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Pericolo prostata

Monica Melotti, N. 5/6 maggio/giugno 1999

Dopo i cinquant'anni un uomo su due va incontro a un ingrossamento della prostata (ipertrofia prostatica benigna) e dopo gli 80 anni, l'82% della popolazione ne risulta affetto. Ogni anno più di 120 mila casi di cancro alla prostata vengono diagnosticati negli Stati Uniti e più di 30 mila pazienti muoiono per questa malattia. I neri americani hanno il più alto rischio di sviluppare questa neoplasia. Per l'uomo, il carcinoma prostatico è secondo solamente al tumore del polmone.
Dopo i 40 anni, quindi, ogni uomo deve sapere che è a rischio per il cancro della prostata. Ed avere in famiglia, un padre o un fratello, con questo tipo di tumore, significa aumentare notevolmente la possibilità di contrarlo. Anche una dieta ricca di grassi può portare allo sviluppo di questo tumore. Vi sono però metodiche che consentono di curare sia l'ipertrofia che il tumore. Nel primo caso si ricorre a terapie farmacologiche o chirurgiche, mentre nel caso del carcinoma sono state introdotte di recente due tecniche che hanno dato ottimi risultati e rappresentano una valida alternativa all'intervento chirurgico. Si tratta della brachiterapia e della radioterapia 3D conformazionale. Vediamole nel dettaglio.
La brachiterapia
Il tumore della prostata origina prevalentemente nella parte esterna della ghiandola. La neoplasia può svilupparsi notevolmente, prima di comprimere l'uretra e quindi indurre disturbi urinari (difficoltà della minzione accompagnata da bruciori) per questo è importante sottoporsi a dei controlli periodici (vedi box).
"Negli stadi precoci il tumore della prostata è una malattia curabile" dice il professor Gianstefano Gardani, vice-direttore del dipartimento di radioterapia dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano "Con una terapia tempestiva, la percentuale di uomini che sopravvive è molto alta. Se il cancro della prostata non viene però trattato, può diffondersi ad altri organi, causando inabilità e in seguito la morte.
La brachiterapia è la radioterapia conformazionale per eccellenza, ed è indicata soprattutto in quei casi dove la neoplasia è localizzata, cioè completamente contenuta nella capsula della prostata, è sconsigliata per le forme avanzate. E' una tecnica che sostituisce l'intervento chirurgico, piuttosto invasivo e con gravi rischi, come quello dell'impotenza sessuale e dell'incontinenza urinaria".
La tecnica nasce all'inizio degli anni 70 sotto l'ispirazione di un urologo americano (Whitemore) e viene man mano perfezionata con l'introduzione della guida ecografica che consente un inserimento mirato degli aghi. In parole semplici la brachiterapia consiste nell'alloggiare delle sostanza radioattive, per via interstiziale, nella parte colpita dal carcinoma. Deve essere eseguita da un'équipe con la presenza di un urologo, un radioterapista e un fisico, che gestisce il calcolo della dose.
"Le sorgenti radioattive (radioisotopo-iodio 125) vengono direttamente inserite nel tumore, mediante gli aghi" spiega il professor Gardani "Durante questo intervento, che dura circa un'ora e mezza/due ore, per visualizzare meglio la prostata, viene inserito nel retto un ecografo transrettale. Si usa poi una griglia forata dove passano gli aghi che verranno inseriti, per via transcutanea, nella prostata. Sul monitor si vede chiaramente la zona da trattare e così è possibile alloggiare in modo corretto gli aghi (circa una trentina). Questi aghi sono caricati con piccoli semi di iodio 125 (isotopo radioattivo) che resta sempre nella zona malata, con il compito di distruggere il carcinoma. Dopo l'intervento, che viene eseguito in anestesia generale, il paziente il giorno dopo può tornare a casa. Resterà radioattivo per circa due mesi, dovrà quindi stare attento a non prendere bambini sulle ginocchia e avvicinarsi troppo alle donne incinte, ma dopo questo periodo la radioattività dell'ambiente circostante sarà come quella naturale".
Va detto che la brachiterapia è un intervento definitivo, non occorre ripeterlo, viene eseguito in un'unica seduta, a differenza delle altre tecniche che richiedono più trattamenti. Inoltre la probabilità di guarigione rasenta quasi il 95%, garantisce la potenza sessuale nell'85% dei casi, la funzionalità urinaria rimane normale e gli effetti collaterali sono modesti. Ma c'è un ma. Purtroppo la brachiterapia non viene eseguita in Italia, nelle strutture pubbliche (viene invece eseguita negli Stati Uniti e in Inghilterra). L'unico posto che l'esegue, ma ancora in fase sperimentale, è una clinica privata collegata all'Ospedale San Raffaele di Milano "Purtroppo la brachiterapia è un trattamento molto costoso e il rimborso previsto nel tariffario della regione è molto basso e quindi gli ospedali che decidono di eseguirla ci devono rimettere economicamente" conclude il radioterapista "Basta solo dire