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Un vegetale per combattere il mesotelioma
Cristina Mazzantini, N. 10 ottobre 2014
Una ricerca pilota sta sviluppando la possibilità di un trattamento preventivo basato sulle foglie della pianta del carciofo, per combattere e prevenire un tumore difficile da sconfiggere come quello provocato dall’amianto.
Gli esperti però avvertono: « Non sperate, però, che vi basti mangiare una dozzina di carciofi al giorno per prevenire uno tra i più aggressivi e implacabili tumori, il mesotelioma ». È bene ricordare che si tratta di una fra le forme di cancro tutt’oggi letali, perché una volta diagnosticato non lascia scampo e la sopravvivenza dei pazienti nella stragrande maggioranza de casi purtroppo non supera i 12 mesi. Va detto che è un tumore subdolo, perché colpisce a distanza di anni: possono passarne perfino 40-45 tra l’inizio dell’esposizione all’amianto e il momento in cui si manifesta la malattia. Colpa delle fibre di amianto inalate tanti anni prima, da lavoratori di cantieri, durante la costruzione di case, scuole, ospedali e dagli operatori delle fabbriche di cemento-amianto e cantieri navali.
A tal proposito interviene il dottor Giovanni Blandino, responsabile del Laboratorio di Oncogenomica traslazionale del Regina Elena di Roma sottolinea come il mesotelioma ogni anno, colpisce più di 2mila persone solo in Italia, ma e che nostro Paese ci sono ancora in giro qualcosa come 32 milioni di tonnellate di amianto, vale a dire 5 quintali a persona. Si ricorda il processo contro i dirigenti dell’Eternit, ancora in corso: dopo la storica condanna d’appello del 2013 si è ora in attesa della decisone della Cassazione. Comunque, non molto diversa dalla nostra, e talvolta anche peggiore, è la situazione in molti altri Paesi, a cominciare dalla Cina, l’India, la Turchia e via elencando. Ecco perchè l’incidenza del mesotelioma è in continua crescita e ci si attende un picco di diagnosi entro il 2020. Cruciale, pertanto, sarebbe riuscire a limitare il numero dei nuovi casi.
E qui si inserisce il carciofo... È appena partita, infatti, una ricerca sull’estratto di carciofo, delle sue foglie, per la precisione, di una varietà particolare, coltivata a determinate condizioni e così via (ecco perché non basterebbe mangiare quantità anche esagerate dei suoi “ fiori ” per evitare il tumore). Capofila del nuovo studio clinico è l’Istituto Regina Elena che, insieme alla canadese McMaster University, analizzerà le proprietà del vegetale per un anno su persone con forti fattori di rischio, come le placche polmonari da asbesto. Un progetto “ made in Italy ” quindi, perché il composto è stato messo completamente a punto da un’azienda del nostro Paese e, per la prima volta al mondo, sperimenterà la chemioprevenzione con una sostanza naturale e dal costo contenuto. Il trial clinico è stato recentemente presentato a Roma, durante l’ “International Workshop on metabolism, diet and chronic disease”, un appuntamento per fare il punto sulle evidenze scientifiche riguardanti stili di vita e neoplasie. « La chemioprevenzione è un’idea nata negli USA », spiega Paola Muti, della McMaster University di Hamilton in Canada, « e in Italia ha trovato terreno fertile. Si può attuare tutti i giorni anche tramite l’alimentazione. Ma non solo, un impiego differente di alcuni farmaci può rivelarsi fondamentale. Nel 2011 una collaborazione tra Regina Elena e Istituto dei tumori di Milano ha dato il via allo studio TEVERE, il più importante lavoro al mondo per valutare come giocare d’anticipo sul cancro al seno. Stiamo analizzando gli effetti preventivi della metformina, una molecola comunemente utilizzata per il diabete, su 16 mila donne sane. Questi due trial sono l’ulteriore conferma del valore dei link internazionali, portatori di innovazione ».
