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Nuovo trattamento per la mielofibrosi

Stefania Bortolotti, N. 6/7 giugno/luglio 2015

Ruxolitinib (nome commerciale Jakavi®), è il primo farmaco specifico per il trattamento della mielofibrosi ad essere rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale in Italia. La molecola ha rivoluzionato lo scenario terapeutico, poiché è l’unico farmaco ad aver dimostrato di aumentare significativamente la sopravvivenza nei pazienti con patologia per la quale finora non erano disponibili terapie in grado di modificarne il decorso.
I pazienti trattati con il Ruxolitinib inoltre, sperimentano una regressione della sintomatologia con un conseguente miglioramento sostanziale della qualità di vita.
Il farmaco, a somministrazione orale, è stato approvato dall’FDA (Food and Drug Administration) nel 2011 e dall’EMA (European Medicines Agency) nel 2012 ed è entrato nella pratica clinica dopo solo 5 anni dal primo paziente trattato negli studi clinici, grazie ai significativi risultati ottenuti nel programma di sviluppo.

«La mielofibrosi è una neoplasia cronica del sistema emopoietico. Si tratta di una forma tumorale che colpisce le cellule staminali del midollo osseo dalle quali hanno origine le cellule del sangue, come i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine – dice il Prof. Alessandro Maria Vannucchi, Professore Associato di Ematologia presso l’Università degli Studi di Firenze – Questa patologia rara, con incidenza di un individuo ogni 100.000, determina la graduale comparsa nel midollo osseo di un tessuto fibroso che ne sovverte la struttura. In questo modo viene modificata la sua funzionalità, con conseguente alterazione della produzione delle cellule del sangue».
La manifestazione clinica più frequente nella mielofibrosi è l’ingrossamento della milza (splenomegalia). La milza ingrossata preme sullo stomaco e sull’intestino provocando sintomi come difficoltà digestive, sensazioni di pesantezza, fastidio a livello dell’addome, sazietà precoce ed alterazioni delle normali funzioni intestinali. In alcuni casi la milza è così ingrossata da occupare gran parte dell’addome fino a comprimere i polmoni (provocando tosse secca) e il rene (determinando difficoltà a urinare). Nei casi più avanzati è necessaria la sua rimozione chirurgicamente.
Oltre alla splenomegalia, il malato affetto da mielofibrosi, sperimenta dei sintomi estremamente debilitanti che possono impedire di svolgere le normali attività quotidiane e lavorative e di avere una normale vita sociale e di relazione. Il più comune è l’astenia, che comporta stanchezza, debolezza e dolori muscolari e ad essa si aggiungono febbre, sudorazioni notturne, prurito diffuso in tutto il corpo (che peggiora con il contatto con l’acqua, noto come prurito acquagenico) e perdita di peso dovuta all’inappetenza e alle difficoltà digestive.

La mielofibrosi è una malattia grave con una sopravvivenza globale media di 5,7 anni; nei casi più gravi è inferiore a 2 anni.
«I due studi condotti per la valutazione dell’efficacia (COMFORT I e II) di Ruxolitinib, che hanno coinvolto 528 pazienti con mielofibrosi» – sottolinea il Prof. Francesco Passamonti, Direttore dell’U.O.C. di Ematologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedale di Circolo di Varese – «hanno dimostrato che il farmaco agisce sia sulla splenomegalia (riduzione media del 50% ) sia sui segni clinici della malattia, come prurito, dolore osseo, muscolare e addominale. Il più grande vantaggio derivante dall’utilizzo del farmaco, però, è in termini di aumento della sopravvivenza». Dagli studi infatti, è emersa una sensibile riduzione del rischio di morte. Nello studio COMFORT-I si è osservata una riduzione della mortalità del 31% e nello studio COMFORT-II una del 52%, con il confronto verso la migliore terapia convenzionale.

Ma come si è arrivati allo sviluppo di questo nuovo farmaco?
Fondamentale è stata nel 2005 la scoperta, cui hanno contribuito anche équipe di ricerca italiane, di una mutazione a carico del gene JAK2. Questa mutazione è responsabile dell’iperattivazione della via molecolare JAK/STAT, che causa l’incontrollata proliferazione delle cellule del sangue e rappresenta l’alterazione biologica alla base della patologia.

