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Attacco al tumore: la ricerca non si ferma

Monica Melotti, N. 6/7 giugno/luglio 2015

Uguali e pure differenti: parliamo dei tumori come di una tipologia sola, invece il “cancro” rappresenta tante diverse malattie. È vero, come base comune le neoplasie derivano dalla crescita incontrollata di cellule anormali, ma insorgono in diversi tessuti del corpo, ognuno dei quali ha le proprie caratteristiche specifiche. Per questo, negli ultimi anni, l’attacco al cancro si avvale di una strategia di accerchiamento, mirata a colpire non solo la cellula malata, ma anche le sue interazioni con gli altri tessuti. Gli Istituti di ricerca a carattere scientifico si muovono su quella lunghezza d’onda, uno dei più importanti in Italia è l’Istituto Nazionale dei Tumori (Int) di Milano, che lo scorso 15 aprile ha celebrato la “Giornata della ricerca ” per presentare le più recenti strategie di attacco al tumore: diagnosi precoce, nuovi farmaci e terapie personalizzate, emato-oncologia e genomica, trapianto di fegato, cura dei sarcomi, chirurgia ricostruttiva, sorveglianza attiva e oncologia pediatrica. “Prevenzione Tumori” era presente, ecco un report delle novità presentate.

Dal tumore del fegato alla cura dei sarcomi
Il trapianto di fegato è l’unico trapianto di un organo solido accettato nel mondo come strumento definitivo di cura di un tumore. Anche se in molti casi, purtroppo, il tumore del fegato non è operabile. Allora giocano un ruolo imprescindibile approcci alternativi d’avanguardia. Il carcinoma epatocellulare (HCC) rappresenta la terza causa di mortalità per cancro e la principale causa di morte tra i pazienti con cirrosi. Il giovane ricercatore dottor Carlo Sposito è stato premiato per il suo lavoro nello studio di valutazione di sicurezza ed efficacia di un nuovo farmaco, il Sorefenib, nei pazienti con carcinoma epatocellulare ricorrente dopo trapianto di fegato. Sposito fa parte del team multidisciplinare di Epato-Oncologia, diretto dal dottor Vincenzo Mazzaferro, con il quale ha anche portato avanti uno studio nei pazienti con epatocarcinoma non resecabile, in particolare per il trattamento con radioembolizzazione con microsfere ittrio 90, terapia locoregionale efficace, che non mostra particolari effetti collaterali, per pazienti con epatocarcinoma avanzato. La dottoressa Jorgelina Coppa, invece, ha recentemente condotto uno studio sulla possibilità di intervento e trapianto anche in pazienti con tumori neuroendrocrini metastatici al fegato. Oggi – evidenzia lo studio condotto con il team del dottor Mazzaferro – grazie a più precise informazioni della prognosi, in base alle caratteristiche del tumore e cliniche, i trapianti di fegato, al contrario di quanto si pensava, possono essere una strategia potenzialmente curativa per determinati casi selezionati. Per quanto riguarda il trattamento di altri tipi di tumori, la dottoressa Coppa è stata impegnata in uno studio che dimostra, per la prima volta, che le metastasi al pancreas sembrano essere associate a un risultato migliore, in termini di sopravvivenza, nei pazienti trattati con farmaci a bersaglio molecolare.

La definizione di approcci innovativi, da affiancare alla chirurgia, è fondamentale anche nei sarcomi dei tessuti molli. In questo caso è fondamentale la collaborazione multidisciplinare per rispondere al meglio alle esigenze di cura del paziente. Un team dedicato e multidisciplinare composto da chirurghi, oncologi medici e radioterapisti, in grado di elaborare differenti strategie terapeutiche e far fronte alle molteplici manifestazioni della malattia, rappresenta un must per i Centri che si occupano dei sarcomi dei tessuti molli, patologie rare che possono originare da tutti i distretti corporei. Il dottor Alessandro Gronchi dell’Unità di Chirurgia dei Sarcomi ha portato avanti una ricerca che permette di studiare l’impatto della chirurgia insieme agli altri fattori patologici (dimensione del tumore, sottotipo istologico, grading di aggressività, profondità, sede di insorgenza) e biologici (vari marcatori di aggressività tumorale e/o di resistenza alle terapie). Gronchi è responsabile della gestione del database clinicoscientifico che contiene informazioni clinico-biologiche di più di 7.500 pazienti affetti da sarcomi dei tessuti molli e GIST (Tumore Stromale Gastrointestinale) trattati all’Istituto Nazionale Tumori negli ultimi 30 anni. L’Unità si occupa inoltre di implementare sistematicamente la banca tessuti sarcomi di INT, per supportare gli studi preclinici previsti in collaborazione con le Unità del Dipartimento Sperimentale e Medicina Molecolare.

