Eccellenza scientifica e ricerca
Stefania Bortolotti, N. 6/7 giugno/luglio 2015
Recentemente approvato da Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), il farmaco ponatinib (Iclusig®) per il trattamento della Leucemia Mieloide Cronica (LMC) e della Leucemia Linfoblastica Acuta Philadelphia positiva (LLA Ph+) già disponibile dal Gennaio scorso.
Ponatinib è efficace per il trattamento della LMC in pazienti che si trovano nella fase cronica, accelerata o blastica della malattia e sono resistenti o intolleranti a dasatinib o nilotinib e per i quali il successivo trattamento con imatinib non è clinicamente appropriato, oppure in pazienti nei quali è stata identificata la mutazione T315I.
La LMC è una neoplasia dei globuli bianchi che colpisce in Europa circa 7.000 nuovi pazienti ogni anno. Nel 2013, in Italia, i pazienti affetti da LMC sono stati 7.881, con un’incidenza di nuovi casi del 12% pari a 930 pazienti. La LMC è caratterizzata da una produzione eccessiva e non regolata di globuli bianchi da parte del midollo osseo a causa di un’anomalia genetica che produce la proteina BCR-ABL. In seguito alla fase cronica di produzione eccessiva di globuli bianchi, l’evoluzione della malattia conduce a fasi più aggressive definite fasi accelerata e blastica.
La LLA Ph+ è un sottotipo di leucemia linfoblastica acuta con cromosoma Ph+ che produce BCR-ABL. Ha un decorso più aggressivo della LMC e viene spesso trattata con una combinazione di chemioterapia e inibitori delle tirosin-chinasi.
«Siamo lieti di poter offrire una soluzione terapeutica efficace ai pazienti che fino ad oggi non avevano alternative di cura, soprattutto nelle forme più aggressive di leucemia – dice Giancarlo Parisi, Generale Manager di Ariad Pharmaceuticals Italia – Il processo di scoperta e sviluppo di ponatinib esprime pienamente i valori aziendali di eccellenza scientifica e di impegno nella ricerca che ci caratterizzano da sempre. Siamo costantemente a fianco di pazienti e medici con l’obiettivo di sviluppare farmaci utili a curare i malati più fragili, affetti da patologie attualmente prive di cure efficaci».
Gli studi clinici effettuati su ponatinib hanno dimostrato l’efficacia del trattamento in pazienti affetti da LMC resistenti ai trattamenti precedenti, in particolare, i dati del trial PACE indicano risposte solide e durevoli nei pazienti con Leucemia Mieloide Cronica in fase cronica, con oltre l’ 80% dei pazienti che dopo due anni continuano a risponde positivamente al farmaco. Dati più recenti dello studio mostrano una sopravvivenza complessiva del 82% a 36 mesi, che varia a seconda della gravità della patologia e della fase in cui essa viene trattata. Ponatinib è l’unico farmaco che agisce su una mutazione genetica particolarmente aggressiva (T315I) e che è in grado di agire su tutte le altre mutazioni genetiche clinicamente rilevanti, garantendo un’aspettativa di vita elevata.
«La comunità scientifica ematologica in Italia è sempre attenta ai dati della ricerca clinica. C’è pertanto grande attesa per l’arrivo di nuovi farmaci come ponatinib, che ha dimostrato grande efficacia nel trattamento dei pazienti con LMC e LLA Ph + resistenti a precedenti terapie con Tirosin Kinasi Inhibitor (TKI) – afferma il Professor Fabrizio Pane, Presidente Società Italiana di Ematologia. Per questi pazienti vengono frequentemente a mancare opzioni terapeutiche dopo la perdita o la mancata risposta alla terapia iniziale e ponatinib rappresenterà una nuova e validissima opzione terapeutica, che in particolare nella LLA Ph +, malattia molto aggressiva, è spesso l’unica alternativa di trattamento».
Nel 2011, ponatinib è stato reso disponibile ad uso compassionevole in Italia. Dopo tre anni di lavoro e investimenti, nel 2014 il farmaco ha superato l’esame da parte di Aifa – in ritardo rispetto ad altri Paesi europei dove è disponibile dal 2013 – ed ha ricevuto l’approvazione e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 26 novembre del 2014.
