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Come affrontare la sala operatoria

Monica Melotti, N. 12 dicembre 2014

Prima o poi, nella vita, può capitare a chiunque di finire sotto i ferri di un chirurgo. E non importa se l’operazione sia di routine o qualcosa di davvero importante. I timori sono sempre gli stessi, poiché è difficile trovarsi su un freddo lettino di sala operatoria, con l’anestesista che c’invita a contare a ritroso, sapendo che stiamo per chiudere gli occhi e addormentarci inesorabilmente. Da quel momento in poi, siamo nelle mani del chirurgo e della sua équipe: stiamo facendo bene a fidarci oppure stiamo per intraprendere un rischiosissimo salto nel buio? Potevamo fare qualcosa di più, a monte, prima di trovarci con gli occhi chiusi e un ago nel braccio, senza poter reagire in alcun modo? Cittadinanzattiva ha pensato di sì. Il movimento di partecipazione civica che promuove e tutela i diritti dei cittadini e dei consumatori, con un occhio di riguardo alla sanità con il Tribunale per i diritti del malato, ha creato una vera e propria guida per affrontare nel modo migliore l’intervento chirurgico, del titolo “Operazione sicurezza”. Non vi sono consigli medici, ma dieci suggerimenti per cercare di risolvere dubbi e perplessità che possono spaventarci in attesa dell’evento. Naturalmente, Cittadinanzattiva non ha lavorato da sola, ma ha chiesto la collaborazione di tutte le principali associazioni e federazioni italiane di medici e paramedici, nonché del Ministero della salute. Così per spiegare e approfondire i dieci punti su cui si basa la guida.

Una sanità più tutelata
Cittadinanzattiva per mettere a punto Operazione sicurezza ha collaborato assieme all’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (Acoi). «Da parecchio tempo stiamo lavorando per una sanità più tutelata: penso al Manuale qualità e sicurezza che riguarda il percorso dell’ammalato nella struttura ospedaliera, dall’accettazione fino alle dimissioni, nato proprio per prevenire i rischi della persona», spiega il professor Luigi Presenti, direttore della Struttura dell’Ospedale di Olbia e past president dell’Acoi. «La guida aggiunge qualcosa di più rivelando al malato i suoi diritti, ma anche i suoi doveri, per poter affrontare un intervento chirurgico nella maniera migliore possibile. Il paziente non può accontentarsi di essere il soggetto passivo della vicenda. Deve intervenire, sia nei confronti degli altri, a partire dal medico, sia verso se stesso: comportamenti a rischio o scorretti possono provocare incidenti gravi sul buon esito dell’operazione. È indispensabile vivere tutti i momenti dell’operazione da protagonista. Se uno ha un pessimo stile di vita, non può credere che questo non pesi sul risultato dell’intervento».

Parlare con il medico di famiglia
Il primo punto della guida invita l’ammalato a confidarsi con il proprio medico di famiglia: l’intervento è necessario? Devo farlo subito oppure posso aspettare? Se lo rimando corro dei rischi? «Il medico di famiglia di solito risponde a queste domande, perché è inconcepibile che un’operazione programmata sia affrontata nel completo silenzio da parte di tutti», continua l’esperto. «Anzi, spesso è proprio il medico curante che consiglia l’istituto a cui rivolgersi. Un tempo ci si faceva operare nell’ospedale più vicino a casa, invece oggi ci si rivolge a strutture che hanno una specializzazione per determinate malattie. Le domande però si devono fare, anche se il tempo che un medico riesce a dedicare all’ammalato è spesso ristretto. Se non si pongono quesiti, è facile che molte cose siano date per scontate. Al tempo stesso, proprio il fatto che esistano strutture ospedaliere sempre più specializzate comporta che non sia sufficiente il parere del medico di famiglia. Questo avviene soprattutto per interventi complessi, dove ci si confronta con il medico della struttura. A volte però non è detto che il medico ospedaliero con cui parliamo durante il ricovero sia poi il chirurgo che ci opererà. L’importante, comunque, è fare il possibile per aprire un dialogo basato sulla fiducia con uno specialista che possa placare i timori e alleviare i dubbi».