Nel 2014 all’INT sono stati effettuati 306 interventi chirurgici, in pazienti affetti da sarcoma, dei quali 220 resezioni di sarcomi localizzati negli arti o nelle pareti toraco-addominali e 83 resezioni di sarcomi addominali/retro peritoneali. Ricostruzioni maggiori estetiche/funzionali (inclusi trapianto di nervi e tendini) si sono rese necessarie in 40/220 pazienti affetti da sarcomi degli arti o delle pareti e resezioni multiviscerali/vascolari in 60/83 pazienti affetti da sarcomi addominali/retro peritoneali.

Tumore al polmone, un esame del sangue anticipa la diagnosi e riduce i falsi positivi
Con un semplice esame del sangue è possibile identificare i tumori più aggressivi del polmone, fino a due anni prima della diagnosi con TAC spirale. Secondo i ricercatori, un test molecolare basato sull’esame del microRNA plasmatico – ancora in fase di validazione – sarebbe in grado di individuare i soggetti a maggior rischio di tumore polmonare. I microRNA sono piccole molecole di RNA che regolano l’attività dei geni e quindi di intere reti di processi biologici. Oltre a essere implicati nel normale differenziamento e sviluppo degli organi, fungono anche da bio-marcatori in grado di predire lo sviluppo di cancro polmonare e delle sue forme più aggressive.

«Proprio la TAC spirale presenta, alcuni limiti nel riconoscimento della natura benigna o maligna dei noduli polmonari», spiega Giuseppina Calareso, medico radiologo dell’INT. «In particolare, la TAC ha scarso potere di differenziazione, con frequente riscontro di falsi positivi: quelle lesioni che sembrerebbero dubbie ( 25% del totale), ma in realtà non lo sono».

Secondo i ricercatori, il nuovo test – del costo di circa 60,00 € – sarebbe in grado di abbattere circa l’ 80% di falsi positivi, fungendo da valido strumento di prevenzione e di diagnosi precoce, comportando allo stesso tempo una sensibile riduzione di pratiche invasive e di ulteriori esami radiologici sul paziente, nonché un evidente risparmio di risorse economiche e organizzative per il Sistema Sanitario. Un recente studio, pubblicato a dicembre 2014 su Cell Death and Disease, ha altresì dimostrato che i microRNA possono essere usati per le nuove terapie nel cancro polmonare. Infatti, il trattamento di cellule tumorali polmonari con il microRNA-660 inibisce lo sviluppo del tumore polmonare in vivo, ripristinando la funzione del gene p53 mediante l’eliminazione dell’ oncogene MDM2. La stretta relazione fra le caratteristiche genetiche del paziente e l’esito della terapia contro il cancro al polmone è un filone di ricerca ormai consolidato. Due ulteriori studi volti a valutare i fattori prognostici del tumore polmonare, hanno indicato che il profilo genetico individuale può avere un ruolo nella modulazione della sopravvivenza nei pazienti operati chirurgicamente per tumore polmonare.

La sorveglianza attiva: conseguenze negative del cancro prostatico aggirare con il monitoraggio
Non in tutti i casi di carcinomi prostatici diagnosticati è necessario intervenire. Per evitare le conseguenze più spiacevoli, derivanti dalle terapie radicali standard, chirurgia, radioterapia esterna e brachiterapia (disfunzione erettile, incontinenza, sanguinamento rettale e urinario), che potrebbero compromettere la qualità di vita dei pazienti, all’Istituto Nazionale dei Tumori viene proposta dal 2005 la Sorveglianza Attiva ai pazienti in classe di rischio basso e molto basso, con caratteristiche molto favorevoli e con un’evoluzione clinica molto lenta. La Sorveglianza Attiva risponde a un bisogno di appropriatezza clinica: non vengono trattati i pazienti con tumori indolenti. Questo approccio è proposto dal Team Clinico Multidisciplinare della Prostate Cancer Unit diretta dal dottor Riccardo Valdagni, anche Direttore Programma Prostata e SC Radioterapia Oncologica. Nel 2005 è partito il primo protocollo “SAINT”, inserito nelle linee guida diagnostico-terapeutiche istituzionali. A coloro che scelgono l’opzione della Sorveglianza Attiva vengono proposti questionari di autovalutazione sulla qualità della vita e il protocollo PROCABIO-INT, che prevede la raccolta periodica di materiale biologico per scopi di ricerca.
All’INT, il paziente viene valutato in modo multidisciplinare e riceve tutte le informazioni sulle diverse opzioni di cura da parte di più specialisti (solitamente chirurgo e oncologo radioterapista): è il paziente stesso a scegliere la Sorveglianza Attiva più frequentemente rispetto a quando ha la possibilità di ricevere il consulto da parte di un unico specialista.