«In Italia, ogni anno, vengono diagnosticati circa mille nuovi casi di Leucemia Mieloide Cronica. Se fino agli anni 90 la malattia risultava spesso mortale, ora può essere controllata grazie a farmaci intelligenti. Tuttavia, per quella parte di pazienti che non risponde alle terapie disponibili, la patologia può rivelarsi fatale e la cura rappresentare un peso psicologico soffocante – sottolinea Felice Bombaci, presidente Gruppo pazienti AIL LMC. Per queste ragioni noi pazienti guardiamo con grande speranza e fiducia ai progressi scientifici e all’arrivo di farmaci innovativi come ponatinib che consentono di convivere serenamente con la LMC e soprattutto di riappropriarsi del proprio futuro».
Gestire la leucemia mieloide cronica diventa una nuova professione
È stato recentemente presentato a Milano il Progetto EURICLEA dedicato alla creazione di una nuova figura infermieristica specializzata nella cura dei pazienti affetti da Leucemia Mieloide Cronica (LMC). Il progetto – sostenuto da un contributo non condizionato di Ariad Pharmaceuticals – nasce dalla collaborazione tra il Gruppo AIL Pazienti Leucemia Mieloide Cronica, la Società Italiana di Ematologia e la Federazione Ipasvi.
I trattamenti farmacologici per la cura della LMC possono sviluppare reazioni indesiderate come la mielosoppressione (riduzione della funzionalità del midollo osseo), eruzioni cutanee, disturbi gastrointestinali e alcune manifestazioni come debolezza, affaticabilità, mal di testa, alterazioni degli esami di laboratorio, tendenza alle infezioni e sanguinamenti/emorragie, comparsa di pallore, tachicardia ed affanno. Tali eventi devono essere riconosciuti e gestiti in maniera adeguata affinché il paziente possa continuare a trarre il massimo beneficio dal trattamento. È importante che il presentarsi di effetti collaterali non causi l’interruzione della terapia inficiandone l’efficacia. Il ruolo dell’infermiere in questo contesto è strategico, sia dal punto di vista clinico che psicologico/emotivo.
Il ruolo dell’infermiere è determinate nella gestione degli effetti collaterali. Tuttavia, per gestirli in maniera efficace è fondamentale la collaborazione del paziente. I pazienti riconoscono nel ruolo dell’infermiere la figura più vicina e di aiuto, si stabilisce tra i due un rapporto di totale fiducia. Il paziente riconosce nell’infermiere il custode della propria qualità di vita. È importante esplorare le esperienze degli infermieri nella cura dei pazienti affetti da LMC e mettere a fattor comune i risultati di successo. Tendere all’ottenimento di buoni risultati nella gestione della patologia sarà l’obiettivo del percorso formativo. Discutere dei bisogni formativi degli infermieri che assistono i pazienti affetti da LMC e i loro caregivers diventa, quindi, prioritario.
«La figura professionale dell’infermiere nei reparti di ematologia si è progressivamente modificata anche in relazione alla recente evoluzione del relativo percorso di formazione curricolare. Gli infermieri hanno pertanto assunto un ruolo sempre più importante svolgendo un prezioso supporto alla attività clinica – puntualizza il Professor Fabrizio Pane, Presidente Società Italiana di Ematologia – per questa ragione SIE sostiene il Progetto EURICLEA ed è parte del board scientifico incaricato di sviluppare un percorso formativo specifico per migliorare la capacità di gestione dei pazienti in terapia con i nuovi farmaci biologici».
Per concludere, il progetto EURICLEA prevede la definizione di un percorso formativo che verrà sviluppato ad hoc sulle esigenze dei pazienti con LMC, attraverso aggiornamenti del materiale esistente indirizzato sia alla formazione infermieristica che all’educazione del paziente. Successivamente, raggiunto questo primo traguardo, verrà istituita una rete infermieristica nazionale.
Leucemia Linfatica Cronica
Sottolinea il Dottor Livio Gargantini – Specialista Ematologo Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano: «La Leucemia Linfatica Cronica (LLC) è la più frequente ( 25% ) delle leucemie negli adulti. È un tumore dell’età anziana e meno del 15% viene diagnosticato prima dei 60 anni. La sopravvivenza è mediamente tra i 5 e 10 anni, l’aumento possibile della sopravvivenza può essere collegato alla casuale diagnosi precoce, in quanto in questa fase la malattia è generalmente priva di sintomi. Le cause di mortalità sono frequentemente infezioni e cancri secondari. La diagnosi, oltre ad un serie di esami, è sostenuta attualmente dalle nuove tecnologie in biologia molecolare, citogenetica, genomica e bioinformatica».