che l'isotopo, da usare ogni volta, costa circa 7 milioni, senza contare che le apparecchiature per eseguire il trattamento sono anch'esse costose". All'Istituto Nazionale dei Tumori , la strumentazione è quasi completa, devono solo acquistare la griglia e gli aghi, ma il vero nodo da sciogliere è quello che riguarda i rimborsi della Regione, che dovrebbero essere maggiori per questi trattamenti radioterapici. Nel frattempo, all'Istituto, il carcinoma prostatico viene trattato con una radioterapia a fasci esterni tridimensionale con collimatore multilamellare dinamico. Si tratta di una radioterapia ad alta precisione che consente di irradiare volumi molto piccoli risparmiando gli organi sani adiacenti, la stessa radioterapia che viene anche eseguita allo Ieo (Istituto Europeo di Oncologia) di Milano.
La radioterapia 3d conformazionale
Questa metodica rappresenta una nuova cura per il tumore della prostata. Mediante un fascio di raggi X si interviene con una precisione millimetrica, paragonabile a quelli di un bisturi, e si riducono al minimo le tanto paventate conseguenze dell'intervento chirurgico, come l'incotinenza (che colpisce il 4% di coloro che si sottopongono alla chirurgia) e l'impotenza sessuale che si manifesta nel 40% degli operati. "Questa tecnica è stata messa a punto sei anni fa negli Stati Uniti ed è stata introdotta allo Ieo, circa due anni fa" spiega il professor Roberto Orecchia, direttore della radiotarapia allo Ieo e docente di radioterapia all'Università di Milano
"Si tratta di raggi ad alta energia che irradiano l'organo malato, seguendo con precisione millimetrica i contorni della massa tumorale senza danneggiare i tessuti circostanti. L'esclusione delle cellule sane, fatta dai "raggi intelligenti", permette di elevare le dosi, aumentando quindi l'efficacia della cura. Il trattamento avviene mediante una tomografia computerizzata e una risonanza magnetica tumorale che, sfruttando particolari programmi di elaborazione, permettono di ricostruire perfettamente al computer, in immagine tridimensionale, l'organo da irradiare. In questo modo è possibile la simulazione virtuale dell'intero trattamento prima della sue effettiva esecuzione. Inoltre tutti i dati simulati vengono elaborati per definire lo schema del trattamento, cioè le dosi e la durata delle radiazioni. Viene anche stabilita la forma esatta dell'area da irradiare. L'esecuzione avviene immobilizzando il paziente, versandogli attorno, mentre si trova coricato in un contenitore, della schiuma di poliuretano espanso che, solidificata, riprodurrà il calco del suo corpo. Questo calco servirà per definire e mantenere esattamente la posizione del paziente durante tutte le successive applicazioni radioterapiche, in modo da avere sempre la stessa collocazione della zona da trattare, colpendo così, nella maniera più idonea, soltanto il tumore e non le zone circostanti".
La terapia è indolore e prevede un ciclo di 38/40 applicazioni quotidiane della durata di 20 minuti, in day hospital. Dopo circa un mese si possono verificare disturbi di natura infiammatoria che interessano la vescica e il retto, tra cui cistiti, piccole perdite di sangue, difficoltà nella minzione, irritazione al retto. Ma che scompaiono abbastanza rapidamente, assicurando una guarigione nel 95% dei casi. La terapia non è indicata nel forme tumorali con metastasi. Vitamina E per proteggersi
Tra gli uomini che assumono vitamina E, si riduce di un terzo il rischio di tumore alla prostata e del 41% la mortalità per questa patologia. La notizia è stata pubblicata sul Journal of the nationale cancer Institute in seguito a uno studio condotto in Finlandia e durato 5 anni. Un gruppo di ricercatori ha sottoposto circa 30 mila uomini, tra i 50 e i 69 anni, per studiare i potenziali effetti anticancerogeni della vitamina A e E. Sebbene entrambe le vitamine appaiono contrastare l'ossidazione delle cellule, solo la vitamina E, sembra dare una protezione contro il cancro per diverse forme tumorali: al colon retto, ai polmoni, alla prostata.
Gli esami da fare
Ogni uomo dopo i 50 anni dovrebbe sottoporsi almeno una volta l'anno a una visita urologica. Un'esplorazione rettale rileva subito se c'è un ingrossamento della ghiandola. Per maggiori chiarimenti si deve eseguire il dosaggio Psa (Prostatic specific antigen). Questo test, che viene effettuato su prelievo del sangue, determina il livello dell'antigene prostatico specifico, una proteina che al di sopra di un certo livello può essere sintomo di tumore. In casi dubbi si deve eseguire un'ecografia prostatica e, in ultima analisi, la biopsia per individuare possibili formazioni neoplastiche.
A chi rivolgersi
Istituto Nazionale dei Tumori - Divisione Radioterapia Milano 02-23902497
Istituto Europeo di Oncologia - Divisione di Radioterapia tel 02-57489037
Società Italiana di Urologia - Roma tel 06.86202637

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