È ormai noto che la scienza medica riconosce da diverso tempo il ruolo protettivo offerto da frutta e verdura contro diverse patologie, compresi i tumori. « L’estratto di carciofo, messo a punto dai nostri laboratori, è riuscito a superare i rigidissimi standard di controllo nordamericani » sottolinea Valentino Mercati, fondatore del Gruppo Aboca. « Crediamo tanto in questo progetto, una testimonianza dell’eccellenza italiana, anche perché il concetto di prevenzione per noi è prioritario. Le tecnologie moderne ci consentono sempre più di definire e caratterizzare complessi molecolari derivabili da sostanze naturali, sotto l’aspetto chimico fisico e predirne l’attività biologica sul campo umano ». La prima fase dello studio prevede una sperimentazione su un numero limitato di pazienti al termine della quale (cioè verso la fine di quest’anno), se i risultati saranno quelli attesi e sperati, si procederà ad ampliare la ricerca a un numero molto più elevato di pazienti coinvolgendo prevedibilmente anche altri centri distribuiti in vari Paesi. Fra i settori applicativi più importanti di questo filone di ricerca ci sono le malattie complesse, come quelle “ degenerative e oncologiche ”.
« Il Workshop ribadisce l’importanza di uno stile di vita corretto», puntualizza Vito De Filippo, Sottosegretario al Ministero della Salute. «La sostenibilità del Servizio sanitario verrà garantita solo se riusciremo a sensibilizzare in maniera efficace i cittadini su questi aspetti, altrimenti assisteremo al costante incremento delle malattie croniche ».
Nel 2013 in Italia si sono registrati circa 366mila nuovi casi di tumore, con 173mila decessi (erano 175mila nel 2012). Oggi nel nostro Paese vivono 2.800.000 persone con una precedente diagnosi di malattia oncologica: erano quasi 1.500.000 nel 1993 e 2.250.000 nel 2006. Il cancro del colon-retto è il più frequente, con quasi 55.000 nuove diagnosi, seguito da seno (48.000), polmone (38.000) e prostata (36.000). « Numeri in crescita, che evidenziano sia l’aumento d’incidenza che le maggiori prospettive di sopravvivenza dei pazienti », conclude il dott. Blandino. « Di conseguenza, si dovranno reperire sempre più risorse per curare questo esercito di persone. È fondamentale quindi intervenire prima, fin dalla giovane età, insegnando ai ragazzi un corretto stile di vita. Le statistiche parlano chiaro: le neoplasie più diffuse sono quelle che risentono in misura rilevante anche di un’alimentazione sbagliata, della sedentarietà e del fumo. Partiamo da qui per cambiare lo scenario futuro ».
I vegetali alleati per combattere il cancro del pancreas
Sedano, carciofi ed erbe aromatiche, specialmente l’origano messicano, possono aiutare a battere il cancro del pancreas. Alla base delle proprietà antitumorali di questi vegetali, c’è un elevato contenuto di due flavonoidi, l’apigenina e la luteina, potenti antiossidanti e “spazzini” dei radicali liberi.
La ricerca ha dimostrato che queste sostanze uccidono le cellule tumorali del pancreas, inibendo un enzima chiave nell’insorgenza delle neoplasie. È la conclusione di due studi dell’università dell’Illinois (Usa), pubblicati su Molecular Nutrition and Food Research. « Ma attenzione, se si usano integratori che contengono i flavonoidi contemporaneamente a farmaci chemioterapici », avvertono gli scienziati: « Non vanno assunti nello stesso momento, perché possono annullarsi reciprocamente nell’azione contro il tumore ».
Gli studiosi hanno utilizzato l’apigenina da sola in due culture di cellule pancreatiche umane infettate da un tumore: la sostanza induceva la morte di queste cellule. « Ma », spiegano i ricercatori, « abbiamo ricevuto i risultati migliori quando le cellule tumorali sono state pre-trattate con apigenina per 24 ore, e poi è stato applicato un farmaco chemioterapico per 36 ore » – precisano gli scienziati – « Il nostro studio ha indicato, che l’assunzione di integratori antiossidanti nello stesso giorno in cui ci si sottopone alla chemioterapia può compromettere l’effetto di questi farmaci. È quindi meglio assumere antiossidanti prima della chemio, perché i flavonoidi e i farmaci chemioterapici possono competere tra di loro quando sono introdotti nello stesso momento ».
