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Dolore episodico intenso
Minnie Luongo, N. 6/7 giugno/luglio 2015
Finora realtà oltremodo sottodiagnosticata, quella del dolore episodico intenso finalmente ha cominciato il giusto spazio. E, per favorire una reale comunicazione e un’alleanza terapeutica tra medico e paziente, è nato il progetto “Ascolto e relazione nel percorso di cura: 6 D.E.I. nostri?”
L’incontro di Napoli
Un proficuo workshop si è tenuto recentemente a Napoli: un evento che ha segnato l’inizio di un percorso che coinvolgerà i terapisti del dolore in prima persona e culminerà nella pubblicazione di un volume con le più belle storie di “straordinaria” comunicazione medico-paziente. Sempre in questo incontro è stata presentata una nuova opzione farmacologica per la terapia del D.E.I.: una formulazione di fentanyl citrato sublinguale caratterizzata da elevata rapidità d’azione e flessibilità posologica.
Il dolore episodico intenso (D.E.I.) costituisce un picco di sofferenza che insorge all’improvviso in pazienti che già soffrono di dolore da cancro. Nonostante sia causa di una importante compromissione della qualità della vita, il D.E.I. è una realtà clinica ancora sottostimata e, soprattutto, sottodiagnosticata, spesso trattata con farmaci non appropriati. A Napoli il convegno, promosso da Angelini, ha fatto il punto su come migliorare la gestione di questa patologia, identificando il rapporto tra medico e paziente quale fattore essenziale per il successo del percorso di cura. Capacità di ascolto e di dialogo risultano di particolare valore in un contesto, quale è quello oncologico, complesso e ricco di implicazioni culturali e psicologiche, che costituiscono la chiave per un’alleanza terapeutica efficace.
Pregiudizi, paure e false credenze: sono solo alcuni dei sentimenti che ruotano attorno alla malattia dolore e che, spesso, ostacolano il successo delle terapie per alleviarlo. Di fronte a un fenomeno così articolato – è emerso a Napoliè dovere del clinico porre al centro del percorso di cura il paziente, stabilendo con lui un dialogo teso a comprenderne esigenze e timori inespressi e a migliorarne la qualità della vita. Ciò vale ancor più per una patologia complessa come il Dolore Episodico Intenso (D.E.I.), conosciuto anche come “BreakThrough cancer Pain (BTcP)”, che colpisce chi soffre di patologie neoplastiche. Circa 160 terapisti del dolore di tutta Italia si sono riuniti per condividere, attraverso i meccanismi narrativi dello “storytelling”, le reciproche esperienze e le indicazioni su che cosa fare e che cosa, invece, non fare nelle situazioni critiche più ricorrenti.
«Il Dolore Episodico Intenso è un dolore transitorio acuto di breve durata, che s’instaura su un dolore persistente di base – spiega il professor Guido Fanelli, Presidente della Commissione Ministeriale Terapia del Dolore e Cure Palliative – É un picco di sofferenza intenso, che si verifica all’improvviso; lo sperimenta circa il 30-50 percento dei pazienti oncologici. Insorgendo in modo rapido e inaspettato, inoltre, ha un pesante impatto sulla qualità di vita del malato e sul suo percorso di cura. Per le sue peculiarità, il Dolore Episodico Intenso necessita di farmaci con apposita indicazione ma, ancora troppo spesso, viene sottodiagnosticato e sottotrattato o, ancora, affrontato in maniera non appropriata, mentre cruciali per una terapia efficace sono la velocità dell’effetto analgesico e la possibilità di calibrare il dosaggio, in base alle caratteristiche del singolo paziente».
