Esegui una ricerca

Informativa privacy

Un test genomico indica la cura migliore per il tumore al seno

Paola Sarno, N. 5 maggio 2014

Anche il tumore del seno ha il suo Dna: conoscerlo è la chiave migliore per stabilire non solo l’evoluzione della malattia ma soprattutto la cura migliore, la più efficace, quella strettamente necessaria per evitare problemi legati alla tossicità delle cure e al conseguente peggioramento della qualità di vita delle pazienti. Se, infatti, nella maggior parte delle neoplasie della mammella la scelta terapeutica è già inscritta nella storia genetica, in altri casi la combinazione di alcune caratteristiche lascia l’oncologo di fronte all’incertezza nella scelta del trattamento. Quando è preferibile optare per una cura esclusivamente ormonale (quella standard che viene somministrata sempre in caso di tumore del seno) o quando, invece, aggiungere anche farmaci chemioterapici? Per avere risposte certe a tale quesito spesso non è sufficiente affidarsi solo ai parametri tradizionali, con il rischio di sottoporre la donna a sovra o sottotrattamento. Oggi, per aiutare i clinici nelle scelte e assicurare alle pazienti la cura più idonea esiste un test, denominato Oncotype DX, che rivoluziona l’approccio terapeutico al tumore del seno. Il semplice prelievo di un campione di tessuto malato nel corso dell’intervento o di una biopsia permette, infatti, di eseguire su questo uno studio “ genomico ” su 21 geni specifici, analizzandone interazione e funzionalità – cioè il preciso profilo molecolare. Ciò consente di ipotizzare se il tumore è destinato a ripresentarsi a 10 anni dalla diagnosi e soprattutto se la chemioterapia è davvero necessaria oppure se è possibile evitarla. L’esecuzione di questo test presenta, tuttavia, anche forti criticità legate soprattutto alla limitata possibilità di accesso, in quanto non è ancora dispensato dal Ssn e ha costi molto elevati. Delle sue potenzialità, ma anche dell’estrema delicatezza dell’argomento, si è discusso a Roma nel corso del Forum Internazionale sui Test Genomici in un incontro dal tema “ L’eccellenza a Roma per la cura del tumore del seno. La Genomica rivoluziona l’approccio e la scelta terapeutica ”.

Come il test aiuta l’oncologo a decidere
« Disporre di un test genomico che si affianchi agli altri parametri di tipo anatomo-clinico e biologico – ha affermato Francesco Cognetti, direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena IFO di Roma – consente di effettuare un’indagine sulla natura del tumore molto più raffinata. Oggi questo tipo di analisi, mirata alla definizione della prognosi, è comunque possibile ma avviene solo tramite una valutazione immunoistochimica che si effettua sul pezzo istologico. Essa consente di conoscere il livello dei recettori ormonali e/o del fattore di crescita Herb2, quest’ultimo presente e amplificato in circa il 10-15% di donne con cancro della mammella. Entrambi i fattori sono utili sia per definire la prognosi della malattia (più favorevole con la marcata presenza di recettori ormonali e più sfavorevole se prevale l’espressione dell’Herb2) sia per avere un’indicazione sulla terapia da proporre». Vi sono infatti situazioni in cui l’oncologo stesso non è pienamente convinto dell’efficacia di alcuni trattamenti, ma li propone ugualmente solo per attenersi alle indicazioni suggerite dai protocolli, che possono avere anche aree grigie. Nei casi più nebulosi disporre di uno strumento di indagine di biologia molecolare è un grande aiuto per medici e pazienti. Si tratta quindi di un traguardo molto importante, come ha spiegato anche Riccardo Masetti, direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia Senologica del Policlinico Universitario “ Agostino Gemelli ” di Roma, « se si considera che in Italia i nuovi casi di tumore del seno si aggirano, ogni anno, intorno ai 40mila di cui 4.200 nel Lazio e quasi 2.000 solo a Roma. All’interno di essi, esiste una proporzione del 10-15% dei tumori ormonodipendenti nei quali la scelta delle terapie postchirurgiche risulta davvero difficile. In questi casi un test genomico che dia indicazioni più chiare sui rischi di ripresa della malattia e sui benefici della terapia può fare la differenza, aiutando il medico a valutare meglio la reale efficacia di un trattamento chemioterapico aggiuntivo alla normale terapia ormonale, e offrendo alla paziente maggiori garanzie sull’efficacia di tale trattamento ».