Guardare la carta dei servizi
Come scegliere la struttura giusta? Il sistema ospedaliero italiano, per la maggior parte, è un sistema pubblico che dovrebbe fornire informazioni precise per poter fare una scelta. «Purtroppo non è ancora così. Si fatica a capire se un ospedale va bene per risolvere i nostri problemi oppure è meglio rivolgersi altrove», continua il professore. «Internet, poi, aumenta la confusione. Da una parte, infatti, leggere i commenti di chi ha provato una determinata struttura può risultare utile, dall’altro fuorviante, rischiando di sollevare ancora più dubbi. Prima di tutto bisogna individuare un gruppo di strutture possibili fra cui scegliere. Molto importante è guardare la Carta dei servizi, che si trova molto spesso nel sito Internet dell’ospedale (ma può anche essere richiesta direttamente alla sede). Questa Carta ha molte informazioni utili, perché non solo presenta l’azienda, ma rivela quali prestazioni è in grado di erogare, quali sono i tempi di attesa e quali strumenti usa. Se le informazioni non sono chiare si può chiedere aiuto al proprio medico curante».

L’importanza della cartella clinica
Quando si sceglie la struttura in cui farvi operare, occorre fornire tutte le indicazioni utili. «Quando si tratta di offrire tutte le spiegazioni possibili sul malanno e sul nostro stile di vita, non sempre l’ammalato riesce a dire quanto in realtà dovrebbe» sottolinea il professor Presenti. «Non è perché si voglia nascondere qualcosa, anche se a volte può essere questo il problema, ma il più delle volte la persona non ha idea di ciò che sia importante e che cosa no. Magari si dimentica di problemi di vecchia data, che ha psicologicamente superato, ma che a sua insaputa ancora condizionano la sua salute e il suo comportamento».

C’è un metodo per evitare errori in questo passaggio?
«Sì, per fare un buon lavoro si deve essere in due. Il medico o chiunque raccolga l’anamnesi deve cercare di approfondire il più possibile la sua indagine, magari facendo parlare l’ammalato quanto può. Naturalmente, non sempre si riesce ad avere una cartella clinica completa. La cartella clinica racconta la storia dell’ammalato e non solo: è un documento redatto da medici per i medici. Per esempio se una persona è già stata operata e deve tornare sotto i ferri per il medesimo problema, è importante conoscere la tecnica usata nel primo intervento e così via». È fondamentale chiederla espressamente, quando si viene dimessi dall’ospedale. In qualsiasi ospedale c’è uno sportello dedicato, altre volte è il Cup o il Punto d’accettazione più vicino al reparto di degenza. Comunque sia, ottenere la propria cartella clinica e, soprattutto, portarla con sé a ogni visita e ricovero, è davvero importante.

Non sottovalutate la preparazione
Una volta, l’ammalato veniva ricoverato e faceva visite ed esami in ospedale. Oggi si preferisce accorciare i tempi di ricovero ed eseguire tutto l’iter preoperatorio fuori dai giorni di degenza. Ma il fatto che le cose siano diventate più celeri non deve farci dimenticare di chiedere come occorre presentarsi in ospedale, ossia se dobbiamo essere a digiuno, se dobbiamo sospendere alcuni farmaci, che indumenti dobbiamo portare con noi e così via. Certo, non sempre tutto è molto chiaro, purtroppo. «Esistono centri in cui si rilasciano fogli in cui sono riportati per iscritto tutti i punti importanti della preparazione», continua l’esperto. «Questa disparità crea spesso confusione, soprattutto nelle zone grigie del non detto, del non percepito. Sicuramente da parte della Sanità c’è ancora parecchio da fare, ma nello stesso tempo le persone devono prendere coscienza che la preparazione e l’informazione è importante».

