anni-vita nell'insieme, un risultato otto volte migliore. Che fare in casi come questo? Per fortuna, la lotta al cancro del seno non vede solo conflitti del genere, guerre tra donne malate e altre che potrebbero diventarlo. Ci sono quasi sempre due tavoli di lavoro, uno dove si discute come curare la malattia e uno dove si parla di come prevenirla. Forse l'unica domanda che resta lì, inquietante, è se si faccia tutto il possibile sulla prevenzione. Anche in Italia sono stati avviati, negli ultimi anni, appositi programmi di screening.
Si può discutere cosa sia uno screening; varie sono le definizione. Noi prendiamo la "Definizione di screening" data dalla Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori: "Un complesso di prestazioni che la Struttura Sanitaria Pubblica offre attivamente ad una popolazione apparentemente sana con fini di prevenzione secondaria". Ma uno screening quando si può dire efficace? Sulla base dell'esperienza di screening eseguiti in USA, Svezia, Olanda e Italia si è dimostrato un rapporto favorevole fra costi e benefici per quanto riguarda le neoplasie sia per le neoplasie del collo dell'utero che in quelle mammarie, arrivando a una diminuzione della mortalità che varia dal 20 al 70% secondo la nazione in cui si è attuato lo screening.
Si è notato che l'efficacia dello screening è risultata direttamente proporzionale alla compliance, indicando con ciò la percentuale di partecipazione della popolazione invitata allo screening stesso.
In alcuni Paesi, come gli Stati Uniti (la cui medicina è tradizionalmente molto aggressiva e insieme dispendiosa), si invitano le donne a sottoporsi periodicamente al Pap test, anche una volta all'anno, a partire dai 18 fino ai 70 anni. In Europa si è meno assillanti, e le linee guida mediche dei principali paesi suggeriscono di iniziare a 25 anni e di ripetere il Pap test ogni tre anni fino ai 60. In questa maniera, se tutte le donne vi si sottoponessero, si riuscirebbe a ottenere una diminuzione della mortalità di circa il 90 per cento. In Italia la percentuale delle donne che seguono questo consiglio è comunque ancora troppo bassa, e, anche se varia da regione a regione, non supera mai il 30 per cento.
Per quanto riguarda la mammografia, va detto che in Italia siamo ben lungi dal rispettare anche i programmi più prudenti. Solo il 6 per cento della popolazione femminile si sottopone a mammografie periodiche, i programmi avviati dalle regioni sono insufficienti e lasciano pressoché deserto il sud del Paese (nel box qui accanto sono illustrati tre progetti realizzati in Piemonte, Emilia-Romagna e Lombardia).

Le ragioni della prevenzione


Si osservano ogni anno circa 2500 nuovi casi e più di 1000 decessi per il cancro alla mammella tra le donne piemontesi.
Ben 25mila donne viventi in Piemonte sono o sono state malate di tumore mammario, una patologia per la quale vengono effettuati dodicimila ricoveri all'anno negli ospedali piemontesi.
Il tumore del collo dell'utero è quasi dieci volte meno comune, anche grazie al fatto che da tempo si è diffusa in Piemonte la pratica del Pap test.
"Prevenzione Serena" in Piemonte
Per questi motivi, sotto il logo "Prevenzione Serena" fin dal 1992 sono stati avviati a Torino programmi di screening per i tumori della mammella e del collo dell'utero. Essi hanno adottato i protocolli nazionali ed europei e fanno parte della rete di progetti pilota promossi dalla Commissione Europea (programma "Europa Contro il Cancro"), che ha fornito un importante contributo allo sviluppo di progetti di promozione della qualità.
Fino al dicembre 1998 sono stati diagnosticati 560 carcinomi mammari, la maggior parte dei quali di piccole dimensioni e a prognosi molto favorevole.
Il 75% delle donne torinesi ha eseguito, grazie al programma di screening del carcinoma del collo dell'utero, un Pap test negli ultimi tre anni. Dati preliminari mostrano una riduzione del 90% dei tumori invasivi tra le donne che avevano eseguito il Pap test. Le lesioni preinvasive (confermate istologicamente) sono state 2,6 ogni mille donne sottoposte a screening. La maggior parte dei casi si è risolta con interventi locali, con scarsissimo impatto sulla paziente, con un rapporto interventi chirurgici radicali/conservativi di 1:170.
Grazie a questo programma oltre un milione di donne piemontesi nell'arco di tre anni potrà fare mammografia e Pap test presso strutture specializzate, gratuitamente, senza impegnative del medico, direttamente su invito della loro A.S.L.
Con il programma "Prevenzione serena" ogni donna coinvolta riceve direttamente a casa una lettera del suo medico di famiglia con indicazione di data, orario e sede del suo appuntamento personale.
Gli esami vengono praticati gratuitamente. Non è necessaria alcuna pratica amministrativa, né l'impegnativa del medico. I risultati degli esami sono comunicati con lettera direttamente alle interessate.