Cifre
Ogni anno, negli Stati Uniti vengono diagnosticati circa 5.000 nuovi casi di LMC, mentre in Europa si parla di circa 7.000 nuovi pazienti nello stesso periodo. In futuro si prevede un aumento significativo della prevalenza, dettata dal fatto che sempre più pazienti, in particolare quelli trattati nella fase cronica della malattia, avranno aspettative di vita più lunghe grazie alle attuali terapie.
La Fondazione Renata Quattropani
Come nasce
La Fondazione Renata Quattropani nasce dal desiderio della scrittrice e giornalista Giovanna Ferrante figlia di Renata, di sostenere la ricerca sulla Leucemia Linfatica Cronica.
Lo scopo
Raccogliere fondi da destinare alla ricerca medico-scientifica per il progresso nel campo delle cure di questa patologia. Ulteriore apporto avviene attraverso l’organizzazione di Convegni medicoscientifici internazionali, che consentono lo scambio di informazioni e la valutazione dei traguardi raggiunti tra ricercatori, medici e strutture ospedaliere.
L’obiettivo
Sostenere la ricerca del “Programma per i Disordini Linfoproliferativi Cronici” presso l’Ospedale Niguarda di Milano per poter percorrere nuove strade per il trattamento della LLC cercando di contribuire all’obiettivo di guarire questa malattia. Il gruppo dei ricercatori negli ultimi dieci anni ha messo a punto nuovi programmi terapeutici ottenendo importanti risultati, molti di questi già pubblicati su prestigiose riviste specializzate, che hanno avuto apprezzamento in tutto il mondo.
Il supporto
L’attuale apporto della Fondazione avviene attraverso l’acquisto di apparecchiature scientifiche, materiali biologico-sanitari ed il sostegno per la remunerazione dei ricercatori. Ulteriore impegno è quello dell’organizzazione di Convegni Medico-Scientifici Nazionali ed Internazionali, che consentono lo scambio di informazioni e valutazioni fra ricercatori, medici, strutture ospedaliere.
La ricerca
In questo ultimo periodo i ricercatori stanno sviluppando un nuovo programma terapeutico che comprende un nuovo anticorpo monoclonale (antiCD20 chiamato Ofatumumab), un protocollo dedicato ai pazienti con oltre 65 anni di età che non possono ricevere un trattamento particolarmente aggressivo che sarebbe per loro difficile la tollerare. La Fondazione vuole anche coniugare la preziosa missione della ricerca alla capacità di condividere collaborazioni e riflessioni con i pazienti ed i loro parenti nel corso di periodici incontri. L’esigenza irrinunciabile è quella di sconfiggere la malattia.
www.fondazionerenataquattropani.it
fg@fondazionerenataquattropani.it
Intervista al Dottor Marco Montillo
Specialista Ematologo Responsabile – Programma Disordini Linfoproliferativi Cronici Niguarda Cancer Center – Ospedale Niguarda Ca’ Granda
Piazza Ospedale Maggiore, 3 – 20162 Milano
Tel.+39 02-6444.2668
Dottor Montillo, la Leucemia Linfatica Cronica colpisce prevalentemente dopo i 60 anni. Come avviene la diagnosi?
«Mi permetta una premessa. Per molti anni la Leucemia Linfatica Cronica (LLC) è stata considerata la “Cenerentola” fra le leucemie, ovvero la parente povera. Povera perché colpendo preferibilmente persone di oltre 65 anni si riteneva che non meritasse troppe attenzioni e sforzi per la ricerca. Il panorama è cambiato ed oggigiorno, con una vita media che supera gli 80 anni in Italia ed in gran parte del mondo occidentale, è necessario offrire nuove opportunità di cura a questi pazienti. Inoltre non dobbiamo dimenticare che, sebbene in minoranza, i pazienti più giovani con LLC hanno un’età che oscilla fra i 30 ed i 65 anni. Risulta indispensabile impegnarsi a fondo per permettere loro una vita attiva e possibilmente “normale” convivendo con la loro leucemia.