Il consenso informato
Il punto cinque della guida invita la persona degente a fare la propria parte per ridurre il rischio di infezioni ospedaliere: ma è davvero utile? «Sì, lo è, anche perché questo rischio costituisce un grosso problema a livello mondiale», spiega Presenti.
«Risolverlo del tutto è forse impossibile, anche perché l’ospedale è un luogo d’elezione per la crescita di microrganismi sempre più resistenti. Però si è notato che la prevenzione e determinate metodiche igieniche sono in grado di ridurre il rischio». Un altro punto importante è il consenso informato, ossia l’accettazione volontaria, da parte del paziente del percorso diagnostico e curativo che gli viene proposto da un medico. Secondo questo consenso il malato ha il diritto e il dovere di ottenere tutte le informazioni disponibili sulla sua salute, oltre che poter scegliere liberamente se sottoporsi a un determinato trattamento oppure no. «La questione del consenso informato non è così semplice, ed è difficile definirlo in poche parole», dice l’esperto. «Non si tratta soltanto di una lettura di un foglio da firmare ma si tratta di una questione d’informazione corretta. Ed è proprio questo il punto cruciale: in che cosa consiste un’informazione corretta? ».

Notizie tranquillizzanti
Se dico a un ammalato che la sua operazione ha lo 0,2 per mille di probabilità di portare al decesso, faccio bene o faccio male?
«Questa percentuale è quella di un rischio bassissimo, ma comunquee esistente, poiché c’è sempre una dose di rischio in qualsiasi cosa si faccia, anche la più semplice operazione di routine. D’altra parte, è difficile che l’ammalato percepisca questo lato come una fredda cifra statistica è più probabile che legga soltanto il termine “decesso”, si spaventi e decida di non fare l’intervento, peggiorando il suo stato di salute».

Quindi è meglio non accennare questa cosa? Ma se qualcosa andasse storto, come ci porremmo di fronte all’ammalato? Come dovrebbe quindi essere la corretta informazione?
«Completa, ma tranquillizzante. È inutile elencare una serie di cifre, se poi non le si spiegano a fondo. Se non si fanno soppesare i rischi che l’ammalato corre, per esempio, a evitare una cura o un’operazione. Purtroppo, il tempo rema contro le buone intenzioni, non sempre un medico ha la possibilità di spiegare per bene ogni singola casistica. Anche qui occorrerebbero protocolli simili per tutti, con informazioni chiare e complete su ciascun argomento. In alcuni ospedali già esistono, in altri no. Cosi devono per forza intervenire altri fattori» chiarisce il professor Presenti.

Quali?
«La fiducia, in primo luogo. Anche la guida di Cittadinanzattiva nell’ultimo punto dice che fidarsi, collaborare e partecipare sono le tre parole d’ordine per un’operazione in sicurezza. A volte ad un medico può mancare il tempo materiale per occuparsi quanto vorrebbe di un ammalato, ma questo non deve far dimenticare che la collaborazione e la fiducia possono proprio fare moltissimo per snellire la comunicazione. Sono una sorta di ricetta per sconfiggere la cronica mancanza di tempo».

L’ospedale senza dolore
Al settimo punto della guida, si invita l’ammalato a non soffrire inutilmente. Che cosa vuol dire, esattamente?
«Significa che il dolore dev’essere trattato sempre e per tempo, non soltanto quando l’ammalato dichiara di soffrire», sottolinea l’esperto. «Esistono dei protocolli per evitare che le persone soffrano durante certi esami e certe procedure. Molte persone hanno paura di operarsi, proprio perché temono di soffrire. Ma dal 2010 esiste una legge che garantisce a tutti l’accesso alla terapia del dolore, anche a chi lo prova in versione acuta e transitoria, tipica del periodo post chirurgico».

Il ritorno a casa
E alla fine si rientra nella propria abitazione, dove non bisogna dimenticarsi di seguire le indicazioni che ci sono state date al momento della dimissione. Occorre avvertire il medico di riferimento di eventuali dolori che non passano, oltre che per un aiuto nel modificare uno stile di vita malsano. E proseguire così nel rapporto di fiducia e di dialogo che dovrebbe essersi instaurato.

Ma gli italiani hanno fiducia nei propri medici?
«Io credo di si – conclude il professore – credo che gli italiani siano soprattutto infastiditi dai lunghi tempi d’attesa che la sanità pubblica comporta. E penso che sia proprio questo il grosso lavoro di ristrutturazione che ci attende. Ma la fiducia nelle persone esiste, non credo sia mai venuta meno».

