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Maggiori garanzie per i farmaci biosimilari

Stefania Bortolotti, N. 4 aprile 2015

Sicurezza ed efficacia dei trattamenti, continuità terapeutica e corretta informazione.
Farmaci biologici e farmaci biosimilari, simili ma non identici; cautela nel considerare automaticamente valide per il biosimilare tutte le indicazioni approvate per il biologico; libertà per i medici di prescrivere la terapia più appropriata; informazione corretta al paziente e suo coinvolgimento nel percorso di cura; diritto a mantenere la stessa terapia una volta iniziata la cura. Sono questi i capisaldi del “Manifesto dei diritti e dei bisogni” sui farmaci biosimilari presentato lo scorso Dicembre a Roma: l’iniziativa è stata promossa da un gruppo di Associazioni dei pazienti decise a far sentire anche la propria voce su un tema di grande attualità.

«Oggi tra i pazienti c’è molta preoccupazione per il prossimo arrivo dei biosimilari sul mercato – dichiara Antonella Celano, Presidente di A.P.MA.R. Onlus, Associazione Persone con Malattie Reumatiche Onlus – per le Associazioni dei pazienti è doveroso ottenere le rassicurazioni necessarie sugli effetti di questi farmaci, che devono rispondere ai requisiti e ai criteri di benessere e di salute dei pazienti. Lo scopo del Manifesto è duplice: da un lato, far presente il problema a livello istituzionale e tenere alta l’attenzione affinché il paziente riceva le giuste informazioni; dall’altro, sostenere il medico prescrittore affinché si senta supportato a prescrivere il farmaco più appropriato secondo scienza e coscienza».

Uno dei punti di maggiore discussione riguarda la possibile equivalenza tra un farmaco biologico originatore e un farmaco biosimilare. Come riconosciuto dalle norme dell’Ente Regolatorio europeo (EMA – European Medicines Agency) e italiano (AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco), complessità molecolare e aspetti inerenti l’immunogenicità rendono farmaci biologici e biosimilari simili ma non identici, di conseguenza i due tipi di farmaci non sono interscambiabili e non vale per loro il principio della sostituibilità automatica.

«L’EMA ha necessariamente dovuto fare riferimento al concetto di biosimilarità, poiché i farmaci biosimilari sono molecole complesse di natura proteica che si possono produrre solo per mezzo di processi di sintesi biologica – afferma Corrado Blandizzi del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università degli Studi di Pisa – tali processi sono inevitabilmente soggetti a fattori di variabilità che possono determinare la biosintesi di molecole proteiche simili ma, di fatto, non identiche. Molecole simili, ma non identiche, della stessa proteina-farmaco potrebbero indurre effetti diversi sia in termini di efficacia sia di sicurezza». Un punto nodale che preoccupa i pazienti è la possibilità di trasferire al biosimilare le indicazioni approvate per il biologico ori ginatore, la cosiddetta estrapolazione automatica, senza ulteriori sperimentazioni. La richiesta in tal senso è che ciascuna indicazione d’uso sia supportata da studi controllati e randomizzati, metodologicamente rigorosi e con specifici endpoint.

«Il problema dell’estrapolazione è un punto cruciale del discorso biosimilari – spiega Stefania Canarecci, Presidente A.M.I.C.I. Lazio Onlus, Associazione Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali – si sa, infatti, molto sull’efficacia e il profilo di tollerabilità del biologico, usato nella pratica clinica ormai da quasi quindici anni, lo stesso non può dirsi per il biosimilare. Lo switch potrebbe presentare rischi considerando che il farmaco biologico e il suo biosimilare non sono identici».
Ciò di cui si discute è se, una volta iniziata la terapia con un farmaco biologico, si possa imporre, magari per ragioni economiche, il passaggio al biosimilare, il cosiddetto “switch” : gli specialisti sottolineano il valore della continuità terapeutica ovvero l’opportunità di non modificare la terapia già in corso con un farmaco biologico.