La sintesi dei relatori
Fra i relatori che hanno partecipato al workshop di Napoli è intervenuto anche l’attore e psicologo Paolo Vergnani (che per Prevenzione Tumori ha tracciato una chiara ed interessante sintesi, vedi box, ndr). In particolare, mentre si affrontava il problema del delicato equilibrio psicologico che il medico instaura con i propri pazienti e con il caregiver, il convegno ha fornito agli specialisti un inedito sguardo d’autore: l’attore e psicologo Paolo Vergnani, infatti, ha tenuto un’eccezionale “conferenza teatrale” sul valore e la potenza della comunicazione, fornendo strumenti e spunti di riflessione circa le difficoltà e le opportunità che possono influenzare la relazione medico-paziente nel percorso di cura. «Le esperienze cliniche raccolte, trasformate in storie dagli stessi terapisti del dolore – ha detto Paolo Vergnani – sono state la testimonianza del valore della narrazione nello sviluppo di una capacità di comunicazione che ponga il paziente al centro del percorso di cura, favorendo una maggiore empatia, a vantaggio tanto del malato quanto del clinico. La nostra volontà è mettere a disposizione i contenuti emersi nel corso del convegno, grazie alla pubblicazione e alla diffusione di un libro, che possa essere strumento utile e di riferimento nella comunicazione tra medico e paziente oncologico».
I clinici hanno poi affrontato, nel corso di specifici workshop, le sei situazioni critiche più frequentemente riscontrate nella gestione del paziente oncologico che soffre di dolore, giungendo a definire i comportamenti appropriati e a individuare le pratiche che, invece, andrebbero evitate. Tra le principali problematiche emerse: il paradosso dei pazienti che rifiutano la terapia antalgica, di fronte ai quali il clinico deve compiere uno sforzo di comprensione e cercare un’apertura che porti a una soluzione davvero condivisa. Altre criticità sono rappresentate da preconcetti, convinzioni errate, informazioni non corrette, spesso derivanti dalla consultazione del web da parte dei malati. In tali circostanze, più che mai, il medico deve prestare attenzione al contesto socio-culturale del paziente e alla sua storia clinica, cercando di rassicurarlo con il linguaggio più adatto, evitando risposte standard. Pertanto, fine ultimo dei diversi workshop è stato quello di elaborare delle “storie cliniche” in grado di rappresentare esempi di buona comunicazione, alla base di un’efficace gestione del dolore. Storie che poi confluiranno, come già anticipato, nella pubblicazione di un volume dedicato.
Infine, l’evento partenopeo di Napoli ha costituito l’occasione per presentare alla comunità medica una nuova opzione farmacologica nella terapia del Dolore Episodico Intenso: una formulazione di fentanyl citrato sublinguale, in grado di rispondere alle specifiche esigenze terapeutiche del D.E.I. grazie a un’elevata rapidità di azione, già a 6 minuti, alla flessibilità posologica e alla semplicità di assunzione. Tutte caratteristiche che favoriscono l’aderenza del paziente alla terapia, alimentando un circolo virtuoso che va proprio nella direzione di un’effettiva alleanza terapeutica tra il curante e l’assistito.
Da ultima ma certo non per ultima…
All’incontro di Napoli non poteva mancare la “nostra” Raffaella Pannuti, presidente ANT, alla quale abbiamo posto alcune specifiche domande. Premessa fondamentale per questo contesto: Fondazione ANT, che si occupa dal 1985 di assistenza sociosanitaria domiciliare e gratuita ai malati di tumore ed è in prima linea nella lotta al dolore nei pazienti oncologici, ha di recente contribuito, con Impact Proactive e Federconsumatori, a realizzare un Vademecum sul Dolore per informare il più ampio numero di cittadini sui propri diritti in tema di dolore.
Dottoressa Pannuti, come è inquadrato il dolore oggi in italia?
