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Farmaci innovativi: una chimera per tanti ammalati?
Paola Sarno, N. 1/2 gennaio/febbraio 2015
I farmaci innovativi? Benché spesso rappresentino una determinante possibilità in più per la cura di molti tumori, molto spesso sono solo un lusso per pochi ammalati e quindi inaccessibili a molti. Allo stesso modo non è praticamente possibile fare ricorso a finanziamenti, poiché per ottenerli viene richiesto un certificato di buona salute. Inoltre, persistono per molti ammalati problemi di informazione: non tutti i pazienti neoplastici, infatti, sono al corrente dell’esistenza di tali farmaci. A denunciare la corsa ad ostacoli cui sono costretti, paradossalmente, proprio gli ammalati di cancro per accedere alle molecole d’avanguardia è stato Tonino Aceti, coordinatore Nazionale del Tribunale per i Diritti del Malato (Tdm), durante un convegno, tenutosi a Roma, sul tema “L’innovazione farmaceutica dal punto di vista dei pazienti, ostacoli e opportunità”. Aceti, ha spiegato come stiano arrivando alle sedi del Tdm: «segnalazioni di persone che denunciano che, per accedere a farmaci innovativi, a causa di ritardi nelle procedure autorizzative, sono costrette a ricorrere a prestiti, o a dover intraprendere azioni legali, come ad esempio nel caso dei farmaci innovativi per l’Epatite C, quelli oncologici e per le patologie rare. Ma anche il prestito non è certo, poiché spesso viene richiesto il certificato di buona salute, e il gratuito patrocinio per l’accesso alla Giustizia è per pochissimi. Inoltre, l’informazione sull’esistenza di farmaci innovativi è per i pochi che hanno più mezzi per procurarsela».
Quanto incide la riduzione della spesa farmaceutica ospedaliera
Un altro elemento decisivo, emerso dai dati presentati nel corso del convegno romano, è stato quello relativo alla riduzione della spesa farmaceutica pro capite nel periodo compreso tra il 2009 e il 2011: -4,1% in Italia, -0,9% in tutta la Ocse. Vale a dire che si è passati dal 16,4% del 2008 al 14,85% del Fsn (Fondo sanitario nazionale) nel 2013. “Anche il tetto di spesa per la farmaceutica ospedaliera”, ha denunciato il Tdm, “è insufficiente”. A dimostrarlo il fatto che solo due le Regioni nel nostro Paese nel primo trimestre del 2014 sono riuscite a rimanere al di sotto del tetto di spesa ospedaliera programmato (3,5% ): la Valle d’Aosta (2,9% ) e la Provincia Autonoma di Trento (3,0%). Al contrario la Puglia ha fatto registrare il risultato peggiore (6,6%), seguita dalla Toscana (5%), dall’ Umbria (5,5%), dalla Sardegna (5,4%) e dalle Marche (5%). E sono proprio i farmaci di classe Cnn (cioè C non negoziata, vale a dire quella sezione dedicata ai farmaci non ancora valutati ai fini della rimborsabilità e che comprende, fra l’altro i medicinali gli anticancro, che restano a pagamento dei pazienti oncologici) che, in particolare, creano una distinzione fra cittadini di prima e seconda categoria. Fra chi, riesce ad avere informazioni ed ha le disponibilità economiche per sopperire ai ritardi dell’Aifa e chi non può può permettersi questo lusso. «Le numerose misure sulla spesa rischiano di andare a discapito dell’innovazione che serve ai cittadini», ha specificato meglio il coordinatore Nazionale del Tribunale per di Diritti del Malato, «e le modalità sono piuttosto note: allungamento dei tempi al livello nazionale, effettivo inserimento nei PTOR (Prontuari Farmaceutici) nelle Regioni, restrizioni ulteriori alla prescrizione da parte delle Regioni dopo una valutazione che le ha già viste coinvolte in Aifa, tempi per la definizione di PDT(Percorsi Diagnostici Terapeutici) regionali. Si pensi, ad esempio, che non è definito il tempo che intercorre tra l’approvazione della determina da parte dell’Aifa e l’invio al Poligrafico per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Molti farmaci sono in standby proprio per questo motivo».