Il riscontro della malattia è prevalentemente occasionale: un esame dell’emocromo spesso eseguito per screening generale rivela un incremento dei linfociti. In un numero minore di casi invece il paziente arriva dall’ematologo perché ha notato l’ingrossamento di un linfonodo. La malattia ha un esordio piuttosto ”tranquillo” in oltre il 75% dei pazienti che non presentano ne sintomi, ne incremento dei linfonodi. Esami del sangue più specifici sono poi necessari per perfezionare la diagnosi».
Quali sono le cause di questa forma di leucemia?
«La risposta attesa a questa domanda è quella di sapere che cosa si deve evitare per non rischiare di ammalare di questa malattia. In passato si è imputato all’uso di sostanze chimiche per motivi di lavoro o all’esposizione a radiazioni il rischio di contrarre LLC. Questo resta sostanzialmente ancora vero, ma sappiamo anche che non esiste una reale “dipendenza” da un elemento esterno perché la malattia si possa manifestare. Il nostro codice genetico può essere semplicemente più esposto ad ammalare di LLC piuttosto che di neoplasia polmonare. Che cosa possa determinare l’attivazione di quel gene che “accende” la malattia non è del tutto chiaro, probabilmente non si tratta di un evento singolo, ma di più eventi».
È possibile prevedere lo sviluppo della malattia e tenerlo sotto controllo?
«La LLC è uno dei pochi tumori per il quale non si rende necessario l’inizio di un trattamento al momento della diagnosi. Ci sono delle ragioni per questo: non è stato ancora dimostrato che ci sia un vantaggio in termini di sopravvivenza ad anticipare il trattamento in assenza di caratteristiche di evolutività, come ho detto precedentemente il 75% dei pazienti non mostra queste caratteristiche alla diagnosi, e non conosciamo ancora una terapia che possa guarire definitivamente la LLC. Se per tenere sotto controllo la malattia intendiamo impedirne l’evoluzione questo non è ancora possibile, ma direi che sta diventando una fertile prospettiva su cui lavorare in un veramente prossimo futuro. Però allo stato attuale delle nostre conoscenze continua a non apparire logico iniziare il trattamento se la malattia non progredisce. Ma oggi conosciamo molto meglio la biologia della LLC. Possediamo diversi test che ci aiutano a predire i tempi e i modi dell’evoluzione del quadro clinico, cioè quando la malattia diventerà sintomatica, si ingrosseranno i linfonodi e sarà necessario iniziare il trattamento. Malgrado ciò i tests in grado di predire in maniera precisa l’evoluzione del quadro sono ancora pochi. Anche su questo versante si sta lavorando molto. Le nuove conoscenze sulle modalità di evoluzione se associate ad una maggiore capacità curativa, con potenzialità di guarigione, potrebbero far cambiare, nel breve volgere di qualche anno, l’approccio ai pazienti affetti da LLC».
Quali sono le opzioni terapeutiche per i pazienti con LLC?
«Sono solito dire che mai come in questo momento abbiamo avuto così tante opzioni terapeutiche nella LLC, ma non siamo ancora in grado di dire con certezza quale, fra queste, sarà la strada maestra da percorrere per arrivare alla guarigione. Quindi siamo un po’ confusi: confusi, ma felici. Infatti il grande progresso delle conoscenze biologiche in questi ultimi 15 anni ha permesso di cambiare il nostro atteggiamento nel trattamento della LLC. Per decenni la chemioterapia è stata l’unica arma in nostro possesso, ma da circa dieci anni con la comparsa nell’armamentario terapeutico degli anticorpi monoclonali le cosidette “pallottole intelligenti”, perché più concentrate sull’obbiettivo rispetto alla chemioterapia, ha fatto registrare la prima battaglia vinta in questa malattia, il prolungamento della sopravvivenza. Ma non basta. Da alcuni anni stiamo sperimentando nuovi farmaci, ancora più mirati, che agiscono bloccando il meccanismo attraverso il quale la cellula neoplastica si reduplica, li chiameremo per semplicità “inibitori”. A breve arriveremo alla commercializzazione dei due farmaci pionieri di questa nuova classe sapendo che dietro di loro ce ne sono altri ancora più potenti già in avanzata fase di sperimentazione. Comincia ad essere ragionevole sperare che in cinque-sei anni potremo cominciare a parlare di pazienti guariti da LLC. Ovvero vincere la guerra».
