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Le centrali di Carbone in Europa e le 22mila morti premature all’anno
Vera Lanza, N. 5 maggio 2014
Il progresso avanza. La nostra consapevolezza, in quanto a stili di vita e alimentazione corretta, è senza dubbio aumentata rispetto al passato. E anche i ricercatori hanno messo a punto nuove strategie diagnostiche per combattere le malattie. Eppure è aumentata l’incidenza di specifiche forme tumorali, per esempio, per i linfomi, il testicolo, la tiroide, la mammella, il colon retto, la prostata, il melanoma. Questo perché le concause sono tante. Ma anche perché si sbaglia “ bersaglio ” come spiega Patrizia Gentilini, oncologa e presidente dell’ISDE, l’Associazione Internazionale dei Medici per l’Ambiente (vedi box). Tra i fattori a rischio vanno inseriti senza più incertezze anche le esposizioni ambientali. E questo lo abbiamo sentito ripetere in tv più spesso ultimamente, in relazione a fatti di cronaca tristemente noti, come il caso dell’Ilva di Taranto e quello della cosiddetta Terra dei Fuochi. Nelle province di Napoli e Caserta, in particolare, si è osservato un aumento dei tumori. In dieci anni c’è stato il tempo di approfondire, ma nessuno, né a livello regionale, né statale, ha fatto niente e ancora oggi non ci sono studi specifici sulla correlazione tra smaltimento illegale dei rifiuti e insorgenza del cancro. Allargando gli orizzonti e guardando all’Europa lo scenario non è poi molto diverso. Qualche dato rende l’idea. Cominciamo con il carbone. Il contributo che l’Europa paga alle centrali di carbone è caro: più di ventiduemila morti premature l’anno, con cinque milioni di giorni di lavoro persi e miliardi di euro spesi in terapie. Questi i risultati a cui è arrivato un rapporto dell’università di Stoccarda e commissionato da Greenpeace, secondo cui i due terzi della popolazione europea è esposta a valori più alti del normale di polveri sottili a causa delle emissioni di questi impianti che sono disseminati in tutto il continente compresa l’Italia, che è al quarto posto per potenza installata. Secondo i dati elaborati sulle 300 più grandi centrali europee, dal carbone proviene un quarto di tutta l’elettricità generata nell’Ue, ma questo combustibile è responsabile di più del 70% delle emissioni di diossido di zolfo e di più del 40% di ossido di azoto, oltre che dell’emissione di polveri sottili e altri inquinanti fra cui il mercurio e un quarto delle emissioni di CO2 europee. Questo porta a un aumento di attacchi di cuore e tumori ai polmoni, che si aggiungono ad asma e altre malattie respiratorie di adulti e bambini. ‘’ Decine di migliaia di chilogrammi di metalli tossici come mercurio, piombo, arsenico e cadmio sono emessi in atmosfera – sottolinea il documento – e contribuiscono al rischio di tumori oltre che minacciare lo sviluppo corretto dei bambini ‘’. Dal punto di vista della potenza installata il rapporto, che si riferisce al 2010, vede al primo posto la Germania, con oltre 52mila megawatt, seguita da Polonia con 33mila, Gran Bretagna con 28mila e dall’Italia con 12mila. Dal punto di vista delle morti è invece la Polonia a pagare il tributo più alto, con oltre 5mila, seguita da Germania e Bulgaria con circa tremila vittime. In Italia invece, secondo la ricerca, sono 499 le morti annuali, con 113mila giorni di lavoro e oltre 5mila anni di vita persi ogni anno. Nel nostro Paese non ci sono centrali considerate tra le più inquinanti che sono presenti invece negli altri Paesi, ma per effetto dei movimenti atmosferici le emissioni di quelle esistenti “ invadono ” praticamente tutto il territorio nazionale. La situazione, avverte il documento, potrebbe anche peggiorare, visto che attualmente sul territorio europeo sono in costruzione o in programma altre 50 centrali a carbone, che farebbero salire il conto dei morti di altre 5mila unità. Gli studi condotti sulle popolazioni residenti nei pressi di centrali a carbone, responsabili dell’emissione in atmosfera di polveri sottili, benzoapirene, benzene, metalli pesanti, diossine e isotopi radioattivi, hanno dimostrato un aumento dell’incidenza di tumori di laringe, polmoni e vescica. Sono inoltre segnalati aumenti dell’incidenza di cancro della cute non melanoma e di cancro dello stomaco.