A chi è veramente rivolto il test e come si effettua
« Il test – ha precisato Cognetti – è indicato nei casi cosiddetti “borderline”, ossia con malattia allo stadio iniziale, con l’espressione del recettore per l’estrogeno (ER+) o per il Progesterone (PgR+) e linfonodi ascellari negativi (HER2 negativo), nei quali cioè i parametri biologici non consentono di definire con sicurezza quale sia il livello di rischio per una ricaduta né quale sia il trattamento più adeguato. Il test, invece, non è indicato con malattia estesa anche ai linfonodi ascellari: in questo caso la donna deve essere comunque sottoposta a chemioterapia poiché il rischio di sviluppare metastasi è maggiore e la prognosi è più sfavorevole ». Il test genomico, che si fa una volta nella vita, è in grado di evitare la somministrazione della chemioterapia laddove non necessaria in circa il 30% delle pazienti che altrimenti vi si sarebbero sottoposte e, al contrario, di aggiungerla in circa il 15-20% delle pazienti che altrimenti non l’avrebbero ricevuta. Durante il test vengono analizzati frammenti piuttosto piccoli di tessuto tumorale, prelevati durante un intervento chirurgico o una biopsia. Ciò consente risposte molto accurate e precise espresse con un punteggio da 0 a 100. E il risultato è pronto in tempi molto brevi: 10-14 giorni al massimo.

Uno strumento utile anche per standardizzare le scelte terapeutiche
Non tutti i test genomici però sono uguali e hanno la medesima efficacia se l’obiettivo è quello di arrivare a una standardizzazione delle terapie. Al riguardo Giuseppe Naso, responsabile della U.O. Oncologia Traslazionale, Breast Unit della Sapienza di Roma ha affermato che « se fra quelli oggi a disposizione, si sceglie uno specifico test basato su 21 geni, esso consentirà di conoscere non solo i benefici derivabili da un trattamento chemioterapico, ma anche quelli ottenibili da una terapia ormonale. Ciò a ribadire che per una corretta impostazione terapeutica non è più sufficiente basarsi solo sull’esperienza personale dell’oncologo e su quattro parametri biologici (estrogeno, progesterone, Ki67, Cerb2) ma occorrono informazioni aggiuntive, in grado di razionalizzare e rendere univoca una scelta terapeutica che oggi è invece per lo più soggettiva. La mia esperienza grazie all’utilizzo del test mi ha condotto a mutare la scelta terapeutica da un trattamento combinato con chemio e terapia ormonale in una semplice terapia ormonale nel 45% dei casi ».

I limiti? A oggi prevalentemente economici
Oggi il test, dati i limiti imposti dal costo che si aggira intorno ai 3.000 euro è attuato da poche decine o centinaia di donne. « Nel momento in cui esso dovesse essere di più facile utilizzazione ma soprattutto anche dispensato dal Ssn – come sarebbe giusto – i numeri aumenterebbero in maniera significativa », ha commentato in conclusione Cognetti. « Resta inteso che anche in caso di una maggiore diffusione del test dovrebbero essere stabiliti dei criteri di eleggibilità molto stretti per evitare che vi sia un abuso e se ne faccia solo uso quando realmente necessario. Pur attuando una rigida selezione, il test apporterebbe comunque un vantaggio sia al Ssn sia sulla qualità di vita delle pazienti ».