Gli scienziati hanno scoperto che l’apigenina è riuscita ad inibire un enzima chiamato glicogeno sintasi chinasi 3 (Gsk3), un’azione che ha poi portato alla diminuzione della produzione di geni antiapoptotici nelle cellule tumorali pancreatiche. Questi geni sono da contrastare perché impediscono l’apoptosi, cioè il “suicidio programmato” della cellula malata che si autodistrugge perché il suo Dna è stato danneggiato.
Il nostro organismo ha una nuova guardia
C’è un “drago” a fare la guardia al nostro genoma, ed è importantissimo per evitare che si sviluppino i tumori. Si tratta di un nuovo gene, che si chiama proprio come l’animale mitologico, ed è appena stato scoperto grazie ad uno studio dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri pubblicato sulla rivista scientifica Journal of the National Cancer Institute. Il gene Drago, spiegano gli esperti, è un inibitore di cellule tumorali: « La struttura e la sequenza sono simili nelle diverse specie animali, e questo fa pensare a un suo ruolo importante. Il gene coopera con p53, una proteina coinvolta nel ciclo cellulare e quindi nella loro proliferazione; e in animali geneticamente modificati in cui mancano sia p53 sia Drago si sviluppano tumori in un tempo molto più rapido rispetto agli animali privati della sola p53 ». Come spiega Massimo Broggini, responsabile del Laboratorio di Farmacologia Molecolare del Mario Negri, « in diversi tumori la diminuzione dei livelli di Drago è direttamente correlata all’aggressività del tumore, a conferma del suo potenziale ruolo come onco-soppressore. I risultati ottenuti », conclude l’esperto, « aggiungono un importante tassello alle funzioni antitumorali di p53 e, vista la regolazione molto stretta dei livelli di Drago, la prossima sfida sarà trovare strategie per ripristinarne la sua presenza in tumori dove è venuta meno la sua funzione di contrasto della crescita tumorale ».
Giovani europei e melanoma
È ufficiale, le lampade solari causano tumori. Non è certo una novità. Tuttavia dati recenti rendono tale certezza più che disarmante. I danni derivanti dall’abbronzatura artificiale sarebbero responsabili di oltre 10.000 melanomi all’anno e 450.000 cancri della pelle di altro genere.
La conferma arriva dai ricercatori della California University e di Cambridge, Inghilterra, la cui accurata analisi, pubblicata su Jama dermatology, riassume 88 studi svolti su un campione di oltre 400.000 persone in Europa, Stati Uniti ed Australia.
In cima alla classifica dei rischi compaiono ragazzi europei, italiani inclusi. Pare infatti che il 55% degli studenti universitari, circa il 36% degli adulti e il 19% degli adolescenti con tali origini si affidino ai solarium per mantenersi più “ belli ”.
Il 22% tra questi rischia di contrarre una forma curabile di tumore, mentre dal 2,6 al 9% corre il pericolo di beccarsi quello più temuto e aggressivo. Precedenti ricerche hanno rivelato almeno 3.400 casi di melanoma all’anno legati proprio a tali comportamenti.
Difficile curare i tumori del sangue
Negli anni Novanta, i pazienti affetti da tumori come il mieloma multiplo, avevano una sopravvivenza che non arrivava ai due anni e mezzo; oggi si arriva a 6-7 anni; e per chi comincia un trattamento adesso ci si aspetta che arrivi ad almeno dieci anni. Si possono riassumere in questi pochi dati, citati da Antonio Palumbo, della Divisione di Ematologia universitaria dell’ospedale Molinette-Città della salute e della scienza di Torino, i progressi che la ricerca ha compiuto negli ultimi due decenni nella cura delle patologie ematologiche e, in particolare, di alcuni tumori del sangue. A discuterne recentemente a Milano circa 11 mila specialisti da tutto il mondo in occasione del congresso dell’European hematology association. Una categoria eterogenea, quella dei tumori del sangue che, presi singolarmente potrebbero rientrare a pieno titolo tra le malattie rare, se non fosse che per alcuni di loro si è già trovato un modo di curarli, anche se non di guarirne. I farmaci cosiddetti “ orfani ” « sviluppati per malattie rare con una frequenza non maggiore di 5 casi