Gli anticorpi monoclonali usati da soli o in combinazione con la chemioterapia sono efficaci nel trattamento della LLC?
«Come dicevo poc’anzi la prima grande rivoluzione nel trattamento della LLC è stato il passaggio dalla sola chemioterapia alla chemio-immunoterapia con l’utilizzo degli anticorpi monoclonali. La combinazione della chemioterapia con il veterano degli anticorpi monoclonali, rituximab, ha fatto registrare un netto incremento del numero delle risposte al trattamento e, per la prima volta, il prolungamento della sopravvivenza. Negli ultimi anni sono stati sperimentati nuovi, ancora più potenti, anticorpi monoclonali in grado di migliorare i risultati già ottenuti».
Studi clinici hanno evidenziato l’efficacia di Ofatumumab. Può spiegarci come agisce questa terapia?
«Ofatumumab è il secondo anticorpo monoclonale della sua classe utilizzato nella LLC. Gli anticorpi monoclonali possiedono diversi meccanismi di azione. Ogni anticorpo privilegia uno fra questi attraverso il quale attiva varie componenti presenti nel sangue che si dirigono contro la cellula neoplastica, il linfocito, distruggendolo. I primi risultati con Ofatumumab avevano già rivelato che questo anticorpo monoclonale era in grado di agire con un certo successo anche se usato da solo, ovvero senza la combinazione con la chemioterapia. Per anni il suo ruolo è stato quello di essere utilizzato in pazienti che avevano già ricevuto precedenti trattamenti. Il gruppo di Niguarda è stato promotore di uno studio con Ofatumumab ed abbiamo inoltre partecipato ad uno studio internazionale con questo stesso anticorpo monoclonale. Entrambi questi trials clinici mettono in evidenza una significativa efficacia di Ofatumumab in associazione alla chemioterapia nei pazienti anziani mai precedentemente trattati».
Come si inserisce questa terapia nel panorama dei farmaci oggi disponibili per la Leucemia Linfatica Cronica?
«La chemio immunoterpia è, al momento attuale, la prima scelta nel trattamento della LLC. Ma come dicevo in precedenza lo scenario sta evolvendo ad un ritmo che lascia sorpresi gli stessi addetti ai lavori. L’evoluzione tecnologica applicata alla medicina sta producendo risultati sorprendenti ed i nuovi farmaci “inibitori” possiedono la caratteristica di essere, oltre che più potenti, anche più selettivi nel confronto della sola cellula neoplastica. Questi farmaci possono essere associati agli anticorpi monoclonali permettendo di immaginare un futuro privo della chemioterapia».
Per sviluppare questo programma, la ricerca ha un ruolo determinante. Dottor Montillo a che punto è la ricerca sui nuovi protocolli di trattamento presso il reparto di Ematologia dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano?
«La ricerca è fondamentale nello sviluppo di nuove strategie terapeutiche in onco-ematologia. A Niguarda da oltre 15 anni lavoriamo “in prima linea” su LLC con i nuovi farmaci e le nuove combinazioni. Il nostro gruppo ha promosso numerosi trials clinici a cui hanno partecipato molti gruppi nazionali attivi su LLC ed abbiamo partecipato a studi clinici internazionali che ci hanno permesso di sperimentare, insieme a pochi altri gruppi al mondo, diversi nuovi farmaci. Questo ci permette di aprire nuove strade e di offrire opportunità di trattamento anche a pazienti con una lunga e travagliata storia clinica. Ma questo non basta ancora, si deve poter fare di più, per arrivare a guarire questa malattia. La ricerca ha bisogno di passione e questo sentimento è più forte nei giovani. Ma la ricerca ha bisogno anche della esperienza di “teste pensanti” e per facilitare questo da ormai cinque anni organizziamo un incontro internazionale di aggiornamento a Milano fra esperti di LLC, il prossimo a settembre 2015. Il supporto della Fondazione Quattropani è stato per il nostro gruppo a Niguarda determinante per entrambe queste attività: coltivare la passione dei giovani medici e promuovere lo scambio di esperienze».
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