Tumori mammari: non sono tutti uguali
Il tumore della mammella è una malattia potenzialmente grave se non è individuata e curata per tempo. È dovuto alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in cellule maligne, acquistando cioè la capacità di staccarsi dal tessuto che le ha generate per invadere i tessuti circostanti e, col tempo, anche altri organi del corpo. La formazione di tumori è possibile da tutti i tipi di tessuti del seno, ma i più frequenti nascono dalle cellule ghiandolari (dai lobuli) o da quelle che formano la parete dei dotti. Si distinguono due i tipi di cancro della mammella. Le forme non invasive comprendono il carcinoma duttale in situ (o CDIS), una forma iniziale di cancro della mammella limitata alle cellule che formano la parete dei dotti e che se non viene curata può diventare invasiva e il carcinoma lobulare in situ (CLIS), il quale, benché non invasivo, è un segnale di aumentato rischio di formare tumori in ambedue le mammelle. Le forme invasive, invece, includono il carcinoma duttale infiltrante, che si manifesta quando il tumore supera la parete del dotto e che rappresenta tra il 70 e l’ 80% di tutte le forme di cancro della mammella, e il carcinoma lobulare infiltrante, quando il tumore supera la parete del lobulo. Rappresenta il 10-15% di tutti i cancri della mammella. Può colpire contemporaneamente ambedue le mammelle o comparire in più punti nella stessa mammella.

Incidenza e distribuzione geografica oggi e domani
Secondo le rilevazioni di Aiom, Ccm e AIRTUM, si stima che nel 2012 verranno diagnosticati, in Italia, circa 46.000 nuovi casi di cancro al seno. Dopo quelli cutanei, il carcinoma mammario è la neoplasia più diagnosticata nelle donne, in cui circa un tumore maligno ogni tre (29%) è a carico della mammella. Le neoplasie del seno rappresentano i tumori più spesso diagnosticati tra le donne sia nella fascia d’età 0-49 anni (41%), sia in quella 50-69 anni (35%), sia in quella delle ultra 70enni (21%). Nel periodo 2006-2008 si è confermata una maggiore incidenza del tumore del seno al Nord (124,7 casi/100.000 abitanti) rispetto al Centro (100,1 casi/100.000 abitanti) e al Sud-Isole (91,6 casi/100.000 abitanti). In funzione anche dell’invecchiamento della popolazione italiana e con il conseguente allungamento della vita media, è previsto un aumento dei nuovi casi di carcinoma della mammella per i prossimi decenni: dai 46.300 stimati per il 2012, si passerà ai 51.500 nuovi casi per il 2020 (+10%) e ai 55.100 nuovi casi per il 2030 (+17%). Nei prossimi decenni, però, l’incidenza di carcinoma mammario potrà ridursi come conseguenza della diffusione di programmi di prevenzione primaria e chemioprevenzione. Una maggiore estensione degli screening su tutto il territorio nazionale e una più ampia adesione da parte delle donne potranno aumentare le diagnosi precoci. Ciò, insieme alle nuove tecniche radioterapiche e chirurgiche, potrà migliorare i risultati finora ottenuti in termini di riduzione di mortalità e ulteriori progressi nel trattamento delle metastasi ossee si avranno grazie a nuovi agenti antitumorali.

Tante risposte per il tuo seno
Perché il corpo si difende dalle infezioni e sembra disarmato contro il cancro? Quali sono i fattori a rischio della malattia? Il cancro del seno è ereditario? Perché è così utile una diagnosi precoce? Cosa può fare la donna a scopo precauzionale? È vero che con la pillola le donne corrono più rischi? I fattori psicologici possono scatenare la malattia? L’autoesame e l’autopalpazione sono utili? Prodotti a base di vitamina C o selenio hanno un ruolo protettivo? Cos’è la chemioprevenzione? Quali esami possono sciogliere un sospetto di cancro al seno? Cos’è la terapia ormonale? E quella radiologica? L’intervento operatorio può avere conseguenze inattese? Quali controlli è opportuno eseguire per sorvegliare l’andamento della malattia dopo l’intervento? Le donne con cancro al seno hanno la possibilità di guarire? Una risposta chiara a tutte queste domande e a molti altri quesiti si trova nel libro illustrato di Stefano Cagliano e Mariella Mauri Per il tuo seno – Come prevenire e affrontare i tumori (collana Domande e Risposte, Il Pensiero Scientifico editore 1999, pagg.100, 11 euro ). Una guida di facile lettura sempre valida e utile a tutte le donne per fugare ogni dubbio in tema di neoplasia della mammella e non solo.