per 10 mila abitanti », spiega Fabrizio Pane, presidente della Società italiana di ematologia, in un incontro promosso da Celgene a Milano, « sono una categoria riconosciuta sin dal Duemila ». Ma sul fronte dei tumori del sangue « progrediscono anche le conoscenze sulla patogenesi », precisa lo specialista, « e sempre di più ci accorgiamo che quella che pensavamo fosse un’unica malattia è invece un insieme di malattie che danno un quadro clinico simile, ma beneficiano di farmaci diversi. Da qui la necessità di avere prodotti che rientrano nella definizione di orfani ». Medicinali che da un punto di vista commerciale non risulterebbero “interessanti” alle aziende farmaceutiche perché, a fronte degli importanti investimenti in ricerca e sviluppo che richiedono, sono destinati a piccoli gruppi di pazienti. Per questo, secondo Pane avrebbero bisogno « di una serie di protezioni, rispetto a farmaci come quelli sviluppati per malattie più comuni. Ci sono una serie di iniziative a livello europeo che andrebbero probabilmente recepite in Italia: defiscalizzazioni e protezione di brevetto aggiuntive rispetto a quelle di un farmaco tradizionale ». Anche per il mieloma multiplo lo scenario è molto cambiato. « Abbiamo strumenti nuovi e più efficaci », chiarisce Mario Boccadoro, professore di Ematologia all’università di Torino, « abbiamo imparato a combinarli, anche con la vecchia chemio, e i risultati sono estremamente buoni: abbiamo certamente raddoppiato la sopravvivenza negli ultimi 5-6 anni » riuscendo a mantenere la qualità di vita dei pazienti, grazie anche a trattamenti orali che vengono somministrati a casa. Sul fronte delle diagnosi « abbiamo da perfezionarci – precisa lo specialista – perché molte volte il mieloma è subdolo e si presenta in maniera non semplicissima da diagnosticare ».
Farmaco che potenzia la radioterapia
Un gruppo di scienziati della University of Manchester ha dimostrato il potenziale di un farmaco che potrebbe migliorare l’efficacia della radioterapia nell’arresto della crescita di un tumore. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista International Journal of Cancer. Il farmaco è in grado di usare il sistema immunitario per attaccare le cellule tumorali, una strategia che può essere molto efficace e che non ha gli effetti collaterali associati con la convenzionale chemioterapia. Lavorando in collaborazione con AstraZeneca e Dainippon Sumitomo Pharma, i ricercatori hanno studiato una molecola, conosciuta come DSR-6434, capace di attivare il recettore TLR7, che permette di mobilitare cellule immunitarie e riconosce sostanze estranee e potenzialmente dannose. Somministrando la DSR-6434 a topi con due modelli di cancro, insieme alla radioterapia, i ricercatori hanno mostrato che il tumore si restringeva e veniva incrementata la sopravvivenza. Inoltre, i trattamenti combinati riducevano anche la presenza di tumori polmonari secondari.
Studio dell’ Istituto Superiore di Sanità, nella terra dei fuochi si muore di più
Nella Terra dei Fuochi e a Taranto si muore di più che nel resto delle rispettive regioni, ci si ammala e si viene ricoverati con più frequenza a causa dei tumori. A mettere nero su bianco i sospetti di questi anni è stato l’Istituto Superiore di Sanità, che ha appena pubblicato sul proprio sito l’aggiornamento dello studio epidemiologico Sentieri. Per la Terra dei Fuochi i dati parlano di un eccesso di mortalità rispetto al resto della regione del 10% per gli uomini e del 13% per le donne nei comuni in provincia di Napoli, mentre per quelli in provincia di Caserta è rispettivamente del 4 e del 6%, con un eccesso di ricoveri per una serie di tumori. « Per anni non si è data alla questione ambientale la giusta importanza », commenta Maria Triassi, docente di salute Pubblica dell’università Federico II di Napoli. « La mortalità aumentata ora va approfondita, per verificare l’influenza di fattori esterni a quello ambientale, come lo stile di vita, ma è innegabile che serve più attenzione e un lavoro più approfondito, ad esempio unificando i dati di Arpa e Asl, perchè non si può ragionare con