Obiettivo salvare la vita di 150mila donne in Emilia
In Emilia-Romagna, ogni anno, muoiono circa 6000 donne per tumore, di queste oltre mille per il tumore della mammella, circa 80 per il tumore del collo dell'utero.
La prevenzione, la diagnosi precoce e le più efficaci terapie stanno però migliorando la situazione: ad esempio, in Emilia-Romagna 80 donne su cento che si ammalano di tumore alla mammella dopo cinque anni sono ancora in vita.
L'Assessorato regionale alla Sanità, in collaborazione con il Servizio Stampa e Comunicazione della Giunta, ha attivato, nel periodo novembre '97 - febbraio '98, una campagna di comunicazione per la promozione dei programmi di screening volti alla prevenzione dei tumori del collo dell'utero e della mammella avviati dalle diverse Aziende Usl e Ospedaliere dell'Emilia-Romagna.
Il programma di screening, promosso dall'Assessorato alla sanità della Regione Emilia-Romagna e portato avanti dalle Aziende USL insieme alle Aziende Ospedaliere, è dunque un programma di prevenzione che ha l'obiettivo di ridurre sofferenze e mortalità per questi due tumori.
Il programma di screening, se l'adesione delle donne interessate sarà alta, potrà permettere di salvare 150 donne all'anno per il tumore della mammella e di ridurre drasticamente, tendendo ad annullarla, la mortalità per il tumore del collo dell'utero.
In tutta la regione il programma di screening coinvolge circa 1.250.000 donne, il 61% della intera popolazione femminile: 1.115.736 donne di età tra i 25 e i 64 anni per il pap-test; 530.763 donne di età i 50 e i 69 anni per la mammografia.

Lombardia, screening per le donne dal 1999
Nell'ottobre del 1999, a Milano è partito uno screening contro le neoplasie al seno. 210.000 donne tra i 50 e i 69 anni di età si sono potute prenotare per partecipare a una campagna di prevenzione del tumore alla mammella promossa dall'Asl di Milano.
Allo screening (un'indagine di massa per la prevenzione di malattie) hanno aderito gli ospedali San Paolo, Fatebenefratelli e l'Istituto dei tumori, dove è possibile eseguire l'esame mammografico gratuitamente.
Nella città di Milano si registrano in media 185 morti all'anno. Secondo le previsioni il programma di screening, illustrato dal direttore della Asl di Milano, Antonio Mobilia, e dall'oncologo Umberto Veronesi, presidente della commissione tecnico-scientifica che organizza l'iniziativa, potrebbe salvare almeno 50 milanesi ogni anno.
"Nel progetto - spiega Mobilia - sono stati investiti 12 miliardi di lire e si arriverà a coinvolgere l'80 per cento della popolazione femminile nella fascia di età a rischio, che è tra i 50 e i 69 anni. Sono stati avviati corsi culturali e scientifici per i medici di base, che insieme ai farmacisti dovranno indirizzare e avviare le donne ai controlli preventivi previsti dallo screening". "Una volta eseguita la mammografia, gratuitamente - prosegue Mobilia - in caso di esito dubbio garantiamo un tempo massimo di 72 ore per concludere gli accertamenti e dare una risposta definitiva".
"Dopo le positive esperienze di Firenze e Torino - osserva il professor Veronesi - anche Milano ora si allinea ai migliori standard della prevenzione europea. Lo screening oggi dedicato alle donne ultracinquantenni dovrà però essere aperto anche alle donne tra i 40 e 50 anni, che tra l'altro sono ancora più coinvolte nella famiglia, poiché spesso hanno bambini piccoli da crescere. Nel mondo le popolazioni sottoposte a screening hanno dimostrato un calo di mortalità dal 30 al 50 per cento".
Per iscriversi e prenotarsi all'esame, che prevede un controllo biennale, ci si può rivolgere al medico di base, o in farmacia dove è a disposizione materiale divulgativo.

Chemioterapia per prevenire le metastasi
Il carcinoma mammario è il tumore più diffuso nelle donne. Tra le concause principali possiamo segnalare alcuni fattori: molte donne rinunciano alla maternità o vi arrivano dopo i 35 anni, il fatto che molto spesso non vogliono allattare i lori figli, l'eccesso di ormoni negli alimenti specialmente nelle carni, nel latte e nei suoi derivati. Una donna comunque sempre attenta dovrebbe controllare il suo seno e nel caso di tumore sottoporsi in tempo utile alla mastectomia. Il professor Pierfranco Conte, due anni a Houston e dieci all'Istituto dei Tumori di Genova, ha fondato all'Ospedale Santa Chiara di Pisa, nel 1991, un dipartimento di oncologia medica che dispone di un ambulatorio Day Hospital con venti posti letto, dove applica le sua terapia per prevenire le metastasi che possono colpire il fegato, polmoni e ossa di donna operate di mastectomia. "Tali metastasi si possono evitare con una chemioterapia a base di antraciclicne e di taxani. Per dimostrare la validità del trattamento stiamo partecipando a uno studio internazionale (riguardante sei paesi europei) condotto su 150 donne, età media 55 anni, che sono state operate per un tumore mammario. Lo studio, che finirà nel 2000, ha il fine di evitare ogni tipo di metastasi o recidiva grazie alla moltiplicazione da otto a dieci volte delle dosi di chemioterapici (antracicline associati ad alchilanti) e aggiungendovi, venti giorni dopo l'intervento chirurgico, un trapianto autologo".
Non è una novità che la combinazione di varie terapie (radio, chemio, bisturi e altro) moltiplica nei soggetti, colpiti da tumore, le possibilità di sopravvivenza. E anche gli studiosi pisani si muovono in questa direzione, impiegando non uno, ma tre farmaci per curare donne nella quali il tumore mammario era non primario ma metastatico e hanno già ottenuto dei risultati soddisfacenti: una remissione completa della neoplasia in 40 casi su cento.

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