Per monitorare l’andamento dei tumori della prostata, la ricerca non si ferma. «Si tratta di distinguere con certezza i tumori indolenti da quelli aggressivi», spiega il dottor Riccardo Valdagni. «In primis, è necessario migliorare le capacità di distinguere le malattie indolenti da quelle evolutive e raffinare gli strumenti di monitoraggio della Sorveglianza Attiva rendendoli più precisi e meno invasivi. La risonanza magnetica multiparametrica sembra in grado di identificare con buona precisione i tumori potenzialmente aggressivi, limitare il ricorso a biopsie ripetute e permettere di mirare le biopsie sulle lesioni aggressive. C’è grande fermento scientifico nel campo dei biomarcatori in Sorveglianza Attiva, sostanze di varia natura dosabili nel materiale biologico, che potrebbero esser correlate all’aggressività del tumore. Questa linea di ricerca è uno dei punti di forza del Programma Prostata, che dispone del materiale raccolto nel tempo nei pazienti in Sorveglianza Attiva».

Mieloma multiplo, la speranza nelle terapie mirate basate sull’evoluzione cellulare
Ci sono tumori che cambiano di continuo. Tanto che a volte può rivelarsi inefficace curarli dopo anni, o in fase di recidiva, con le stesse terapie indicate il primo giorno dopo la diagnosi. Nel caso del mieloma multiplo (MM), lo dimostrano univocamente gli studi condotti dal dottor Niccolò Bolli, medico chirurgo specialista in ematologia, che si occupa della genomica dei tumori utilizzando tecniche di Next Generation Sequencing (NGS) e approcci bioinformatici innovativi per ottenere informazioni sullo sviluppo della malattia e sull’evoluzione delle cellule nelle neoplasie ematologiche. «Tramite whole exome sequencing ho potuto studiare le alterazioni genomiche frequentemente riscontrate nel Mieloma Multiplo, e analizzare come queste contribuiscano allo sviluppo della malattia», spiega Bolli. «Ho così potuto dimostrare che le cellule del Mieloma Multiplo sono in continua evoluzione e cambiano sia spontaneamente, sia a seguito di chemioterapia. Gran parte dei tumori, inoltre, muta in caso di recidive. A questo scopo ho contribuito all’integrazione tra dati genomici e dati clinici in grandi coorti di pazienti, al fine di orientare le scelte terapeutiche con maggiore accuratezza rispetto ai criteri attualmente utilizzati».

Nuovi farmaci e le terapie personalizzate
Nei casi in cui la chemioterapia non garantisca gli effetti sperati nel combattere un tumore, è possibile intervenire con nuovi farmaci e nuovi approcci terapeutici, alcuni dei quali sono in studio all’Istituto Nazionale dei Tumori.
Il 2014 è stato un anno di svolta per il trattamento dei carcinomi della vescica e di quelli uroteliali in fase avanzata e metastatica, per cui non esistono ad oggi, terapie standard internazionalmente riconosciute. Questo, grazie all’utilizzo dell’immunoterapia, in particolare degli anticorpi anti-PDL1 (Programmed Death Ligand-1) e anti-PD1. «Nell’ambito delle neoplasie genitourinarie rare, il nostro gruppo è da sempre impegnato nell’avanzamento dei trattamenti integrati e nella promozione di nuovi farmaci per i carcinomi spinocellulari del pene», spiega il dottor Andrea Necchi del Dipartimento di Oncologia Medica dell’INT. «Attualmente è in fase di arruolamento uno studio promosso dalla Fondazione INT, anch’esso unico al mondo, con un pan-HER inibitore tirosino-kinasico, Dacomitinib, somministrato in fase neoadiuvante pre-chirurgia per i casi con malattia localmente avanzata». Nel 2014 all’Istituto Nazionale dei Tumori è nata inoltre l’associazione di pazienti PaLINuro, ora anche membro dell’European Cancer Patient Coalition (ECPC).