l’ambiente distinto dalla salute ». Diversi sono i tumori che hanno visto un’impennata nella zona, da quello dello stomaco, del fegato, del pancreas fino ad arrivare a quello della mammella. « Purtroppo il problema dei rifiuti è stato ignorato per decenni », sottolinea sempre la Triassi, « la nostra società ne produce, ma non si è mai preoccupata di come smaltirli. Sono certa che ci sono molte altre situazioni simili in Italia e nel Mondo ». Per quanto riguarda la città di Taranto lo studio ha confermato gli eccessi di mortalità e ricoveri delle edizioni precedenti, con in più i dati, preoccupanti, sulla condizione infantile. La mortalità infantile registrata per tutte le cause è maggiore del 21% rispetto alla media regionale, mentre nell’area sottoposta a rilevamenti c’è un eccesso di incidenza di tutti i tumori nella fascia 0-14 anni pari al 54%, mentre nel primo anno di vita l’eccesso di mortalità per tutte le cause è del 20%. Per alcune malattie di origine perinatale, iniziate cioè durante la gravidanza, l’aumento della mortalità è invece del 45%. « Lo studio conferma le criticità del profilo sanitario della popolazione di Taranto emerse in precedenti indagini », scrive l’Iss. « Le analisi effettuate utilizzando i tre indicatori sanitari sono coerenti nel segnalare eccessi di rischio per le patologie per le quali è verosimile presupporre un contributo eziologico delle contaminazioni ambientali che caratterizzano l’area in esame, come causa o concausa ».
Plastica e cancro alla tiroide, quale legame?
Televisori, computer, stampanti, rivestimenti. Molti oggetti in plastica di uso comune contengono ritardanti di fiamma (in particolare i cosiddetti PDBE, gli eteri di difenile polibromurato) sono ritenuti interferenti endocrini, così denominati in quanto interferiscono con i sistemi ormonali dell’organismo. I ricercatori dell’Università di Yale hanno indagato il possibile legame tra l’esposizione agli eteri di difenile polibromurato (PBDE) e il cancro alla tiroide. Secondo Yawei Zhang, professore associato presso il Dipartimento di Scienze della Salute Ambientale della Yale, numerosi studi hanno dimostrato come i PBDE siano correlati a tutta una serie di disturbi biologici e neuro-fisici, interferenze nella produzione di ormoni tiroidei essenziali e con le ghiandole endocrine (compresa la tiroide), una diminuzione della fertilità nelle donne, basso peso alla nascita e problemi di sviluppo nei bambini. I ricercatori si apprestano ora a condurre un’indagine, per mezzo di uno studio caso-controllato, basato sulla popolazione che intendere trovare un collegamento tra il rischio di cancro alla tiroide e i PBDE. In una prima fase l’indagine si avvarrà dei casi di cancro della tiroide diagnosticati tra il 2010 e il 2011 e quindi, in una seconda fase, dei casi diagnosticati tra il 2000 e il 2012. Zhang ha spiegato che se una volta il cancro della tiroide era molto raro con solo cinque casi per 100.000 persone all’anno, negli ultimi vent’anni è aumentato a quasi 15 casi per 100.000.«Nessun altro tumore», afferma lo studioso, «mostra una tale rapida tendenza di crescita».
Allo stesso tempo, di anno in anno, sono andati aumentando i livelli di PBDE rilevati nel sangue delle persone. Negli Usa si stima che siano presenti nel 97% della popolazione, neonati compresi e sebbene i livelli superino di 10 volte quelli riscontrati in Europa, anche nel nostro Paese non siamo al sicuro, considerata la domanda di prodotti resistenti alle fiamme, sebbene la produzione di alcune di queste sostanze sia cessata.
Indirizzi utili
ISTITUTO NAZIONALE TUMORI REGINA ELENA IRCCS
Via Elio Chianesi, 53 00144 Roma
Prenotazioni/informazioni: 06.52662727 / 800.986868
Centralino: 06.52661
www.ifo.it
ISTITUTO DI RICERCHE FARMACOLOGICHE “MARIO NEGRI”
Via La Masa, 19 20156 Milano
Tel 02.39014.1
Segreteria Generale: 02.39014.317
mnegri@marionegri.it
www.marionegri.it
CITTÀ DELLA SALUTE DI TORINO
Corso Bramante, 88/90 10126 Torino
Prenotazioni/informazioni: 011.6332220
Centralino: 011 6331633
www.cittadellasalute.to.it
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