Bando alle discriminazioni con hta centralizzato e monitoraggio dell’accesso effettivo alle cure innovative
Come fare per evitare di discriminare i cittadini ammalati a seconda del loro status socioeconomico? «Secondo il Tdm la soluzione risiederebbe nella programmazione integrata della spesa pubblica, in modo da superare “l’attuale approccio a silos”, nonché nel definire in modo partecipato e condiviso cosa si intenda per innovazione nella farmaceutica. Per questo», ha detto ancora Tonino Aceti, «occorre dotarsi di una metodologia di valutazione ispirata alle più avanzate esperienze di Hta (Health Technology Assessment, acronimo inglese con cui si definisce la complessiva e sistematica valutazione multidisciplinare delle conseguenze assistenziali, economiche, sociali ed etiche provocate in modo diretto e indiretto, nel breve e nel lungo periodo, dalle tecnologie sanitarie esistenti, ndr) che vedono coinvolti tutti gli stakeholder, rappresentanti di organizzazioni di cittadini e pazienti comprese. Per ridurre le iniquità di accesso attualmente presenti è fondamentale introdurre nel monitoraggio Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) delle Regioni indicatori relativi all’accesso effettivo alle terapie farmacologiche innovative approvate al livello nazionale dall’Aifa. Invece si legge nel nuovo Patto per la Salute che ogni Regione dovrebbe dotarsi di un suo presidio Hta, con rischi di duplicazione e impatto in termini di equità ed uniformità di accesso».
La trappola di un’austerità miope
Anche Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, ente che ha dato pieno sostegno al convegno di Cittadinanzattiva-Tdm ha affermato che «chi è malato ha diritto ai farmaci innovativì. L’Italia deve decidere dove porre le proprie risorse se non vuole cadere nella trappola dell’economia austera e triste. Oltreché di una visione miope, che rischia anche di fare male i conti, perché non considera quante prestazioni sanitarie potrebbero non essere necessarie con le nuove terapie». Scaccabarozzi ha anche aggiunto quanto sia necessario «superare la logica ragionieristica dei compartimenti stagni per capire se la malattia non costi di più rispetto ai farmaci innovativi in termini economici e umani per i pazienti che sperimentano sulla pelle la prova tragica della lotteria della nascita».
Se gli antitumorali innovativi non sono disponibili
Un altro problema serio è costituito dall’indisponibilità di alcuni farmaci innovativi a causa di problemi di produzione. Un esempio, è ciò che è successo con Oncotice, medicinale per il tumore alla vescica. «Nonostante gli sforzi che si stanno mettendo in campo nella risoluzione del problema, in primo luogo attraverso un’importazione dall’estero del farmaco, i risultati finora raggiunti non sono adeguati a garantire l’effettiva continuità terapeutica per i pazienti, sia dal punto di vista della tempestività che della quantità di farmaco effettivamente disponibile. Anche in questa vicenda, è evidente che i tempi della burocrazia non coincidono con quelli della malattia». Indispensabile, quindi che le Istituzioni e i produttori diano risposte certe, tempestive ed efficaci ai pazienti che attendono terapie salvavita. Risposte che non stanno tanto nel razionamento delle poche quantità disponibili, quanto piuttosto nell’approvvigionamento costante delle dosi necessarie per tutti i malati, che non possono vedere interrompersi una terapia già iniziata per indisponibilità dei farmaci. Nel caso di Oncotice, il Tdm ha avanzato richieste precise all’Aifa, al Ministero della Salute e all’industria produttrice: fornire le coordinate del fenomeno, ossia quanti pazienti sono attualmente a rischio e quanti sono scoperti dalla terapia al livello nazionale ed europeo; attivare una ricognizione delle scorte attualmente disponibili presso le strutture sanitarie italiane, al fine di gestire al meglio lo stoccaggio presente sul territorio nazionale ed ottimizzarne l’uso; verificare la possibilità di attivare lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, al fine di incrementare la produzione del quantitativo di farmaco necessario; ipotizzare delle soluzioni condivise con altri Stati Membri dell’UE, per far fronte ad una emergenza che sembra diffusa; verificare costantemente l’effettività dell’attività di importazione non solo in merito al quantitativo di medicinale importato, ma anche relativamente alla tempistica, nonché lo stato dell’importazione di farmaci che siano totalmente sovrapponibili a quelli carenti. Una sovrapponibilità che, se a volte è possibile, in altri casi non lo è. Ma non per questo le persone devono essere costrette a interrompere cure indispensabili per loro.