Da parte loro, le Associazioni dei pazienti richiamano l’attenzione sulla mancanza, al momento, di adeguate evidenze cliniche che legittimino e possano giustificare il passaggio dal farmaco biologico originatore al suo biosimilare. «Occorre cautela nell’effettuare lo “scambio” e la decisione può essere presa solo dal medico – dice Salvatore Leone, Direttore Generale di A.M.I.C.I., Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino – è però indispensabile ottenere l’evidenza richiesta per poter concludere che tra i vari prodotti non sussistano differenze in termini di potenziale immunogenico ed è fondamentale garantire al medico la possibilità di praticare tutte le opzioni».

Il timore per i pazienti è che esigenze di risparmio possano condizionare la possibilità e il diritto di accedere alle migliori terapie disponibili. Ma in molti si chiedono se veramente l’arrivo e l’utilizzo dei biosimilari porterà a un effettivo risparmio e a una razionalizzazione dei costi per Servizio Sanitario Nazionale.

«I vantaggi dell’alternativa biosimilare sono quelli di creare condizioni di competizione economica, e quest’ultima notoriamente implica riduzione dei prezzi e quindi risparmi finanziari oppure incremento delle persone in terapia» spiega Federico Spandonaro, Università Tor Vergata di Roma, CREA Sanità. «La dimensione dei risparmi finanziari dipende da molti fattori: in particolare dalle dimensioni del mercato dei farmaci biologici, che nel medio termine Assogenerici stima arrivi a 1,5 miliardi di euro. Questo dato risulterà probabilmente sovrastimato, in quanto i pazienti nel frattempo si sposteranno verso nuovi farmaci innovativi in arrivo sul mercato e una parte del risparmio si tramuterà in maggior utilizzo. Infine, non necessariamente per tutti i biologici sarà sviluppato un biosimilare».
Indipendentemente da quali saranno i risparmi effettivi, le Associazioni rivendicano l’importanza di scelte terapeutiche scevre da qualsiasi condizionamento economico perché «l’appropriatezza sanitaria deve venire prima di quella amministrativa» come afferma Renato Giannelli, Presidente Nazionale ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici. «Il pericolo che le esigenze economiche vengano anteposte al diritto dei pazienti a ricevere il miglior trattamento disponibile, esiste, è reale, ma noi dobbiamo contrastarlo per arrivare a comportamenti corretti che sappiano valutare in modo adeguato le opportunità e i rischi che conseguono all’utilizzo dei biosimilari».

I pazienti vogliono, inoltre, essere adeguatamente coinvolti nel percorso di cura e lo strumento più efficace è un’informazione esplicita e specifica su rischi, benefici ed evidenze cliniche legate al trattamento della patologia. All’interno di questo quadro il Consenso informato assume un’importanza cruciale.
«Il Consenso informato rappresenta oggi la condizione di legittimità di ogni intervento di carattere medico sanitario – osserva Marta Tomasi dell’European Centre for Law, Science and New Technologies dell’Università degli Studi di Pavia, Collaboratrice del Gruppo BioDiritto dell’Università degli Studi di Trento – tale presupposto di liceità è espressione della avvenuta trasformazione del rapporto medico-paziente che, abbandonato il tradizionale approccio paternalistico, si fonda oggi sul concetto di alleanza terapeutica e sulla centralità della figura del paziente e della sua autodeterminazione».

La scarsa informazione dei pazienti, che rischia di comprometterne il coinvolgimento nel percorso di cura, emerge dall’indagine civica condotta da Cittadinanzattiva sull’esperienza dei pazienti rispetto all’uso dei farmaci. «Il 41% dei pazienti non ha la minima idea di cosa sia un biosimilare – sottolinea Tonino Aceti, Coordinatore Nazionale Tribunale per i diritti del malato (TDM) e Responsabile Coordinamento nazionale Associazioni Malati Cronici di Cittadinanzattiva – avvertiamo la necessità di incrementare l’attività di informazione per i pazienti: il medico prescrittore, per primo deve poter offrire le giuste informazioni, con qualche accortezza in più nel caso dei farmaci biologici e biosimilari. In secondo luogo, l’informazione e la conoscenza su questioni più generali possono essere veicolate dalle istituzioni regolatorie del farmaco che coinvolgono l’intera collettività».