La dottoressa Marina Chiara Garassino, invece, si è occupata prevalentemente di personalizzazione dei trattamenti nelle neoplasie toraciche. «Dal 2005, nel trattamento delle neoplasie toraciche non a piccole cellule, si è assistito, grazie al sequenziamento di tutto il genoma, a una grande rivoluzione», spiega la dottoressa Garassino. «Fino a quegli anni il tumore del polmone si divideva in tumore del polmone a piccole e non a piccole cellule. Negli anni seguenti, sono state identificate alterazioni genetiche (es. EGFR, ALK, ROS1, etc), per cui in linea teorica era possibile curare ogni paziente con il farmaco che curava la sua esatta alterazione genetica. Le lesioni genetiche individuate sono prevalentemente nei pazienti non fumatori, e per ora la scoperta ha dato la possibilità di curare il 15% dei pazienti con tumore del polmone. Per tutti gli altri, attualmente, è disponibile solo la chemioterapia. Con i dati su nivolumab, un immunoterapico anti PD-1, portato alla registrazione immediata da parte dell’FDA si segna virtualmente la fine della chemioterapia almeno per i pazienti con istologia squamocellulare, sostanzialmente fumatori. Tale studio, denominato CheckMate 017 ha dimostrato un quasi raddoppio della sopravvivenza di questi pazienti rispetto alla chemioterapia in seconda linea». Nell’ultimo anno, all’INT sono stati trattati un centinaio di pazienti con molecole sperimentali, e l’Unità Toracica si è affermata tra i Centri più attivi al mondo nelle sperimentazioni cliniche nel tumore del polmone. L’Unità vanta una notevole attività di ricerca anche sui timomi, patologia ancora misteriosa e rara (circa 130 nuovi casi all’anno), derivata dalle cellule epiteliali del timo, malattia rara della quale si conoscono solo le Associazioni, ancora poco comprese, con il disordine neuromuscolare chiamato Miastenia grave.
Per questa patologia, l’Unità ha fondato TYME, un network di ospedali di riferimento per promuovere la cura e una ricerca mirata.

La dottoressa Domenica Lorusso, infine, si è occupata dello studio dei tumori ovarici, sempre nell’ottica di una maggior efficacia della cura fondata sulla personalizzazione. «È stato compreso di recente che il cancro ovarico non è una malattia unica, ma rappresenta almeno 5 diversi tumori, caratterizzati da specifici percorsi molecolari, peculiarità cliniche e differenti risposte alla chemioterapia», spiega Lorusso. «La ricerca clinica, al contrario, aveva ritenuto per molti anni che un unico trattamento chemioterapico, e le sue diverse Associazioni fondate sulla combinazione Carboplatino – Paclitaxel, fosse la terapia che potesse andare bene per tutto. Alla luce delle nuove scoperte, nell’Unità di Ginecologia Oncologica sono stati condotti studi avanzati per identificare il trattamento giusto per il paziente». Negli ultimi anni l’Unità Operativa di Ginecologia Oncologica ha dato un contributo importante alla ricerca clinica nazionale e internazionale qualificandosi come uno tra i “best recruiter centers” nei protocolli di sviluppo di nuovi farmaci tra cui antiangiogenetici e parp inibitori. Inoltre il reparto è al centro del coordinamento di molti trial disegnati e ideati in istituto che coaugulano più di cento centri italiani nella realtà del gruppo MITO (Multicenter Italian Trialists in Ovarian Cancer) e diversi Centri internazionali afferenti all’ENGOT (European Network of Gynecology Oncology Trials). A questo riguardo sono stati ideati e verranno coordinati in Istituto studi accademici spontanei volti all’identificazione dei fattori genetici e molecolari predittivi della risposta al Bevacizumab nel trattamento del tumore ovarico, uno studio con la Temozolamide nel trattamento del carcinoma ovarico con metilazione del promotore di MGMT (in particolare i tumori mucinosi e a cellule chiare che peraltro sono tra i più chemio resistenti tra i tumori ovarici) e uno studio con un MEKInibitore in confronto alla chemioterapia nei tumori sierosi di basso grado. Anche la ricerca in campo chirurgico procede nella direzione della personalizzazione dell’approccio terapeutico: la mappatura dei linfonodi sentinella nelle pazienti con cancro dell’endometrio, associata a una particolare tecnica diagnostica basata sull’isteroscopia con indocianina, consente a molte pazienti di non subire la linfoadenectomia laddove i linfonodi non sono coinvolti dalla malattia. Negli stadi precoci dei tumori ginecologici, infine, all’Int si stanno sviluppando tecniche finalizzate non solo a migliorare la cura e le possibilità di guarigione delle pazienti, ma anche alla preservazione della qualità di vita e alla conservazione della fertilità. Quest’ultimo il caso dei tumori del collo dell’utero in stadio precoce, nei quali la salvaguardia della fertilità sta iniziando a essere garantita dalle nuove tecniche di conizzazione e linfoadenectomia laparoscopica. Un approccio ultra-conservativo è possibile anche nei casi di carcinoma dell’endometrio in stadio iniziale in donne giovani e desiderose di mantenere una vita riproduttiva.