Medicinali, anche oncologici, irreperibili per più dell’86% dei farmacisti ospedalieri UE
Oltre l’86% dei farmacisti ospedalieri europei ha problemi nel reperire medicinali e il 66% segnala questo come un problema quotidiano. Nella Ue nel 51,8% dei casi, queste carenze riguardano farmaci originator, mentre la percentuale sale se andiamo a considerare il contesto italiano: qui la carenza di questi farmaci è di poco inferiore al 60%. A dirlo è un rapporto realizzato dall’Associazione europea dei farmacisti ospedalieri (Eahp). I medicinali in oggetto per lo più quelli per combattere le infezioni (56,7%), quelli contro i tumori (54,5%), i farmaci per le emergenze (30,4%), per le patologie cardiovascolari (30,4%) e gli anestetici (26%). L’Italia, in particolare insieme a Malta, risulta essere tra i paesi con le più gravi carenze di farmaci per patologie cardiovascolari (oltre il 60%). Nel documento vengono riportati anche i nomi di alcuni farmaci di cui è stata denunciata la carenza da tre o più membri dell’Eahp: fra questi ci sono, in particolare, anche tre antitumorali: il Cisplatin, il methotrexate e il vincristine. Le farmacie ospedaliere denunciano che la maggior parte delle loro carenze sono imputabili al canale dei grossisti (46,3%) e a quello delle aziende farmaceutiche produttrici di farmaci branded (39,8%). La mancanza di farmaci importanti può essere di settimane o di diversi mesi (29,7%) e portare gravi ripercussioni per alcune terapie salvavita.
Se le disparità di accesso sono anche geografiche
Anche a livello geografico esistono gravi disparità nell’accesso alle terapie antitumorali. Non tutti i pazienti, infatti, hanno accesso alle terapie innovative anti-cancro, per motivi di origine economica, ma anche a causa della burorazia regolatoria, che rallenta anche di anni l’arrivo di farmaci innovativi in Europa e in Canada, rispetto a quanto accade invece negli Usa. A sostenerlo sono due studi, presentati a Madrid durante l’ultimo congresso dell’ESMO (European Society for Medical Oncology). Gli autori di questi studi ritengono che sia necessario migliorare la collaborazione tra medici e autorità regolatorie a livello internazionale, allo scopo di assicurare a tutti i pazienti l’accesso al miglior trattamento per le loro patologie nel minor tempo possibile. Per valutare le discrepanze nei tempi di autorizzazione dei farmaci nei diversi Paesi, studiosi del Sunnybrook Odette Cancer Center, Toronto (Canada) hanno confrontato i tempi di approvazione di 41 terapie oncologiche in Canada, Stati Uniti ed Europa. Il loro studio ha dimostrato che il tempo di approvazione di questi farmaci da parte dell’FDA (Food and Drug Administration) negli Usa risultava in media più rapido di 6 mesi rispetto ai tempi dell’EMA (European Medicine Agency) e di 7,6 mesi rispetto a quanto impiegavano autorità regolatorie in Canada. «Questo interessante studio», ha commentato David Cameron del Cancer Research Centre di Edinburgo (UK), «ha evidenziato che, mentre non ci sono grandi differenze nei tempi di autorizzazione dei nuovi farmaci tra Canada ed Europa, l’FDA ha dei tempi di approvazione nettamente inferiori rispetto a questi Paesi. Non sono chiari i motivi di questi ritardi, ma sembrano essere più di ordine burocratico che medicoscientifico». Una seconda ricerca, effettuata da una équipe di studiosi guidati da Felipe Ades Moraes dell’Institut Jules Bordet di Bruxelles (Belgio), ha evidenziato che l’accesso al trastuzumab – farmaco approvato dall’FDA nel 1998 che ha rivoluzionato il trattamento del carcinoma della mammella HER2 positivo, che prima dell’avvento di questa molecola era considerato uno dei tumori della mammella più difficili da trattare – non sempre era garantito alle donne dell’Europa dell’Est e che ciò provocava importanti differenze nel tasso di sopravvivenza di queste pazienti rispetto a quelle dell’Europa Occidentale o degli Usa. L’iniquo accesso alle terapie oncologiche spiegherebbe anche le diverse statistiche di mortalità per alcuni tipi di tumore in diverse regioni del mondo. Utilizzando i dati dei registri nazionali, i ricercatori sono andati, infatti, a stimare l’incidenza dei casi di carcinoma della mammella HER2-positivo in 24 Paesi, tra i quali 14 dell’Europa occidentale e 9 dell’Europa dell’Est. Hanno poi preso in esame il numero di pazienti trattati con trastuzumab, andando ad analizzare i dati di mercato dei singoli Paesi, tra il 2001 e il 2013. È stato così possibile mettere in luce che gli Stati dell’Europa dell’Est avevano acquistato una quantità di trastuzumab decisamente insufficiente rispetto al numero di pazienti che ne avrebbero necessitato e che ciò aveva comportato un’inevitabile aumento del tasso di mortalità per quel tipo di tumore.