Intervista a: Corrado Blandizzi
Professore ordinario presso il Dipartimento di medicina clinica e sperimentale, Università degli studi di Pisa

Professore, sulla base delle attuali norme sui biosimilari, emanate a livello europeo e nazionale, che cosa è un farmaco biosimilare e quali sono le implicazioni nella gestione clinica del paziente?
«Nell’emanare le linee guida che normano lo sviluppo dei farmaci biosimilari, l’Autorità Regolatoria Europea (EMA) ha necessariamente dovuto fare riferimento al concetto di biosimilarità, poiché i farmaci biosimilari, come del resto tutti i farmaci ottenuti con tecnologie di “ingegneria genetica”, sono molecole complesse di natura proteica che si possono produrre solo per mezzo di processi di sintesi biologica. Tali processi sono svolti da cellule viventi, che vengono manipolate geneticamente per fare in modo che esse producano la proteinafarmaco di interesse. Il problema è che, mentre i processi di chimica industriale possono produrre molecole sempre identiche, i processi di sintesi biologica delle cellule sono inevitabilmente soggetti a fattori di variabilità che possono determinare la biosintesi di molecole proteiche simili ma, di fatto, non identiche. In altri termini, se due sistemi cellulari diversi vengono manipolati geneticamente in modo da produrre la stessa proteina-farmaco, a causa delle differenze biologiche che caratterizzano i due sistemi cellulari è molto difficile e di fatto impossibile, che essi producano molecole identiche. In teoria, a livello clinico, due molecole simili, ma non identiche, della stessa proteina-farmaco potrebbero indurre effetti diversi sia in termini di efficacia sia di sicurezza. È per questa ragione che l’Autorità Regolatoria Europea impone ai produttori di farmaci biosimilari un processo di sviluppo altamente controllato e verificato, a più livelli, e li obbliga a dimostrare che il farmaco biosimilare, anche se non identico al biofarmaco originatore, non si discosta da questo in maniera rilevante dal punto di vista delle proprietà farmacologiche, dell’efficacia e della sicurezza».