“Nuvole di ossigeno” per i tumori degli adolescenti
La malattia, soprattutto nel caso di un tumore, non sempre rappresenta una prova che aiuta a crescere. È il caso degli adolescenti dove il cancro taglie anche la capacità di diventare pienamente adulti. Per questo le terapie da sole possono non bastare. Occorre mettere i ragazzi nella condizione di poter continuare a vivere la loro vita – la scuola, gli amici, i fidanzati, lo sport – e percorrere le tappe essenziali della crescita, anche durante la fase delle cure. In pratica occorre portare “nuovo ossigeno” nella vita dei pazienti adolescenti, anche quando il percorso è più duro.
“Clouds of oxygen: adolescents with cancer tell their story in music” è il racconto del Progetto Giovani della Pediatria dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, pubblicato sulle pagine del prestigioso Journal of Clinical Oncology a fine 2014. Sono le parole stesse dei pazienti che raccontano, in una vetrina internazionale, tra i risultati dei grandi protocolli clinici, il perché di un progetto speciale, dedicato ai giovani malati: un progetto che ha l’obiettivo di creare un nuovo modello di cura, che migliori gli aspetti clinici ma che insieme si avvalga anche di attività ludiche e culturali, per farsi carico non solo della malattia, ma della vita intera dei ragazzi che si sono ammalati.

« “Nuvole di ossigeno” è il titolo della canzone scritta e cantata dai nostri pazienti con la collaborazione dei musicisti di “Elio e le Storie Tese” », spiega il dottor Andrea Ferrari, oncologo pediatra, coordinatore del progetto Giovani «Per loro la musica diventa uno strumento per affrontare la realtà con uno sguardo diverso. Una forma di espressione per ragazzi speciali, che si trovano all’improvviso a dover affrontare una diagnosi difficile, e poi le cure e la paura di non avere un futuro. “Nuvole di ossigeno” è un mix di frasi, immagini, note, fuse insieme, inframmezzate ai suoni dell’ospedale, al rumore ritmico della pompa della chemioterapia e all’allarme delle infermiere. Per ricordare a tutto il mondo che la cosa più bella che si possa provare è la consapevolezza di avere un futuro ed esserne padrone». Raccontarsi attraverso la musica, ma anche con una collezione di moda, realizzata insieme alla stilista Gentucca Bini, o con un murales, dipinto insieme al writer Bros, progetti realizzati con l’aiuto della Fondazione Magica Cleme e con il fondamentale supporto dell’Associazione Bianca Garavaglia, prima sostenitrice da tanti anni dei progetti della Pediatria dell’Istituto.

Il Progetto Giovani prevede però anche l’attenzione ad aspetti clinici essenziali. «I progetti dedicati a questi giovani pazienti sono fondamentali per migliorare le cure e le probabilità di guarigione – commenta Ferrari – avere a disposizione i protocolli clinici per tutti i tumori che possono insorgere in questa fascia di età, cercare strumenti innovativi per ridurre il ritardo diagnostico, ottimizzare l’assistenza psicosociale, le misure di preservazione della fertilità, i percorsi di follow-up nell’ingresso degli adolescenti nel mondo dell’adulto». Il Progetto Giovani rappresenta un modello da esportare, la base di partenza per un ambizioso Programma Nazionale organizzato dalla “SIAMO, Società Italiana Adolescenti con Malattie Onco–ematologiche”, fondata proprio dal dottor Ferrari, nato per affrontare in modo coordinato il problema della qualità della cura degli adolescenti ammalati di tumore. «Si tratta di pazienti che hanno minori possibilità di accedere ai Centri di eccellenza e ai protocolli clinici, e che alla fine hanno meno probabilità di guarire rispetto a un bambino con la stessa malattia – conclude Ferrari – ma insieme, oncologi pediatri e oncologi dell’adulto, psicologi, infermieri, società scientifiche, associazioni genitori, possiamo davvero cambiare il futuro di questi ragazzi».

Indirizzi utili

ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI – INT
Via Giacomo Venezian, 1, 20100 Milano
Tel. 02 23901

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