«Intanto, partiamo da alcuni dati sulla diffusione del dolore oggi in Italia: si stima che ne siano colpiti un italiano uno su cinque, ossia circa 12 milioni di cittadini, con particolare incidenza nella popolazione anziana. Nonostante questa diffusione capillare, per lungo tempo il dolore è stato considerato semplicemente un sintomo conseguente ad altre malattie. Qualcosa da accettare e curare in un secondo momento. Solo cinque anni fa, con la legge 38, il dolore è stato riconosciuto definitivamente coma una malattia a sé stante, qualcosa che interferisce in maniera significativa sulla qualità della vita di chi ne soffre e di chi gli sta intorno. Trattarlo è un dovere del medico, un problema etico, oltre che un diritto del malato».
A che punto siamo con la legge 38 oggi?
«La legge 38, che dobbiamo tra gli altri al professor Guido Fanelli, Coordinatore della Commissione Nazionale per l’attuazione della Normativa 38 del Ministero della Salute e nostro Direttore Scientifico dal febbraio scorso, è una legislazione all’avanguardia a livello europeo, ma poco conosciuta: sancisce il diritto di tutti i cittadini all’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. I dati elaborati di recente dalla Fondazione Isal ci dicono che il 40% dei cittadini non sa ancora oggi a chi rivolgersi in caso di dolore, mentre solo il 32% è stato informato dal proprio medico, il 22% da amici e parenti e il 14 percento su Internet. Inoltre, solo il 35% sa che in Italia c’è una legge sul tema».
In ambito oncologico a che punto siamo?
«Esiste un “muro” ancora da abbattere per raggiungere una gestione ottimale del problema. In particolare, per quanto riguarda una patologia complessa come il Dolore Episodico Intenso (D.E.I.): un picco di sofferenza intensa, che si verifica all’improvviso in quasi la metà dei malati oncologici. Insorge più volte nel corso della giornata e, quando termina, lascia nel paziente l’ansia e la paura che possa tornare, spesso compromettendone il benessere psicofisico e il percorso di cura».
Che cosa serve in questi casi?
«Per controllare efficacemente il D.E.I., servono una diagnosi tempestiva e l’utilizzo di oppioidi in formulazioni che permettono un rilascio rapido del principio attivo e la possibilità di calibrare il dosaggio, in base alle caratteristiche del singolo paziente. Eppure, dalla letteratura emerge che una parte dei malati con D.E.I. non riceve un trattamento appropriato. Assieme a 160 terapisti del dolore, Fondazione ANT ha di recente partecipato al convegno a Napoli per condividere, attraverso i meccanismi narrativi dello storytelling, esperienze e riflessioni sulle sei situazioni critiche più frequenti nella gestione del paziente oncologico che soffre di dolore, giungendo a definire i comportamenti appropriati e a individuare le pratiche che, invece, andrebbero evitate. Le criticità sono molte e diverse, dal paziente che rifiuta – paradossalmente – la terapia antalgica, ai tanti preconcetti, convinzioni errate, informazioni non corrette spesso derivanti dalla consultazione del web da parte dei malati: la buona comunicazione medico-paziente è emersa come uno strumento essenziale nel percorso di cura».
Ci spiega meglio questo aspetto di dialogo tra medico e paziente?
«Come operatori sanitari, medici in generale e terapisti del dolore in particolare, dobbiamo essere consapevoli che – per gestire efficacemente la malattia – non ci si può limitare a considerare solo i fenomeni patologici che si stanno verificando nel corpo del paziente, ma è necessario comprenderli fino in fondo. E, soprattutto, è indispensabile capire quale significato i pazienti attribuiscano al loro malessere e quale rappresentazione cognitivo-emotiva abbiano costruito dei sintomi della malattia oncologica, tra cui il dolore stesso: solo così potremo suscitare in lui la motivazione necessaria a combatterli efficacemente. Noi di ANT questa consapevolezza l’abbiamo chiamata Eubiosia, la buona vita: ci impegniamo ogni giorno per migliorare la qualità di vita dei nostri assistiti e dobbiamo continuare a farlo, sicuri di quanto sia determinante la costruzione di un solido rapporto medico-paziente, nella direzione di un’effettiva alleanza terapeutica».