Respiriamo 100mila sostanze chimiche
Negli ultimi 50 anni sono state immesse nell’ambiente circa 100mila nuove sostanze chimiche che hanno avuto un forte impatto sull’ambiente e soprattutto sull’uomo, predisponendo le persone a malattie e tumori. Non solo. Più di 300 sostanze chimiche sono state ritrovate nel sangue del cordone ombelicale. A mettere in guardia su quello che sta avvenendo è la dottoressa Patrizia Gentilini, presidente dell’Associazione internazionale medici per l’ambiente, Isde. Il riferimento è a fertilizzanti, diserbanti, prodotti derivanti dall’uso di combustibili fossili, dall’incenerimento dei rifiuti, dalla produzione di energia derivante dal nucleare e dal carbone. Queste sostanze, una volta rilasciate nell’ambiente, in relazione alla loro composizione, alla loro modalità di azione e alle loro dimensioni, dell’ordine dei micron e dei nanometri, possono interagire con il nostro sistema genetico ed epigenetico, alterandone l’espressione e quindi predisponendo le persone a malattie e tumori. I primi soggetti esposti a rischio sono i bambini: « È stato evidenziato – spiega l’oncologa – come l’esposizione in utero e nei primi anni della vita può determinare i danni maggiori; infatti i bambini sono più suscettibili all’azione dei contaminanti tossici ambientali per l’effetto combinato di livelli di esposizione relativamente più elevati, per una minore efficienza metabolica e una più intensa proliferazione cellulare. In particolare, preoccupa fortemente il costante aumento dei tumori in età pediatrica in Italia ». Per l’Isde c’è quindi la necessità di prendere in considerazione l’effetto di sinergia tra i vari inquinanti e l’inadeguatezza del concetto di “ valore limite ” per le singole sostanze inquinanti.
Inquinamento e tumori
L’incidenza delle cause ambientali sui diversi tipi di cancro non è facile da studiare. Queste patologie hanno cause multiple e tempi di latenza lunghi. Ma se ancora molto rimane da approfondire, i dati disponibili rivelano correlazioni altamente probabili tra alcuni tipi di tumore e l’esposizione a sostanze pericolose. A partire dall’amianto. Pur essendo bandito da oltre 20 anni, i suoi effetti continuano a farsi sentire. I tumori causati dall’amianto diminuiranno intorno al 2050. E il riferimento non è solo al mesotelioma pleurico, il cancro che oggi causa 700 morti all’anno. Anche se le fabbriche sono state chiuse, sono ancora abbastanza diffuse tubature, serbatoi, pannelli ondulati in amianto che continuano a produrre nefasti effetti sulla salute dell’uomo.
L’amianto, come spiegano gli scienziati, può causare patologie che colpiscono sia tessuti e organi localizzati nel torace, sia tessuti situati in altri distretti diversi dall’apparato respiratorio. Questi possono essere: il cervello, la prostata, l’ovaio, e diversi tessuti emolinfopoietici (leucemie, linfomi). Inoltre, l’azione cancerogena dell’asbesto è potenziata dall’azione sinergica di metalli pesanti. L’inquinamento industriale ha fatto, purtroppo, la sua parte. I metalli, come spiega Patrizia Gentilini, sono anche associati a diversi altri tipi di patologie oncologiche: cromo e nichel, per esempio, sono legati all’insorgere di tumori a polmoni, naso e faringe; l’arsenico è correlato alla diagnosi di tumori a polmone, vescica, pelle.