«Il 60% dei pazienti – aggiunge Vannucchi – è interessato da una mutazione a carico del gene JAK2, scoperta che ha cambiato la storia della patologia e ha aperto la strada ai nuovi farmaci JAK inibitori. Nel 2006 sono state invece scoperte le mutazioni a carico del gene MPL ( 5-10% dei malati), mentre nel 2013 quelle a carico del gene CARL che interessano il 20% dei malati».
«Aver identificato tali mutazioni – puntualizza Passamonti – ha permesso di sviluppare farmaci, come ruxolitinib, che vanno a bloccare il meccanismo alla base della patologia».
Il beneficio indotto dall’utilizzo di Ruxolitinib è raccontato anche dalle testimonianze raccolte dall’indagine “Back to life” di ISTUD, progetto che ha come obiettivo la valutazione dell’impatto socio-economico della mielofibrosi in Italia. “Il progetto” – commenta la Dott.ssa Maria Giulia Marini, Direttore Area Salute e Sanità della Fondazione ISTUD – «vuole andare a valutare le condizioni di vita e le esperienze che i pazienti attraversano con la malattia, per indagare se esiste un impatto economico, in termini di mancata o ridotta produttività, conseguenze sul lavoro e sulle relazioni sociali e psicologiche». I dati evidenziano come il 31% dei pazienti ha dovuto sospendere qualsiasi attività di movimento, anche semplice, come camminare.
«Il racconto dei pazienti segue una traccia ben precisa» continua Marini, «parte dal momento della diagnosi, in cui si avverte una posizione iniziale di dolore e di paura, per passare poi a speranza, serenità e tranquillità quando iniziano a curarsi e vedere dei miglioramenti».
«Ora mi sento più serena e più fiduciosa nel futuro, ma soprattutto ho accettato la malattia e riesco a vivere meglio. Le cure che mi hanno prescritto hanno funzionato: sto meglio con mia moglie, sono più autonomo e ho ripreso a uscire e a guardare la tv. Mi sento più in forze al punto di uscire e andare a vedere una mostra. Sono tornata a casa stanca, ma contenta di avercela fatta». Queste sono alcune delle storie raccolte dall’analisi condotta in 35 Centri Ematologici Italiani con il coinvolgimento di oltre 300 tra pazienti e familiari.
Nell’analizzare l’impatto della patologia sulla qualità di vita, non poteva essere tralasciato il riflesso che la patologia può avere sull’attività professionale. Dall’analisi dei dati emerge che i pazienti in terapia con il Ruxolitinib riescono a gestire la propria attività nel 73% dei casi. Al contrario, le persone in terapia con altri farmaci si trovano in molti casi costrette ad abbandonare la carriera. Infatti, ben il 33% smette di lavorare, oppure ricorre alla pensione anticipata o all’aspettativa. Significative, anche alla luce dell’attuale crisi economica, le dimensioni dell’impatto di questa inattività: il 20% degli intervistati segnala di aver subìto un mancato guadagno a causa della mielofibrosi, stimabile in un importo medio di circa 7.774 euro annui.

«Alla luce di tutte le difficoltà che si trovano a vivere i pazienti affetti da mielofibrosi, all’interno dell’AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma) è nato il Gruppo AIL Pazienti MMP Ph» – spiega Massimiliano Donato, Presidente del Gruppo – «che riunisce i pazienti affetti da malattie mieloproliferative e i loro familiari, con lo scopo di farsi portavoce delle loro esigenze, promuovere occasioni di incontro e dialogo e diffondere informazioni qualificate su queste patologie e sulle ultime innovazioni terapeutiche». Aggiunge Donato: «Ci faremo anche portavoce di tutti i malati per far riconoscere ufficialmente queste patologie come rare, ovvero lavoreremo affinché siano incluse nell’elenco del Ministero della Salute delle patologie rare esenti».