In Italia 4 milioni di interventi all’anno
Ogni anno, nel nostro Paese, si effettuano oltre 4 milioni di interventi chirurgici all’anno. Un numero davvero notevole, tanto che più di un terzo degli errori (36,9%) per i quali i cittadini hanno richiesto un risarcimento ha riguardo l’area chirurgica. Le specialità maggiormente interessate sono: ortopedia (13,5%), struttura e parti comune (11,9%), chirurgia generale (7,9%), ostetrica e ginecologia (4,7%), Pronto Soccorso (4,5%), cardiochirurgia (4,4%), odontoiatria (4,3%), oculista e oftalmologia (3,9%).

Un aiuto in rete
Per la prima volta in Italia è nato un portale che si fonda su un database elaborato da esperti che hanno incrociato i risultati ottenuti (regione per regione, provincia per provincia), “mappando” l’offerta sanitaria del Bel Paese. Il sito www.doveecomemicuro.it è stato attivato l’ottobre scorso. Il tutto grazie alla qualità dell’informazione (di carattere rigorosamente scientifico) garantita da un Comitato composto dai massimi esperti mondiali sulla trasparenza, in base a 50 indicatori di qualità assistenziale delle strutture individuati attraverso i dati di Ministero della Salute, Istat e l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas) e altri enti di ricerca. Il portale è frutto di due anni di lavoro di un team di ricercatori coordinato dal professor Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università Cattolica – Policlinico Gemelli di Roma.

Con questo tipo di approccio, anche l’Italia entra nel cosiddetto “public reporting”, ovvero il riportare pubblicamente le performance di una certa struttura sanitaria: attività che incoraggia tutte le iniziative volte al miglioramento della qualità delle prestazioni offerte e “guida” in maniera facile il paziente verso gli ospedali e le cliniche che eccellono in interventi chirurgici, diagnostica e cura.

Accanto ad ogni struttura individuata territorialmente in base alla patologia, viene infatti collocato un semaforo: verde se gli standard scientifici garantiti sono superiori a quelli indicati dal Ministero della Salute, giallo se uguali e rosso se inferiori. Un solo ospedale del centro (il Sant’Andrea di Roma) insidia i nosocomi top d’Italia (gli Ospedali Civili di Brescia, l’Ospedale di Magenta (Milano) ed il Centro Cardiologico Monzino di Milano. Il primato per i bimbi nati nel 2012 appartiene al Sant’Anna di Torino: ben 7913. Assente invece tutto il Sud.

Il decalogo della sicurezza

  1. Affidarsi ai consigli del medico di famiglia e dello specialista.
  2. Scegliere la struttura adeguata in base all’équipe chirurgica, al comfort, ai servizi offerti, anche basandosi sulla Carta dei Servizi.
  3. Collaborare con i sanitari, fornendo loro tutte le informazioni cliniche utili, durante l’anamnesi e l’esame obiettivo.
  4. Prepararsi all’intervento seguendo le indicazioni di medici e infermieri (dieta, terapia e altre accortezze).
  5. Fare la propria parte per ridurre il rischio di infezioni, lavandosi frequentemente le mani, curando l’igiene personale, segnalando la presenza di eventuale febbre o permanenza prolungata di cateteri.
  6. Esprimere in maniera consapevole il consenso informato, ovvero accettare il percorso diagnostico-terapeutico, proposto dal medico, dopo aver chiarito ogni dubbio e preso coscienza delle eventuali alternative.
  7. Non soffrire inutilmente. Dal 2010 esiste una legge (n. 38) che tutela il diritto del paziente a non soffrire inutilmente e obbliga i sanitari a porre attenzione al dolore, misurandolo e trattandolo in modo adeguato.
  8. Dopo l’intervento è opportuno fare attenzione allo stile di vita, ai comportamenti da seguire (quando e come muoversi, i cibi permessi, i farmaci da assumere).
  9. Prima di andare a casa richiedere una copia della cartella clinica.
  10. Fidarsi, collaborare e partecipare, tre parole d’ordine per un’operazione in sicurezza. La guida, in formato pdf, può essere scaricata a questo indirizzo internet: http://goo.gl/szS7y.

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