E non va meglio nel caso degli inceneritori, causa di emissioni di particolato, metalli pesanti, diossine, composti organici volatili, ossidi di azoto e zolfo, ozono: particolarmente importanti risultano gli eccessi nel complesso dei tumori, neoplasie polmonari, linfomi non Hodgkin, sarcomi dei tessuti molli e neoplasie infantili. Incenerire non è la soluzione per la gestione dei rifiuti, anche perché centinaia di studi scientifici dimostrano ormai che le popolazioni esposte a questi impianti subiscono gravi danni alla salute, tumorali e non. Si dovrebbe invece puntare sulla raccolta differenziata e sul recupero. Questi concetti si stanno facendo strada anche fuori dai circoli degli ambientalisti. Ma intanto in Italia si continua a investire su quello che ormai è diventato un business sostanzioso. Con la combustione si creano migliaia di sostanza tossiche pericolose di cui diverse decine sono cancerogene. « E allora perché consideriamo pericolose le sigarette e centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tal quale non dovrebbero creare problemi? » domanda retoricamente la dottoressa Gentilini. Non c’è veleno che non esca dagli inceneritori: le diossine, per esempio, hanno un tempo di persistenza nel sottosuolo di 100 anni e nel corpo umano di circa 7 anni. Per non parlare dei PCB, i policlorobifenili usati in Italia nell’industria chimica fino agli Anni 80, ma ancora persistenti nell’ambiente, associati all’insorgenza del cancro al fegato e alle vie biliari. « Il problema – come spiega l’oncologa Gentilini – è che questi inquinanti sono penetrati nell’ecosistema acquatico e marino ». Il ruolo delle esposizioni professionali e ambientali nel causare malattie respiratorie è ormai ampiamente riconosciuto e infatti la percentuale di asma bronchiale e broncopneumopatia cronica ostruttiva, attribuibile all’esposizione a inquinanti in ambienti di lavoro, è pari al 15%. Così come è rilevante il numero di altre patologie quali i tumori polmonari e le fibrosi causate da inquinanti o da polveri organiche rilevabili in ambienti agricoli. C’è da dire invece che, seppur presente, il rischio di ammalarsi di tumore al polmone a causa dello smog è invece piuttosto limitato. Secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità il fumo di sigaretta è all’origine del 71% dei casi di cancro polmonare (con 5,1 milioni di decessi nel mondo), mentre allo smog è attribuibile l’ 8% dei casi (pari a 1,2 milioni di decessi). Inoltre, lo smog sembra essere legato principalmente all’adenocarcinoma, una forma di tumore polmonare che si spera di poter individuare precocemente con l’aiuto di test come la TC spirale e l’analisi del microRNA, ambedue ancora allo studio ma molto promettenti. Con una diagnosi precoce, l’adenocarcinoma può essere curato in una buona percentuale di casi. Infine lo smog, come il fumo di sigaretta, può essere contenuto con apposite misure di tutela della salute pubblica, oltre che con un comportamento individuale responsabile, che limiti al massimo l’uso dell’automobile durante i periodi di massimo inquinamento. La cosa più importante, però, è evitare di sommare rischio a rischio: tutti dovrebbero evitare il fumo di sigaretta, ma chi abita in città ha una ragione in più per farlo.
La guerra contro il cancro ha più bersagli
Fin dal 1971, in America prendeva corpo l’idea che il cancro fosse una malattia “ genetica ” e che nascesse da una singola cellula in qualche modo “ impazzita ”. Si pensava che per un “ incidente genetico ” casuale avvenissero una serie di mutazioni a carico del DNA tali da comportare una proliferazione incontrollata. Questo presupposto, come spiega Patrizia Gentilini, oncologa e presidente dell’Isde, Associazione internazionale medici per l’ambiente, ha portato a fare delle scelte che non si sono dimostrate sufficienti a vincere la lotta contro il cancro. «Il cancro era ritenuto una malattia dell’età adulta – spiega – in cui, proprio per l’aumento della speranza di vita, era sempre più probabile che insorgessero mutazioni casuali: in qualche modo il cancro era visto quasi come un prezzo da pagare al nostro modo di vita e in definitiva allo sviluppo».