La Simg: sì a nuove regole per prescrivere i farmaci innovativi
«I medici di medicina generale sono in grado di prescrivere qualunque farmaco, purché siano messi nella condizione di conoscerlo e utilizzarlo appropriatamente. Plaudiamo all’iniziativa dell’Aifa di selezionare 2000 medici di famiglia per inserirli nei percorsi terapeutici in appropriatezza. Questi professionisti potranno quindi prescrivere i farmaci innovativi sottoposti a Piano Terapeutico, facoltà finora limitata solo agli specialisti. Nessuno meglio del medico di famiglia è in grado di compiere l’intero processo di conoscenza, identificazione del paziente eleggibile, selezione della terapia appropriata, valutazione degli “outcome” ». Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale (Simg), ha ipotizzato alcuni criteri per la selezione dei professionisti della medicina generale, che devono includere la qualità professionale misurabile dell’operatore e la possibilità di risultati ottenuti attraverso la terapia. «La decisione dell’Aifa», ha detto Cricelli, «pone rimedio a una situazione che risale a circa 15 anni fa e che abbiamo più volte denunciato. L’istituzione del Piano Terapeutico ha determinato “distorsioni” : parte dal presupposto che solo alcuni professionisti siano in grado di prescrivere determinate terapie e altri invece debbano essere privati di questa facoltà. Questa meritoria iniziativa sta suscitando uno straordinario consenso tra i nostri medici che hanno inviato la loro adesione al progetto. Conclusa la selezione iniziale, entreremo con Aifa nel merito della realizzazione pratica del progetto».
Tirelli: no ai farmaci costosissimi e di scarso impatto
Umberto Tirelli, Direttore Dipartimento di Oncologia Medica, del CRO di Aviano, in un articolo apparso su Quotidiano Sanità ha affermato che non si dovrebbero più approvare farmaci biologici ed oncologici prodotti dalle multinazionali e venduti a prezzi elevatissimi, in alternativa bisognerebbe ridurne consistentemente il prezzo. Soprattutto se le multinazionali non producono più i farmaci oncologici tradizionali, i chemioterapici di vecchia generazione, che – a basso costo – possono guarire leucemie acute, linfomi e tumori del testicolo. «Se le industrie farmaceutiche si lamentassero per i costi molto elevati per la ricerca e che richiederebbero quindi che i farmaci costino molto», ha affermato Tirelli, «va loro ricordato che le migliaia di convegni supportati economicamente dall’industria che si vengono organizzati nel mondo ogni giorno, hanno lo scopo principale di promuovere i farmaci costosissimi che poi mettono in grave difficoltà i nostri budget ospedalieri, come per esempio succede ad Aviano dove ogni anno soltanto per i farmaci oncologici si mettono a budget 20 milioni di euro, riducendo così le risorse per i medici, infermieri e tecnici, operatori necessari per l’assistenza e la ricerca», Inoltre, secondo l’oncologo, «non è accettabile che farmaci che hanno un impatto di qualche settimana o di qualche mese costino cifre esorbitanti». Valida inoltre per Tirelli anche l’idea che l’Ospedale Militare di Firenze tenga come scorta quei farmaci che possono venire a mancare negli ospedali italiani come succede per gli antidoti per i veleni.
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