I sintomi da prendere in considerazione
In genere le forme iniziali di tumore della mammella non provocano dolore. Uno studio effettuato su quasi mille donne con dolore al seno ha dimostrato che solo lo 0,4% di esse aveva una lesione maligna, mentre nel 12,3% erano presenti lesioni benigne (come le cisti) e nel resto dei casi non vi era alcuna lesione. Il dolore era provocato, nella maggior parte dei casi, solo dalle naturali variazioni degli ormoni durante il ciclo. Da cercare, invece, sono gli eventuali noduli palpabili o addirittura visibili tenendo in considerazione che la metà dei casi di tumore del seno si presenta nel quadrante superiore esterno della mammella. Importante, poi, segnalare al medico anche alterazioni del capezzolo (in fuori o in dentro), perdite da un solo capezzolo (se la perdita è bilaterale il più delle volte la causa è ormonale), cambiamenti della pelle (aspetto a buccia d’arancia localizzato) o della forma del seno. La maggior parte dei tumori del seno, però, non dà segno di sé e si riscontra solo con la mammografia (nella donna giovane tra i 30 e i 45 anni e in alcuni casi anche con l’aiuto dell’ecografia mammaria). Occorre tuttavia prestare maggiore attenzione a una serie di sintomi, possibili indicatori di una variazione del tessuto della ghiandola mammaria:

  • un nuovo nodulo nella mammella o sotto l’ascella,
  • gonfiore del seno o di una parte,
  • irritazione della pelle del seno,
  • arrossamento della pelle nella zona capezzolo,
  • dolore nella zona capezzolo,
  • qualsiasi modifica delle dimensioni o della forma del seno,
  • dolore in ogni zona del seno

Cancro al seno: i sei fattori di rischio

  • L’ età : più dell’ 80% dei casi di tumore del seno colpisce donne sopra i 50 anni.
  • La familiarità : circa il 10% delle donne con tumore del seno ha più di un familiare stretto malato (soprattutto nei casi giovanili).
  • Le alterazioni genetiche : la presenza dei geni BRCA1 e BRCA2 predispone a un tumore del seno. Le mutazioni di questi geni sono responsabili del 50% circa delle forme ereditarie di cancro del seno e dell’ovaio.
  • Gli ormoni : svariati studi hanno dimostrato che un uso eccessivo di estrogeni (gli ormoni femminili per eccellenza) facilitano la comparsa del cancro al seno. Per questo tutti i fattori che ne aumentano la presenza hanno un effetto negativo e viceversa (per esempio, le gravidanze, che riducono la produzione degli estrogeni da parte dell’organismo, hanno un effetto protettivo).
  • Le alterazioni della mammella, le cisti e i fibroadenomi che si possono rilevare con un esame del seno non aumentano il rischio di cancro. Sono invece da tenere sotto controllo i seni che alle prime mammografie dimostrano un tessuto molto denso o addirittura una forma benigna di crescita cellulare chiamata iperplasia del seno.
  • Anche l’ obesità ha effetti negativi.

Indirizzi utili

ISTITUTO NAZIONALE TUMORI REGINA ELENA IRCCS – IFO
Via Elio Chianesi, 53 00144 Roma
Prenotazioni/informazioni: 06.52662727 – 800.986868
Centralino: 06.5266
www.ifo.it

Oncologia medica
Prof. Francesco Cognetti
Tel. 06.52662727

Torna ai risultati della ricerca