Se l’origine del cancro risiedeva in un danno a carico del DNA era logico quindi pensare di risolvere il problema cercando di svelare tutti i segreti del genoma e sperimentare terapie che colpissero la cellula nel suo centro vitale, il DNA appunto. Gli investimenti che furono fatti negli USA e in seguito anche in altri Paesi del mondo occidentale furono a dir poco esorbitanti ma, come ha scritto nel 2005 in una esemplare lettera aperta un grande oncologo americano, S. Epstein, “ dopo trent’anni di reclamizzate e ingannevoli promesse di successi, la triste realtà è infine affiorata: stiamo infatti perdendo la guerra al cancro, in un modo che può essere soltanto descritto come una sconfitta. L’incidenza dei tumori – in particolare della mammella, dei testicoli, della tiroide, nonché i mielomi e i linfomi, in particolare nei bambini – che non possono essere messi in relazione con il fumo di sigaretta, hanno raggiunto proporzioni epidemiche, ora evidenti in un uomo su due e in oltre una donna su tre”.
Queste che sembravano pessimistiche considerazioni di qualche medico isolato hanno in realtà trovato autorevoli conferme in un articolo dall’emblematico titolo “ Ripensare la guerra al cancro ” comparso a dicembre 2013 nella prestigiosa rivista Lancet ( www.thelancet.com ). Perché l’obiettivo non è stato raggiunto? Dove abbiamo sbagliato?
« Evidentemente – sottolinea la dottoressa Gentilini – concentrare tutte le risorse sulla ricerca di terapie o sulla diagnosi precoce non è stata la strada vincente. In effetti nuove emergenti teorie sulle modalità con cui il nostro genoma si relaziona con l’ambiente ci fanno capire come anche la nostra visione del problema cancro – e non solo – sia stata estremamente riduttiva ».
Si è sempre pensato al genoma come a qualcosa di predestinato e immutabile, ma le conoscenze che da oltre un decennio provengono dall’epigenetica ci dicono che le cose non stanno così. Il genoma è qualcosa che continuamente si modella e si adatta a seconda dei segnali – fisici, chimici, biologici – con cui entra in contatto. Come un’orchestra deve interpretare uno spartito musicale facendo suonare a ogni musicante il proprio strumento, così l’informazione contenuta nel DNA viene continuamente trascritta attraverso meccanismi biochimici che comprendono metilazione, micro RNA, assetto istonico che vanno appunto sotto il nome di epigenoma. L’epigenetica ci ha svelato che è l’ambiente che “modella” ciò che siamo, nel bene e nel male, nella salute e nella malattia. È questa la parola da tenere a mente: l’ambiente. « L’origine del cancro non risiede quindi solo in una mutazione casualmente insorta nel DNA di una qualche nostra cellula – ribadisce Gentilini – ma anche in centinaia di migliaia di modificazioni epigenetiche indotte dalla miriade di agenti fisici e sostanze chimiche tossiche e pericolose con cui veniamo in contatto ancor prima di nascere e che alla fine finiscono per danneggiare in modo irreversibile lo stesso DNA ». Concludendo, bisogna puntare alla “ prevenzione primaria ” che non può essere ridotta solo alle indicazioni riguardanti gli “ stili di vita ”, ma che deve intervenire energicamente sulla tutela degli ambienti di vita e di lavoro.
Con l’inquinamento è possibile il declino cognitivo
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Neurotoxicology, le persone che vivono in ambiente urbano hanno una maggiore probabilità di vivere il declino cognitivo con l’avanzare dell’età per colpa dell’inquinamento atmosferico. La ricerca di Nicole Gatto e colleghi della Loma Linda University si focalizza in particolare su tre inquinanti: ozono, biossido di azoto (NO2) e particolato PM2.5. Gli scienziati hanno coinvolto 1496 soggetti di età media di 60,5 anni che risiedevano nell’area di Los Angeles. L’esposizione all’inquinamento atmosferico è stata assegnata a ogni residente mediante informazioni geografiche e sistemi di monitoraggio relativi al periodo 2000-2006. Le funzioni cognitive sono poi state valutate sulla base di una batteria di test neurofisiologici. Un’esposizione ambientale all’NO2 superiore alle 20 parti per miliardo tendeva a essere associata a una minore memoria logica; l’esposizione a oltre 49 parti per miliardo di ozono, invece, danneggiava le funzioni esecutive. Non è ancora chiaro il meccanismo che si cela dietro questi effetti, anche se è probabile che queste sostanze chimiche causino stress ossidativo e infiammazione che portano a disfunzioni e/o morte delle cellule cerebrali.
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