La malattia
La mielofibrosi è un tumore ematologico raro che colpisce le cellule staminali del midollo osseo dalle quali hanno origine le cellule del sangue: la sua incidenza è di un caso ogni 100.000 individui. Si manifesta con dei sintomi altamente invalidanti che compromettono la qualità di vita di chi ne è affetto. È una patologia grave che mette a rischio la vita dei malati: la sopravvivenza media dei pazienti è di circa 5 anni, ma nei casi più gravi è inferiore ai 2 anni.

Il farmaco
Il Ruxolitinib è il primo farmaco sviluppato e approvato per il trattamento della mielofibrosi, la prima molecola capace di agire direttamente sul target specifico coinvolto nello sviluppo della malattia. A somministrazione orale, è l’unico farmaco ad aver dimostrato un aumento significativo della sopravvivenza tra i pazienti trattati rispetto alle terapie convenzionali. Gli studi clinici hanno dimostrato che i pazienti trattati con il Ruxolitinib hanno una riduzione rapida e misurabile della splenomegalia e dei sintomi invalidanti correlati alla malattia.

I sintomi
A seconda della gravità dei sintomi, la mielofibrosi può avere un impatto molto forte sulla qualità della vita ed impedire di compiere anche una serie di semplici attività quotidiane, come camminare, salire le scale, leggere, fare la doccia, guardare la televisione e cucinare. In caso di forte anemia o di un ingrossamento della milza, alcune mansioni pesanti e i movimenti che sforzano troppo la muscolatura addominale devono essere evitati. Anche un gesto banale come allacciarsi le scarpe può divenire doloroso per i pazienti e va svolto con estrema attenzione. La patologia incide negativamente anche sulla vita professionale e sociale. Il malato è spesso inappetente, ha problemi di sonno, difficoltà di concentrazione, soffre di stress, ansia e depressione. I rapporti con familiari, amici e colleghi quindi possono diventare problematici e l’individuo tende a isolarsi. L’impatto della mielofibrosi sulla qualità di vita risulta quindi sovrapponibile a quello di forme tumorali molto aggressive, come la leucemia acuta. Essendo molto debilitanti, i sintomi della mielofibrosi non devono essere sottovalutati dal medico, perché sono aggravati dal fatto che la malattia colpisce per lo più gli anziani, persone fragili che spesso assumono farmaci per altri disturbi cronici.

Il gruppo
Il Gruppo Pazienti MMP Ph – nasce all’interno dell’AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e Mieloma) e riunisce i pazienti affetti da malattie mieloproliferative e i loro familiari. Ha lo scopo di farsi portavoce delle esigenze dei pazienti, incoraggiare la ricerca scientifica, promuovere occasioni di incontro e dialogo e diffondere informazioni su queste patologie e sulle ultime innovazioni terapeutiche. L’obiettivo è quello di promuovere occasioni di confronto tra le persone colpite da queste patologie oncologiche rare, che spesso si trovano a dover affrontare difficoltà nella diagnosi, nel reperimento di informazioni e nella gestione delle cure. Il Gruppo propone incontri di formazione ed educazione dei pazienti e degli operatori, offrendo un punto di riferimento tramite l’intervento di esperti e specialisti. Il Forum http://www.ailpazienti.it/mmponline/forum.asp è uno spazio virtuale in cui pazienti e familiari possono parlare delle proprie esperienze e condividere i propri vissuti, facendo riferimento alla propria prospettiva personale. Con la collaborazione di ricercatori, medici e pazienti, il gruppo mira a migliorare la gestione della malattia e contribuire allo sviluppo di nuove e più efficaci forme di terapia per ridurre le complicanze e migliorare la qualità e la vita dei pazienti. Info: www.ailpazienti.it/mmponline

Indirizzi utili

DIPARTIMENTO DI MEDICINA SPERIMENTALE E CLINICA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Largo Brambilla, 3 50134 Firenze

Prof Alessandro Vannucchi
Tel. 055.4277688
alessandromaria.vannucchi@tunifi.it

OSPEDALE DI CIRCOLO E FONDAZIONE MACCHI
Viale Borri, 57 21100 Varese

Reparto di Ematologia
Prof. Francesco Passamonti Tel. 0332.393648
francesco.passamonti@ospedale.varese.it

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