Uno dei punti di maggiore dibattito è rappresentato dalla possibilità, in base al regolamento EMA, di “trasferire” al biosimilare, attraverso l’esercizio di comparabilità, le indicazioni terapeutiche approvate per il farmaco originatore (la cosiddetta estrapolazione). Da un punto di vista farmacologico quali potrebbero essere le implicazioni?
«L’EMA impone che il farmaco biosimilare e il biofarmaco originatore di riferimento siano posti a confronto per mezzo di almeno uno studio clinico, che deve dimostrare che i due medicinali si equivalgono sia per la loro capacità di curare una determinata malattia che per il loro rischio di provocare effetti indesiderati (equivalenza terapeutica). Tale studio deve essere svolto su pazienti affetti da una patologia per la quale il biofarmaco originatore ha ottenuto in precedenza l’indicazione (ovvero è stato approvato sulla base dei risultati di studi clinici specifici). Se lo studio dimostra l’equivalenza terapeutica, il farmaco biosimilare potrà essere autorizzato e impiegato nei pazienti per la stessa indicazione del biofarmaco originatore.
Tuttavia, se il biofarmaco originatore è stato approvato per più di una indicazione terapeutica (per ciascuna delle quali è stato necessario dimostrare la sua efficacia per mezzo di studi clinici su pazienti), l’EMA può decidere di autorizzare l’uso del farmaco biosimilare anche per la cura di quelle malattie per le quali non è stato eseguito uno studio clinico di confronto diretto con il biofarmaco originatore. Questa procedura, denominata “estrapolazione” delle indicazioni terapeutiche, si basa sul presupposto che i risultati, acquisiti nel processo di confronto tra biosimilare e biofarmaco originatore (esercizio di comparabilità), consentano di predire che il farmaco biosimilare agirà con lo stesso meccanismo di azione e con la stessa efficacia del biofarmaco originatore in tutte le malattie per le quali l’originatore era stato in precedenza autorizzato. Dal punto di vista farmacologico, la procedura di estrapolazione pone due problemi principali: il meccanismo di azione che giustifica l’efficacia terapeutica nelle diverse malattie potrebbe non essere identico, ovvero, in alcune patologie all’efficacia potrebbero contribuire meccanismi aggiuntivi, secondari rispetto al meccanismo principale; pazienti affetti da patologie diverse potrebbero avere una diversa propensione a sviluppare effetti indesiderati, per esempio, una diversa capacità di sviluppare risposte immunitarie nei confronti del farmaco. In teoria, il verificarsi di queste circostanze potrebbe comportare profili di efficacia e/o sicurezza diversi rispetto a quelli attesi nei pazienti con patologie per le quali il farmaco biosimilare è stato autorizzato tramite estrapolazione dell’indicazione. Questa procedura è oggetto di accesi dibattiti e dà adito ad incertezze che possono giustificare perché, per lo stesso farmaco biosimilare, alcune indicazioni estrapolate siano state autorizzate dall’EMA, ma non siano state invece approvate da Autorità Regolatorie extra-europee».

Professore, con riferimento alla disponibilità di dati clinici pubblicati e alla esperienza post-commercializzazione dei biosimilari, ritiene che esistano differenze significative di impiego allo stato attuale tra i biosimilari di prima generazione ed i biosimilari degli anticorpi monoclonali di seconda generazione, di prossimo ingresso sul mercato?
«A distanza di circa dieci anni dall’introduzione nel mercato farmaceutico dei farmaci biosimilari di prima generazione (per es. ormone della crescita, eritropoietina, fattore di stimolazione midollare), è possibile sostenere che l’esperienza clinica accumulata con questi farmaci, soprattutto in area europea, sia molto rassicurante, tanto in termini di efficacia terapeutica che dal punto di vista della loro sicurezza di impiego. Di fatto, con i farmaci biosimilari di prima generazione non si sono verificati, ad oggi, particolari “incidenti di percorso”, e la letteratura scientifica prodotta sull’utilizzazione di questi medicinali nella pratica clinica dopo la loro autorizzazione suggerisce che siano stati ottenuti risultati soddisfacenti anche nei pazienti trattati con i biosimilari per indicazioni terapeutiche estrapolate. Tuttavia i farmaci biosimilari di seconda generazione, di fatto rappresentati dagli anticorpi monoclonali, sono caratterizzati da gradi di complessità molecolare e farmacologica ancora più elevati rispetto ai biosimilari di prima generazione. Per questa ragione, se, da un lato, l’esperienza favorevole acquisita con i biosimilari di prima generazione incoraggia un cauto ottimismo, dall’altro, è opportuno non esprimere giudizi azzardati finché non saranno disponibili dati attendibili sulle esperienze condotte nella pratica clinica con questi nuovi farmaci. A mio giudizio, l’introduzione dei farmaci biosimilari di seconda generazione nella pratica clinica dovrà avvenire gradualmente, sotto la responsabilità e l’attento monitoraggio dei medici, soprattutto per le indicazioni autorizzate con la procedura dell’estrapolazione. In questo contesto, un ruolo molto importante sarà svolto da un’attenta, responsabile e consapevole attività di farmacovigilanza, che rappresenta sempre un mezzo efficiente per mettere in evidenza situazioni di mancata efficacia o di profili di sicurezza anomali rispetto a quelli attesi».

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