Il contributo di Angelini
«ll Dolore Episodico Intenso è una problematica dal forte impatto etico e sociale, che si ripercuote sul benessere psico-fisico del paziente oncologico, spesso già compromesso dalla malattia – sottolinea Fabio De Luca, General Manager Divisione Pharma di Angelini -. Pur esistendo delle scale validate di misurazione, il dolore è un sintomo così soggettivo che, per poterlo comprendere a pieno, è importante aiutare il paziente a raccontarlo, esprimendo ciò che realmente prova. In questo senso, il ricorso allo storytelling può davvero fare la differenza. Per tale motivo crediamo nell’utilità del progetto “Ascolto e relazione nel percorso di cura: 6 D.E.I. nostri?”, con il quale ci auguriamo di contribuire a un effettivo miglioramento nella comunicazione medico-paziente nell’ambito del percorso di cura del D.E.I. L’impegno di Angelini nella lotta alla sofferenza si concretizza con lo sviluppo di soluzioni terapeutiche innovative, in grado di rispondere ai bisogni insoddisfatti dei malati, e col supporto a iniziative volte ad affiancare la classe medica con serietà e spirito di collaborazione».
Profilo fondazione ANT
Fondazione ANT Italia Onlus opera in nome dell’Eubiosia (vita in dignità). Dal 1985 a oggi ANT ha assistito, in modo completamente gratuito, oltre 106.000 sofferenti oncologici. In 9 regioni italiane, oltre 4.250 malati vengono assistiti ogni giorno a domicilio da 20 équipes di operatori sanitari ANT che assicurano, al malato e alla sua Famiglia, tutte le necessarie cure di tipo ospedaliero e socio-assistenziale. Sono complessivamente circa 400 i professionisti che lavorano per la Fondazione (medici, infermieri, psicologi, nutrizionisti, fisioterapisti, farmacisti, operatori socio-sanitari, assistenti sociali e funzionari) cui si affiancano oltre 2.000 volontari Il supporto affronta ogni genere di problema nell’ottica del “benessere globale” del Malato. Fondazione ANT è inoltre fortemente impegnata nella prevenzione oncologica, con progetti di diagnosi precoce del melanoma, delle neoplasie tiroidee, ginecologiche e mammarie. Le campagne di prevenzione si attuano sia presso strutture sanitarie offerte gratuitamente ad ANT da soggetti terzi, sia negli ambulatori ANT, sia all’interno dell’ambulatorio mobile – BUS della Prevenzione. Il mezzo, dotato di strumentazione diagnostica all’avanguardia (mammografo digitale, ecografo e videodermatoscopio) consente di realizzare sul territorio visite di prevenzione nell’ambito dei vari progetti ANT. La Fondazione ANT opera in Italia attraverso 120 Delegazioni, dove la presenza di Volontari è molto attiva.
Il commento di Paolo Vergnani
«L’esperienza di Napoli ci ha permesso di lavorare con oltre 150 terapisti del dolore sul tema della relazione con il paziente. Sono state evidenziate diverse aree critiche: dal rapporto con autorità alla diffusione di informazioni false che finiscono con creare false credenze nel paziente e nei caregiver.
In sintesi, si è parlato dei diversi paradossi in cui finisce per trovarsi il terapista del dolore, dal trovare un equilibrio nel rapporto con gli altri terapeuti al delicato equilibrio interiore tra il bisogno di empatia, e, infine, la necessità di trovare un distacco che non solo protegga ma permetta di effettuare scelte cruciali con la dovuta lucidità.
Ecco perché si è dato ampio spazio alla metodologia del “Choosing Wisely” che ha permesso di identificare comportamenti specifici da evitare, ed altri da seguire.Il tutto senza la pretesa di costruire ricette o diffondere false certezze, ma per fornire sostegno ad una professione che chiede, oltre alla competenza scientifica, una grande sensibilità, attenzione alle relazioni e flessibilità di comportamenti».
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